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Fallimento Sapro, la commissione d'indagine: era allarme già dal 2001

Per quale motivo Sapro, la società pubblica di Forlì-Cesena per l’insediamento industriale, è fallita sotto il peso di ben 110 milioni di euro di debiti?

Per quale motivo Sapro, la società pubblica di Forlì-Cesena per l’insediamento industriale, è fallita sotto il peso di ben 110 milioni di euro di debiti? Il curatore fallimentare sta procedendo ora alla vendita delle aree rimaste “intrappolate” nella procedura fallimentare voluta dalla Procura della Repubblica. Su quegli eventi, risalenti a circa un anno fa, arrivano gli esiti di un’indagine conoscitiva realizzata da una commissione speciale del Consiglio Provinciale.

L’analisi evidenzia che l’indebitamento totale di Sapro è cresciuto inesorabilmente dal 2001 al 2009 da 20,2 milioni di euro a 110,3 milioni, di cui 93,5 milioni con le banche. L’anno nero fu il 2008, con un bilancio in passivo di 3,7 milioni di euro, rimesso in sesto, ma solo per l’esercizio corrente, nel 2009, con un saldo positivo di 21mila euro, incapace tuttavia di risanare il pregresso. Sapro nel corso degli ultimi anni, è quanto emerge dalla relazione conclusiva della commissione speciale, si è indebitata avventurandosi in complesse e controverse operazioni immobiliari, che però poi non hanno dato i ritorni sperati, cristallizzando un ingente patrimonio invenduto e facendo saltare i conti della società per quanto concerne il pagamento degli interessi. C’è da dire che per ora gli enti soci (i principali: Comune di Forlì, Comune di Cesena e Provincia di Forlì-Cesena, Camera di commercio) non tireranno fuori un euro. Si conta infatti di coprire il “buco” con la cessione dei beni societari, ad opera del curatore fallimentare.

Recita il documento: “E’ evidente che il crescente livello di indebitamento, dovuto alla continua acquisizione di nuove aree, nonostante le scarse vendite, i lunghi tempi di approntamento delle aree e il peggioramento della congiuntura economica, abbiano messo in forte crisi la società”. Eppure non mancavano i campanelli d’allarme: “Il rapporto tra indebitamento finanziario netto e il patrimonio netto era fin dal 2001 al di sopra della soglia di attenzione (3,27 rispetto alla soglia di attenzione pari a 3). Tale rapporto si impenna a 35,26 nel 2008”. La soglia di allarme era 5, lo “scollina mento” avvenne nel 2003. In altre parole c’erano ben 5 anni per scongiurare il fallimento. E ancora: “Fin dal 2001 Sapro non vantava un adeguato grado d’indipendenza finanziaria, che la ponesse al sicuro di fronte alle fasi cicliche negative del mercato.

Perché tutto questo? Forse un uso troppo spregiudicato da parte degli enti soci, che hanno utilizzato Sapro come una sorta di “bancomat”, come un soggetto a cui affidare compiti urbanistici diversi da quelli per cui era stato pensato, specialmente da parte del Comune di Forlì, per le aree produttive vicino all’A14, il Polo Tecnologico Aeronautico e l’area del Foro Boario.Qui sarebbe concluito tutto ciò che era oneroso fare per i Comuni, col risultato di scombinare i conti.

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