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Reddito di solidarietà in regione, Forza Italia: “Troppi stranieri tra i beneficiari”

Quasi il 34% (esattamente il 33,6%) delle richieste di contributo è arrivato da nuclei famigliari stranieri, ai quali per effetto della maggiore composizione familiare è stato erogato quasi il 45% dei fondi.

11mila le domande presentate in quattro mesi e mezzo in Emilia-Romagna per avere il Res, il Reddito di solidarietà introdotto dalla Regione dal settembre 2017. Un massimo di 400 euro mensili per un anno per nuclei famigliari fino a 5 persone.  A livello territoriale, il maggior numero di domande si registra nella provincia di Bologna (2.346 domande su 482.861 famiglie residenti) mentre a Forlì- Cesena ( appena 714 domande dopo 4 mesi e mezzo di applicazione, dal 18 settembre 2017, a fronte di 170.042 famiglie residenti) e Piacenza il minor numero di richieste.  Quasi il 34% (esattamente il 33,6%) delle richieste di contributo è arrivato da nuclei famigliari stranieri, ai quali per effetto della maggiore composizione familiare è stato erogato quasi il 45% dei fondi.

“Questi dati, forniti dalla stessa Regione (nella piattaforma web E-R sociale: https://sociale.regione.emilia-romagna.it/news/2018/febbraio/reddito-di-solidarieta-gia-11mila-le-domande-bologna-e-modena-citta-201ccapofila201d) dunque non di parte, dimostrano che agli stranieri, che rappresentano non più dell'11,9% della popolazione residente totale dell' Emilia-Romagna e non oltre il 15-18% nelle varie province, è stata concessa una quota del contributo economico proporzionalmente superiore rispetto a quella destinata agli italiani residenti. E allora, a nostro parere, si deve mettere mano e correggere al più presto i meccanismi di erogazione del sussidio”: afferma Fabrizio Ragni, capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale a Forlì che spiega: “In città più del 40% dei fondi stanziati nel primo bimestre del 2018 per il Res è stato erogato a beneficio dei nuclei familiari stranieri, che nella nostra città rappresentano appena il 12 % dei residenti”.

“Ancora una volta ci siamo dimostrati facili profeti: 40% dei beneficiari del reddito di inclusione non è italiano. Lo avevo detto fin dall’inizio che questo strumento sarebbe stato utilizzato dai sinistrati per coccolare i loro (presunti) futuri elettori. I dati parlano chiaro. E comunque lo Stato deve garantire lavoro, non assistenzialismo”: ha dichiarato Galeazzo Bignami, deputato bolognese di Forza Italia.

Il Res viene corrisposto in maniera universalistica (italiani e stranieri) alle persone in grave difficoltà economica con reddito Isee inferiore ai 3.000 euro e residenza in regione da almeno 24 mesi.

“Almeno tre le storture del sistema. E' sbagliato moltiplicare il contributo economico con l’aumentare dei componenti del nucleo familiare, visto il tasso di natalità (pari a zero) degli italiani e la consuetudine degli stranieri di mettere al mondo più figli. E' discriminatorio fissare in appena 24 mesi la residenza in Emilia-Romagna. Inoltre, segnalo che mentre nel calcolo del reddito Isee gli italiani sono sottoposti a controlli incrociati gli stranieri si possono permettere di omettere – come ci riportano già spiacevoli casi di cronaca – di essere proprietari di beni e di immobili nei Paesi di origine. Così da partire avvantaggiati nella redistribuzione delle risorse. Un discorso che possiamo formulare anche per i criteri di assegnazione del Rei – il Reddito di inclusione, non a caso una delle ultime manovre sociali approvate dal governo Gentiloni-Renzi che di fatto, come per la misura disposta dal governatore Bonaccini, (stessa provenienza politica: il Pd) finirà col sovvenzionare migliaia e migliaia di immigrati”: aggiunge il capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale a Forlì, Fabrizio Ragni.

Dunque la critica di Forza Italia è netta: il Reddito di solidarietà, nato con l'intento consacrato di rappresentare un contributo economico per persone e famiglie in gravi difficoltà economiche e in stato di povertà, a partire dagli anziani, si è rapidamente trasformato nell'ennesimo contributo a favore degli stranieri.

“Abbiamo chiesto l' introduzione del quoziente familiare e non il numero dei componenti la famiglia come fattore per aumentare in misura proporzionale il contributo economico e pare che almeno questa nostra richiesta sia inserita fra le modifiche che entreranno in vigore a livello nazionale per il calcolo del Reddito di inclusione. Ovviamente questa correzione è insufficiente. Tornando al il Reddito di solidarietà introdotto in Emilia-Romagna riteniamo che si debbano incrementare gli importi stanziati dalla Regione e che si debba modificare la norma, riservando il Res soltanto agli italiani e chiedendo che venga introdotto un criterio di residenzialità di almeno 10 anni. Chi vuole accedere a questi strumenti deve diventare cittadino italiano senza scorciatoia alcuna”: ha dichiarato Galeazzo Bignami, deputato eletto il 4 marzo nella fila di Forza Italia.

Fabrizio Ragni ha lamentato anche la: “scarsa informazione attorno a questo sussidio, a fronte di un passa parola che ha raggiunto invece velocemente la rete degli immigrati, che di fatto ha penalizzato proprio la provincia di Forlì-Cesena”.

“La richiesta del Reddito di solidarietà è subordinata all’adesione del richiedente ad un progetto personalizzato di attivazione sociale e di inserimento lavorativo ma, per poter inoltrare la domanda occorre essere in possesso di due requisiti fondamentali: il reddito Isee inferiore ai 3.000 euro e la residenza in regione da almeno 24 mesi. Tuttavia, se leggiamo attentamente il provvedimento , non si tratta di un progetto per la progressiva autonomia dei nuclei in difficoltà, come vorrebbe far credere chi lo propone, bensì di un mero assistenzialismo che spesso è poco conosciuto persino da chi ne potrebbe beneficiare”: aggiunge Simona Vietina , sindaco di Tredozio e deputato eletta il 4 marzo nel il collegio uninominale di Cesena per Forza Italia.

"Quello che la nostra regione propone è un progetto strutturato in più fasi: la prima consiste nell’accoglienza, spiegazione e presentazione della richiesta. La seconda è l’accettazione della domanda e la predisposizione del progetto di assistenza. La terza e ultima fase consiste nel successivo monitoraggio. Purtroppo però, l’intero progetto sarà a carico del personale dei comuni che, a seguito dei numerosi tagli alle amministrazioni locali, è già sottodimensionato. Considerando le numerose peculiarità , la suddetta operazione avrebbe bisogno di energie dedicate che, nelle nostre amministrazioni comunali, non sono più disponibili a causa di una spending review scriteriata, di una spending review che sovente premia i peggiori a discapito dei più virtuosi. Un esempio su tutti riguarda il sistema del calcolo dei fabbisogni (missioni, rappresentanza, manutenzioni, assicurazioni, tempo determinato....) che sono quantificati in base allo "storico". Da questo ne deriva che i comuni che più hanno risparmiato, hanno meno possibilità di spesa mentre quelli che più hanno speso ne hanno di più. Si sottolinea inoltre che l’assistenza fine a sé stessa non cambia le condizioni di chi vive precariamente. Se si vuole ottenere risultati certi e duraturi è necessario agire con misure forti e che siano in grado di agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro ad ogni età. Sì perché il problema non riguarda solo la disoccupazione giovanile, sono molti gli ultraquarantenni che non riescono più ad essere reintrodotti nel tessuto produttivo. Una misura per essere funzionale deve portare a concrete modifiche strutturali. E’ quindi necessario partire dalla riforma degli uffici del lavoro e dalla reale agevolazione della presenza di imprese sui territori, com’è già stato messo in risalto da una recente intervista dell’On. Bignami": conclude il deputato di Forza Italia Simona Vietina.

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