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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Il commento - Zattini ha dimostrato di avere la patente. Il Pd non si limiti a riattaccare assieme i cocci

Il voto di domenica sera a Forlì è stato definito “storico”. E lo è per la nostra città, per una serie di ragioni, la prima delle quali – ovvia – è che si infrange un governo di centro-sinistra che perdurava da quasi 50 anni

Il voto di domenica sera a Forlì è stato definito “storico”. E lo è per la nostra città, per una serie di ragioni, la prima delle quali – ovvia – è che si infrange un governo di centro-sinistra che perdurava da quasi 50 anni. Va detto, in buona parte anche un buon governo. E' vero, i tempi sono cambiati e non esistono più le roccaforti rosse, e questo si sapeva già da un pezzo. Però Forlì è stata la prima città in Romagna che ha visto il ribaltone, e questo non avviene per chissà quale oscura congiunzione astrale sfavorevole. A Forlì, infatti, il Pd è frenato rovinosamente rispetto un contesto nazionale moderatamente positivo per quel partito. Le origini della sua disfatta sono in gran parte locali. Esattamente come sono locali i motivi della vittoria di Zattini. Fingere di non vedere tutto questo è replicare lo stesso errore protratto per tutta la campagna elettorale: vale a dire non aver fatto altro che parlare di Salvini, di balconi e fascismo, più in verità per trovare elementi di comunanza all'interno del proprio fronte che per attrarre a sé un elettorato di area. Il voto di domenica, infatti, ha certificato che gli elettori, anche quelli di centro-sinistra, sono disallineati rispetto ad un dibattito, che tocca temi percepiti come importanti, ma che vengono trattati in modo così stereotipato e retorico da produrre solo una reazione avversa. Una gabbia di cui tutti a sinistra, quando ti parlano a microfoni spenti, sono consapevoli, ma che nessuno ha il coraggio di spezzare.

Quali sono i motivi locali della vittoria di Zattini? Oltre ovviamente al trend nazionale molto forte a favore della Lega, il neo-sindaco è riuscito in quello che il centro-destra è sempre stato deficitario, cioè accreditarsi come un politico di competenza amministrativa che sa dove mettere le mani per governare. Perché nessuno metterebbe una macchina in mano a uno che non ha la patente, anche se è il più carismatico e trascinante dei fenomeni. Zattini non rientra in questa categoria, ma ad ogni occasione utile non ha mancato di tirare fuori dalla tasca la patente e sventolarla, come a dire 'Ehi, guardate, la patente ce l'ho e anche da parecchio tempo'. Il Pd, il “partito della sicurezza amministrativa” e che solo per questo fatto è sempre stato in grado di attrarre il voto di chi, comunque, vota per la stabilità, candidando Calderoni invece ha fatto l'esatto opposto, e forse l'errore più  grossolano. Il candidato di centro-sinistra ha sempre dovuto inseguire per spiegare che, anche se non l'ha mai fatto, pure lui tutto sommato sarebbe stato in grado di governare la città. Inoltre, la candidatura del moderato Zattini non sarebbe mai stata possibile se non si fosse concretizzata una pre-condizione. Nel centro-destra si è formata una leadership – quella di Jacopo Morrone – che si è presa l'onere di candidare un non-leghista nel momento di massimo splendore politico del Carroccio. Un'operazione rischiosa, di cui forse avrebbe pagato dazio in caso di insuccesso.

Zattini ora dovrà mostrare la sua autonomia. Dovrà scegliere se fare operazioni ideologiche come mettere mano alla toponomastica cittadina per togliere un po' di intitolazioni a partigiani, oppure mettere mano a questioni concrete a lungo irrisolte. Il primo banco di prova è Alea, dove obiettivamente Zattini e la Lega in campagna elettorale hanno parlato due lingue diverse. Scegliere quindi se rincorrere il “lamentismo” (che nasce però a ragione) oppure mettere mano a dei necessari correttivi senza smantellare o minare alla base il nuovo sistema di raccolta dei rifiuti, una rivoluzione costellata di disagi ma che la stragrande maggioranza dei forlivesi ha affrontato con una maturità straordinaria e che tale maturità la pretenderà dai nuovi governanti. Perché quando alla gente si spiega che è per il bene delle generazioni future, la gente capisce senza grossi problemi, ma bisogna avere il coraggio di convincerla.

I motivi locali della sconfitta del Pd sono sotto gli occhi di tutti, e non li vede solo chi non li vuole vedere o trova comodo non farlo. I principali benefici della vittoria di Zattini saranno proprio per il Partito Democratico, che sarà costretto a ritrovare nuova propulsione e progettualità per la città, una spinta che negli ultimi anni si era ridotta quasi a zero. Trovandosi sui banchi dell'opposizione, i consiglieri di sinistra saranno costretti a battere il territorio per trovare magagne e raccogliere le istanze dei cittadini per avanzare interrogazioni e proposte. Questo permetterà al Pd di concentrarsi di più sulla sua azione politica, dopo anni di mutismo dovrà tornare a parlare, dialogare e prendersi le difficoltà di chi comunicando qualcosa si espone al rischio di incontrare del dissenso interno. Una paura che ha quasi paralizzato la comunicazione del Pd. Tutto questo andrà preceduto da un dibattito serio, che dovrà essere portato – una volta per tutte - alla luce del sole, coinvolgere finalmente la città e la società civile, dopo i numerosi treni persi degli ultimi anni. Rinchiudere la discussione in qualche riunione di iscritti del partito, per quanto estese nella partecipazione, non porterà a risultati apprezzabili, perché la nuova linfa deve venire dall'esterno e la città abbonda di competenze che non chiedono altro che trovare reale ascolto. Probabilmente una precondizione per un percorso che sarà necessariamente lungo è che i segretari di federazione e comunale lascino i loro ruoli.

Le tentazioni ora saranno tante: scaricare il candidato che improvvisamente a urne chiuse verrà bollato come “debole” e “sbagliato” (ma non è Calderoni la persona su cui ricostruire l'opposizione, altrimenti anche questa sarà una foglia di fico) oppure addossare la colpa al sindaco uscente Davide Drei. La sua giunta è stata, a detta di tutti ormai, anche dei suoi compagni di viaggio, piuttosto scadente. Ma Drei ha sapientemente dribblato il rischio di diventare un capro espiatorio avvisando con quasi un anno di anticipo il suo ritiro. La grande colpa di Valentina Ancarani e Massimo Zoli non è quella di aver perso le elezioni, ma quella di aver perso un anno, non aver costruito un'alternativa autorevole prima e dopo il rifiuto di Drei al bis. Probabilmente perché un'alternativa non c'era. Il resto è stata la cronaca di un'affannosa ricerca di un candidato che fosse uno. Gabriele Zelli era politicamente troppo furbo per mettere il suo nome nella casella di “quello che ha consegnato Forlì alla destra”. La sua lezione ha creato il deserto, riempito da Giorgio Calderoni come si chiude la falla di una barca con uno strofinaccio. E nonostante questo senza neanche affiancargli dei consulenti che gli impedissero di fare errori grossolani fino al giorno prima del voto, quando ancora si presentava come un “parvenu” della politica. Per trovare un candidato spendibile tra 5 anni, come il Pd ha fatto a Cesena con Enzo Lattuca – che anche con un vento negativo sulla sinistra non ha mai avuto paura di definirsi orgogliosamente un candidato di partito -, il lavoro deve partire subito. E il Pd deve finire di giocare al gioco che il Pd di Forlì gioca da dieci anni, vale a dire dalla lacerazione delle primarie Balzani-Masini, cioè considerare il rivale interno come il principale nemico da abbattere. Questo non favorirà mai la crescita di una nuova leadership.

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