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Calcio, il personaggio

Dalla Sammartinese al record di presenze in serie A per un forlivese, Riccardo Saponara apre il suo scrigno: "Il segreto? Disciplina e costanza"

L'APPROFONDIMENTO - Di strada Riccardo Saponara, forlivese doc, ne ha fatta. I primi calci al pallone li ha cominciati a dare sul campo della Sammartinese, indossando i colori biancorossi a strisce verticali. Si dava così il benvenuto al 2000

Chi l'avrebbe potuto immaginare che quel bimbo, nato il 21 dicembre del 1991, avrebbe stabilito il record di presenze, tra i giocatori forlivesi, in serie A superando con 230 partite disputate il forlimpopolese ex milanista Luciano Zecchin? Di strada Riccardo Saponara, forlivese doc, ne ha fatta. I primi calci al pallone li ha cominciati a dare sul campo della Sammartinese, indossando i colori biancorossi a strisce verticali. Si dava così il benvenuto al 2000. Poi l'avventura allo Sporting Forlì e quindi la chiamata dal Ravenna per diventare "grande".

Il debutto tra i professionisti in Coppa Italia, con mister Gianluca Atzori a lanciarlo nella mischia nella sfida contro il Genoa di un certo Gabriel Milito, che nel 2010 sarebbe entrato nella storia dell'Inter per il celebre 'triplete' (Champions League, Campionato e Coppa Italia). Poi nel suo cammino ha avuto l'opportunità di indossare le maglie Empoli, Milan (senza fortuna a causa di vari infortuni), Fiorentina, Sampdoria, Genoa, Lecce e Spezia. Tra Serie A e Serie B può vantare 322 presenze e 43 gol, a cui si sommano le 24 presenze nelle coppe arricchite di tre gol.

Non ha indossato la maglia della Nazionale, ma con quella dell'Under 21 ha collezionato 22 partite e tre gol. Guardando invece all'ultima parte di carriera, il 21 luglio scorso si era accasato al Verona, sempre in Serie A, firmando un contratto annuale, ma dopo soli sei mesi e 14 presenze ha chiuso la sua esperienza in gialloblu per iniziare quella in Super Lig turca con l'Ankaragücü guidato dall'ex interista Emre. 

Saponara, ha dovuto lasciare improvvisamente Verona. Come ha vissuto quei giorni?
"L'idea di trasferirmi a gennaio l'avevo avuta già prima che si aprisse la finestra di mercato invernale. Non cercavo un'altra squadra in Italia, ma volevo un'esperienza all'estero. Il fatto poi che si sia concretizzato il tutto nel giro di due giorni sicuramente mi ha un po' scombussolato, perchè ho dovuto prendere una decisione in mezza giornata. Non è stato semplice, però avevo tanta voglia di provare qualcosa di nuovo. Perciò sono stato molto deciso fin dall'arrivo di questa proposta e dalla telefonata del mister che mi ha convinto subito". 

Ora sta vivendo una nuova avventura all'Ankaragücü. Che differenza c'è tra il calcio turco e quello italiano?
"Sicuramente il calcio italiano si contraddistingue per la maggiore qualità e tecnica, mentre dal punto di vista fisico non ho percepito troppe differenze. Probabilmente i modi di giocare sono leggermente differenti, quindi cambia l'approccio alle partite. In Italia si può dire che c'è un tipo di gioco più ragionato, che comporta una fase difensiva differente, mentre il calcio turco si basa maggiormente sulla fisicità, intensità e sulle seconde palle. Sono poche le squadre che giocano in modo ragionato partendo dalla difesa e questo comporta una richiesta diversa, sia tecnica che fisica". 

Si trova più a suo agio come trequartista o attaccante esterno?
"Il mio ruolo più congeniale è sicuramente quello di trequartista; tuttavia l'essermi spostato più a sinistra negli ultimi tre-anni mi ha permesso di rigenerare un po' la mia carriera, anche perché faticavo a trovare una collocazione tattica prima della svolta di mister Fabio Liverani a Lecce, quando mi spostò appunto a sinistra. Sono quindi riuscito a trovare nuove sfaccettature del mio gioco, con una differente richiesta fisica. Questo ruolo l'ho interpretato in modo differente rispetto ad un esterno puro, ma credo di esser riuscito a soddisfare le richieste dei miei allenatori e ciò che si aspettavano da me. E' chiaro che come trequartista le mie caratteristiche migliori vengono fuori maggiormente". 

Come si trova con i suoi nuovi compagni di squadra?
"Mi trovo davvero bene in quanto 4-5 ragazzi parlano in italiano avendo giocato nel nostro Paese, poi con l'inglese me la sono sempre cavata bene. E' una lingua che mi piace molto e mi aiuta nel relazionarmi con i miei compagni, che mi hanno accolto molto bene sin da subito facendomi sentire a casa, come del resto ha fatto la società che mi ha messo a disposizione tutti i servizi di cui avevo bisogno. In pochissimo tempo posso dire di essermi ambientato e sistemato. Mi sono sentito subito a casa".

Cosa le manca di più dell'Italia e della Romagna?
"Principalmente gli affetti, mi manca vedere la mia famiglia e gli amici settimanalmente, ma avevo messo in conto questo aspetto. Al momento non ho una mancanza particolare delle abitudini che avevo in Italia. Avevo fame di scoperte nuove e mi sono immedesimato completamente in questa nuova realtà".

Chi è stato il suo idolo da bambino?
"Il primo giocatore che mi ha fatto innamorare del calcio è stato Ronaldo, il "Fenomeno". All'epoca avevo anche una sua maglietta dell'Inter. La fede milanista della mia famiglia mi ha fatto legare ai colori rossoneri. Mi è entrato nel cuore fin dal suo arrivo in Italia Riccardo Kakà, con il quale ho avuto l'onore e la fortuna di poter giocare insieme. Giocando nello stesso ruolo è sempre stato la mia fonte d'ispirazione". 

Riccardo Saponara da piccolo-2

Quando giocava da piccolo quali “mister” ricorda con affetto?
"Gli allenatori che ho avuto mi sono sempre rimasti impressi per diversi motivi e tutt'oggi ho ancora contatti con loro, con una telefonata o chiacchierata di grande piacere. Ognuno di loro, per carattere e conoscenze tecniche, mi ha insegnato qualcosa di diverso, aiutandomi a migliorare il mio bagaglio tecnico e umano, influendo molto nella mia crescita e fare carriera". 

Cosa si ricorda del suo debutto nel calcio professionistico?
"Ricordo che è successo tutto in modo veloce e quasi inconsapevole. Fino a 16 anni giocavo nello Sporting Forlì a San Lorenzo con i miei coetanei e nel giro di un anno mi sono trovato a giocare in prima squadra nel Ravenna e successivamente nel giro di un altro anno nell'Empoli. Senza aver pensato di avere una carriera professionistica mi sono ritrovato invece negli stadi che vedevo solo in televisione. Il mio esordio tra i professionisti è stato in Coppa Italia contro il Genoa di grandissimi giocatori del calibro di Palladino, Milito e Thiago Motta. 

Avrebbe desiderato un rapporto migliore col calcio italiano?
"La mia vita era incanalata verso lo studio. Volevo fare Economia all'università. Mi dicevano che ero bravo col pallone, ma non avevo mai fatto un provino fino a 16 anni e non sapevo quale poteva essere la mia dimensione. Sono grato di quel che mi è successo nel corso del mio cammino e di tutte le esperienze meravigliose che ho fatto, anche perché tante cose non avevo mai avuto il coraggio di sognarle. Quindi prendo il bello di ciò che è successo senza star a recriminare per occasioni che non sono riuscito a cogliere. Sono più che contento del percorso fatto e di quello che sto facendo. Mi sono tolto soddisfazioni che mai avrei pensato nella vita di poter fare. Questo tipo di vita mi ha permesso di crescere come uomo e fare esperienze anche fuori dal campo che non avrei mai potuto immaginare di fare. Quindi mi sento molto fortunato anche per il tipo di vita che sto facendo fuori dal campo".

Qual è l’aspetto migliore di essere un calciatore?
"La carriera calcistica mi ha dato la possibilità di crescere tantissimo come uomo e lo dico sempre anche a mia mamma. E' stata una crescita precoce, principalmente sotto l'aspetto caratteriale, perché mi ha consentito di fare esperienze uniche, viaggiando tanto non solo in Italia, ma anche in Europa e nel mondo. A 16 anni sono andato a vivere da solo, altro aspetto che mi ha permesso di crescere velocemente. Inoltre il calcio a 17-18 anni già mette di fronte a sfide importanti, pressioni psicologiche e nervose in quanto ci si ritrova a giocare in stadi con 30-40mila persone. Le responsabilità si sentono ad un'età in cui i coetanei ad esempio studiano. Quindi si è costretti a bruciare un po' le tappe, ma questo mi ha dato l'opportunità di diventare un uomo con un bagaglio di esperienze di vita enormi".

Qual è il rimpianto più grande della sua carriera?
"Onestamente non ho grandi rimpianti. Se vado a vedere il mio percorso ci sono un paio di situazioni che potevano magari andare diversamente, ma per il giocatore che ero nel momento in cui le ho affrontate difficilmente potevo fare di più perché ero in un processo di crescita che ancora mi vedeva probabilmente acerbo. Prendo con molta filosofia quello che è successo, da cui ho tratto beneficio per la mia crescita personale. Un rimpianto può essere collegato agli infortuni che ho subìto e che hanno ostacolato la mia carriera, ma sono in pace con me stesso. Accetto quello che è stato e sta succedendo con grande serenità e senso di fortuna".

Riccardo Saponara da piccolo-3

E il suo sogno?
"Da ragazzo avevo un sogno e l'ho realizzato, ovvero giocare in Serie A. Ero il bambino più felice del mondo quando ho esordito in Coppa Italia con il Ravenna, quindi figuriamoci tutto quello che è successo dopo. Mi sarebbe piaciuto tantissimo indossare la maglia della Nazionale maggiore e questo è il sogno che ancora oggi non sono riuscito a coronare. Un altro sogno potrebbe essere quello di continuare a lavorare nel calcio quando appenderò le scarpe al chiodo e quindi provare a fare l'allenatore o il dirigente. Ho molti stimoli ancora e più passa il tempo e più sono convinto di voler rimanere nel mondo del calcio. E' la mia vita e voglio poter sfruttare il mio bagaglio d'esperienza anche un domani".

Che consiglio vuole dare ai giovani calciatori che sognano di arrivare un giorno in serie A?
"Quello di aver disciplina e costanza. Ovviamente di base ci deve essere la passione, ma ciò che sicuramente mi sono sempre auto-celebrato è il fatto di esser stato un ragazzo che aveva fissato ben in testa i propri obiettivi, disposto a tutto pur di raggiungerli. Nei momenti di difficoltà ho trovato sempre il modo per uscirne, traendo motivi per crescere. Ci vogliono tanti sacrifici, perché bisogna rinunciare a tante cose lungo la strada, come lo stare più tempo con la famiglia, gli amici e le classiche cose che si fanno in età adolescenziale. Ma se si vuole arrivare in alto ci vuole costanza, impegno e dedizione ogni giorno, in tutti allenamenti, ma anche nello stile di vita. Queste sono le condizioni imprescindibili per provare a fare carriera". 
 

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