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Briciole di natura

Briciole di natura

A cura di Riccardo Raggi

Dolce, simpatico e utilissimo: perché i nostri giardini non possono fare a meno del riccio

Una raccomandazione: sono animali pungenti e per manipolarli sono necessari dei guanti di protezione. Inoltre sono vettori di malattie trasmissibili anche all’uomo

Tutti conosciamo il riccio, simpatico animaletto “spinoso” dalla goffa andatura, ma molti non ne conoscono le abitudini e soprattutto l’utilità (per chi  ha un orticello, è un valido alleato per tenere lontane chiocciole e lumache): ecco spiegato come vive e quali accorgimenti adottare quando ne troviamo casualmente uno.

Il Riccio (Erinaceus europaeus) è un piccolo mammifero appartenente all’ordine degli insettivori, anche se in realtà la sua è una dieta onnivora (con prevalenza di alimenti di origine animale): si nutre infatti di invertebrati (dai coleotteri alle forbicine, dalle lumache e chiocciole ai lombrichi e perfino ragni). Inoltre può predare piccoli vertebrati come piccoli rospi, lucertole, piccoli uccelli e micromammiferi, per integrare il tutto con erba, frutti, semi o funghi.
I suoi sensi predominanti sono l’udito e l’olfatto: riesce a sentire un lombrico muoversi diversi centimetri sotto terra, mentre può annusare la presenza di insetti schiacciati fino a 1 metro di distanza. In natura non ha troppi predatori naturali (che percepisce a diversi metri di distanza), anche grazie alla sua capacità di appallottolarsi su se stesso, mostrando solamente una “pungente” superficie; tuttavia cani, volpi, tassi, faine, puzzole o grandi uccelli rapaci possono essere una seria minaccia. Nel Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola, ad esempio, si è visto che una delle prede più ricorrenti del Gufo reale sia proprio il riccio. Anche i ratti possono essere un pericolo, specialmente per i cuccioli o anche per gli esemplari adulti, quando cadono in letargo profondo.

I ricci prediligono le zone con una buona copertura vegetale come i boschi, dove preferiscono frequentare le zone di margine. Possiamo però trovarlo anche in aree coltivate, nei parchi urbani e nei giardini delle case. È avvistabile anche nelle aree più aperte, che però bazzica malvolentieri, se non sono presenti cespugli e bordure che possano garantirgli un nascondiglio. Animale tipico delle zone pianeggianti e collinari, saltuariamente lo si trova anche oltre i 2.000 m di altitudine. 
In questi ambienti il riccio occupa uno spazio variabile fra 1,5 e 2,5 ettari e mentre una femmina può spostarsi di 1,5km per notte, un maschio può percorrere anche il doppio della strada. Nel loro habitat, dove vivono, cacciano e si riproducono, i ricci hanno necessità di costruire un nido dove trovare riparo e riposo; viene utilizzato tutto l’anno, per le diverse necessità, e ne costruiscono di tre tipi: i nidi diurni, utilizzati d’estate quando dorme (ricordo che ha abitudini notturne), i nidi di riproduzione, utilizzati dalle femmine e dai cuccioli, e i nidi invernali (detti ibernacoli), utilizzati per trascorrervi il letargo. Questi ultimi sono realizzati con foglie secche e erba, rametti ed altro materiale che servirà come isolamento termico durante la stagione fredda. 

La stagione riproduttiva va dalla primavera all’estate, con 1-2 gravidanze: dopo 5-6 settimane di gestazione la mamma partorisce da 2 a 8 cuccioli, lunghi dai 6 ai 10 cm, del peso di circa 25g, nudi e con gli occhi chiusi fino alla terza settimana. Dopo pochi giorni iniziano a spuntare gli aculei, che negli adulti sono lunghi circa 25 millimetri e che cambiano colore a seconda delle stagioni. Gli aculei sono dei peli modificati, a struttura cava e rigida: sono orientati in tutti i sensi e si incrociano, inserendosi a tre per tre nell’epidermide, puntati ciascuno in una direzione diversa. La particolare posizione “appallottolata” garantisce al riccio una sufficiente protezione da eventuali predatori (quante volte abbiamo sentito il modo di dire “… chiudersi a riccio...” per indicare una particolare situazione di chiusura emotiva in cui si rifiuta ogni contatto con gli altri).

Con l’arrivo della stagione fredda i ricci si predispongono al letargo (situazione di adattamento alla carenza di cibo e alla scarsa resistenza alle basse temperature), costruendo il nido e accumulando grasso (il grasso bianco viene utilizzato lentamente durante il letargo, mentre il grasso bruno serve per i momenti di attività in caso di giornate calde che provocano temporanei risvegli). Durante il letargo la temperatura corporea arriva a 4-5°C con un battito cardiaco di 20 bpm (contro i 250 circa di un riccio in attività), mentre perderà fino al 50% del proprio peso.

Come tutta la fauna selvatica, anche il riccio è “bene indisponibile dello Stato”, oltre al fatto che (a parte il periodo riproduttivo) non ama stare in compagnia dei suoi simili e nemmeno dell’uomo: di fatto non lo si può addomesticare, né detenere come animale da compagnia (il suo status è tutelato da svariate leggi, fra le quali la Legge Regionale ER 6/2015 che tutela la fauna minore). A volte, per eccesso di zelo, trovando un riccio lo si raccoglie e lo si alimenta, spesso in modo errato, pensando di fare una buona azione, mentre il più delle volte sarebbe sufficiente spostarlo in un prato non troppo distante dal luogo dove lo si è ritrovato o lasciarlo dove lo si è visto (se non si trova in pericolo di investimento o predazione).

Se proprio si vuole fare qualcosa per questi piccoli amici si può lasciare in giardino (durante l’autunno) dei cumuli di foglie, di ramaglie o cataste di legna che rappresenteranno un valido riparo dove rifugiarsi o costruire il nido. Inoltre è bene lasciare una ciotola bassa piena d’acqua vista la loro difficoltà a reperire fonti di abbeverata. Vietatissimo alimentarli con latte vaccino e derivati del latte o mandorle (contengono sostanze velenose per i ricci).

Un’ultima raccomandazione: i ricci sono animali pungenti e per manipolarli sono necessari dei guanti di protezione, ma attenzione: sono vettori di malattie trasmissibili anche all’uomo!
 

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