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Giovedì, 25 Aprile 2024
Briciole di natura

Briciole di natura

A cura di Riccardo Raggi

Il Codibugnolo e l'allegra brigata: Cesena gli ha pure dedicato una zona

Il Codibugnolo (Aegithalos caudatus) è un lontano parente delle cince, piccoli uccelli che frequentano con assiduità i nostri boschetti cittadini durante l’inverno

In inverno, se ci soffermiamo a guardare le chiome ormai spoglie degli alberi, ci potremmo imbattere in gruppi di chiassosi uccellini che, in gruppo, si muovono veloci da un ramo all’altro: si tratta del Codibugnolo. Scopriamo insieme qualche curiosità sul suo conto…. e quale via di Cesena è dedicata a lui.

Il Codibugnolo (Aegithalos caudatus) è un lontano parente delle cince, piccoli uccelli che frequentano con assiduità i nostri boschetti cittadini durante l’inverno.

L’etimologia del nome scientifico deriva dal greco “aighìthalos” (=cincia) e dal latino “caudatus” (=munito di coda), a rimarcare il fatto che questo piccolo passeriforme sia dotato di una lunga coda. Il nome italiano deriva invece da “coda” e “bugnolo” (=vaso di paglia), a indicare anche la particolare forma a sacco del suo nido. Le forme dialettali sono indicate, sia da Ferrante Foschi che da Pietro Zangheri, come “Pudachèn da la coda longa” o “Pudachèn da la manèla longa”, a ricordare che assomiglia molto ad una cincia con la coda molto lunga.

Con un peso di massimo 10 grammi, il codibugnolo è lungo dai 13 ai 16 cm, compresa la coda di 7-9 cm, ed ha un aspetto molto aggraziato e compatto, assomigliando quasi a una piccola pallina chiara munita di coda. Distribuito in tutta Europa, ha una morfologia con numerose varianti, afferenti alle varie popolazioni presenti sul territorio europeo. La sottospecie che è presente in Italia (A. caudatus italiae) ha capo biancastro, con i lati macchiati di scuro, e una banda scura evidente sopra l’occhio, parti inferiori biancastre, con fianchi e addome marrone-rossastro chiaro; il dorso è nero, con macchie rosso vino o marrone-rossastro sulle penne scapolari, mentre le penne timoniere (della coda) sono nere, con le parti esterne dai margini bianchi.

Ha un volo dall’andatura irregolare, con corte ondulazioni e, quando si posa su un rametto, riesce a stare appeso a testa in giù; perlustra ogni parte dell’albero, partendo dal basso fino alla sommità e non staziona mai al suolo. Gregario, si muove in gruppi familiari definiti “brigate”, che possono variare da un numero di 10 (in inverno) fino ad un massimo di 20 in autunno.

È specie sedentaria e parzialmente erratica (cioè compie brevi spostamenti verso la pianura durante la stagione invernale): nidifica preferibilmente in boschi radi di latifoglie (con predilezione verso i castagneti e i querceti), ma non disdegna boscaglie ripariali, arbusteti e perfino giardini cittadini.

La costruzione del nido è portata avanti da entrambi i genitori, che impiegano circa tre settimane di lavoro per ultimarlo: ha forma di sacco, con apertura posta superiormente, ed è costituito da ragnatele, muschi, licheni e sottili fili d’erba; la parte interna è imbottita e rivestita di piume ed ha un’incredibile capacità di trattenere calore, tanto che, se la cova viene interrotta temporaneamente, la temperatura dentro al nido resta costante per 30 minuti circa. La femmina depone da 6 a 12 uova di colore bianco-rosato, con punteggiatura di color arancio-ruggine, e la cova dura circa due settimane, al termine delle quali nasceranno pulcini ciechi e implumi. Oltre ai genitori, non è infrequente che l’imbeccata sia portata avanti anche da altri individui: si tratta generalmente di parenti del maschio, che non si sono riprodotti o che hanno avuto un fallimento nella cova (evento non raro, visto che solo il 17% delle coppie porta a conclusione la riproduzione). Questo atteggiamento porta ad una serie di vantaggi: viene assicurato il patrimonio genetico di un “parente”, si fa esperienza di “accudimento” della prole in vista delle future riproduzioni, si conoscono nuovi territori e nuovi “compagni di brigata”. Spesso le coppie fanno una seconda covata, a meno che la perdita della prima non avvenga tardivamente. Dopo circa 20 giorni di imbeccate, i giovani sono in grado di involarsi, pur rimanendo nei pressi del nido per altre tre settimane, sporadicamente alimentati ancora dai genitori.

Una curiosità (che potete leggere più completamente nel testo In un batter d'ali. Gli uccelli di città e di campagna della Valle del Savio, loro storie, i perché dei nomi dialettali / G.Papi) lega il codibugnolo alla città di Cesena e riguarda la zona della Valdoca. Questa è un’area ben nota ai Cesenati: in antichità era un’area palustre abitata da oche, da cui l’origine del nome. Sebbene bonificata in epoca medievale, resta ancora percepibile il dislivello che da Piazza della Libertà scende verso il Viale Carducci, attraversando questo quartiere. In questo dedalo di stradine troviamo la Via Paiuncolo. Anticamente questo nome era riferito ad un uccello palustre e, letteralmente, deriva dal termine “paglia in culo”, ad indicare una lunga coda che, a prima vista, assomiglia proprio ad una pagliuzza. Vecchi dizionari etimologici vedono associare il termine “paiuncolo” al codibugnolo, compreso il Dizionario degli Uccelli Italiani scritto nel 1931 da Carlo Gilardino: in questo stesso testo al codibugnolo è associato il nome dialettale toscano di “Paglinculo” e quello umbro di “Penninculo”. La cosa strana è che il codibugnolo non è un passeriforme tipico delle zone umide, come lo è invece un suo simile, il Basettino, che ama frequentare canneti e paludi e che è altrettanto dotato di una lunga coda. Chissà se in epoca medievale (periodo a cui risale l’etimo Paiuncolo) ci si riferisse proprio al nostro Codibugnolo o ad un altro uccello, ma di certo questa lunga coda aveva attirato l’attenzione di ornitologi ante litteram.

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