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Briciole di natura

Briciole di natura

A cura di Riccardo Raggi

Il ghiro: curiosità e aneddoti del dormiglione per antonomasia. Nell'antica Roma era una prelibatezza in cucina

Il ghiro è ben conosciuto fin dall’antica Roma e veniva allevato, non con lo scopo di avere un animale da compagnia, quanto per motivi gastronomici

Il ghiro è l’animale dormiglione per antonomasia, che suscita sentimenti contrastanti: tenerezza quando lo vediamo sbucare dalle fronde di un albero, con quei suoi occhioni neri, rabbia quando infesta i solai delle case di campagna. Scopriamo qualche curiosità sul suo conto.

Il ghiro (Myoxus glis) è un roditore appartenente alla famiglia dei Gliridi: originariamente il suo nome scientifico era Glis glis (nome latino del ghiro) mentre, più recentemente, il suo genere è stato rinominato Myoxus (che in greco significa ghiro grasso), probabilmente a causa delle sue abitudini alimentari pre-letargo. È una specie ampiamente diffusa in Europa, dalla Spagna fino all’Ucraina e Asia Minore settentrionale; presente anche nelle maggiori isole del Mediterraneo, in Italia vive su tutto il territorio. Più o meno equamente distribuito dalla pianura alla montagna (a volte fino ai 1000 m di quota), il suo habitat elettivo è costituito da parchi, giardini, frutteti, boschi di querce e latifoglie in generale.


È lungo circa 30 centimetri, di cui quasi 13 cm sono costituiti dalla coda, e pesa in media 75 grammi. La pelliccia è di colore grigio cenere nella parte dorsale e biancastra sul ventre; la coda ha una colorazione un po’ più intensa rispetto al dorso. Proprio la coda ha una particolarità che gli consente di sfuggire ai predatori: presenta infatti un punto di pre-frattura nelle vertebre caudali. Se un predatore riesce ad afferrare la coda di un gliride e a lacerarne la pelle, questa si staccherà facilmente, consentendo al ghiro di mettersi in salvo. Rimarrà visibile solo una delle vertebre caudali, priva di pelo, che con il tempo si asciugherà e cadrà. Dopo poco tempo non resterà nessun segno visibile ma, a differenza delle lucertole, al ghiro la coda non ricrescerà più. Il muso è caratterizzato da due grandi occhi neri, contornati di pelo nero, che li fanno sembrare più grandi. Le fitte e lunghe vibrisse lo aiutano negli spostamenti visto che ha abitudini notturni. Le orecchie sono rotondeggianti e piccole. 


Arboricolo, abile arrampicatore ed equilibrista (grazie alla sua coda che ha funzione di bilanciere negli spostamenti e che avvolge quando è in riposo), lo si avvista spesso correre sui fili della luce o del telefono, facendo avanti e indietro tra un rudere e il bosco: è infatti un abituale frequentatore delle case rurali, trovando rifugio nei sottotetti e creando molti danni, in quanto si intrufola nelle intercapedini, sconquassando le tegole e rosicchiando le travi di legno.


Il ghiro ha una dieta prevalentemente vegetale: si nutre di castagne, nocciole, bacche e ghiande, ma anche di frutti di bosco e funghi. Soprattutto dopo il risveglio dal letargo, il ghiro ha necessità di recuperare le forze: attinge così alle riserve di bacche e noci che ha conservato accanto a sé, integrando la sua dieta cibandosi di uova o mangiando nidiacei, insetti o altri invertebrati. In queste situazioni diventa un predatore abilissimo nello scovare nidiate e uova all’interno delle cavità degli alberi o sui rami. La grande voracità dei ghiri è motivata dal fatto che, durante il letargo, perdono fino a metà del loro peso: da qui la necessità di accumulare quante più riserve di grasso possibile, al fine di aumentare le loro possibilità di sopravvivenza. 


All’arrivo dell'autunno lascia il riparo estivo per occupare il nido invernale (solitamente in una cavità di un albero, tra le travi di una casa o nel terreno a circa 50-60 cm di profondità): il nido è rotondeggiante, rivestito di foglie, con entrate laterali e tappezzato internamente con materiali soffici. Il letargo (o ibernazione) dura circa da ottobre ad aprile, ma può essere occasionalmente interrotto per consumare qualche noce o bacca.
Il ghiro può vivere in natura anche oltre dieci anni ed il segreto di questa sua longevità è da ricercarsi proprio nell’effetto benefico del letargo: alcuni studi hanno dimostrato che i ghiri più anziani (sia maschi che femmine), hanno un letargo di durata inferiore e quindi, rispetto agli esemplari più giovani, tendono a ritardare il riposo invernale e ad anticipare il risveglio estivo. Il risultato di questa strategia è che gli animali più vecchi sono sessualmente più attivi, con maggior tempo a disposizione per l’accoppiamento e la riproduzione.

Curiosità
Il ghiro è ben conosciuto fin dall’antica Roma e veniva allevato, non con lo scopo di avere un animale da compagnia, quanto per motivi gastronomici. Questi piccoli roditori venivano allevati entro grandi recinti murati, i glirarium, poi, al bisogno, alcuni esemplari venivano posti in grossi otri di argilla del diametro di circa 50 cm: qui venivano messi “all’ingrasso”, alimentandoli con castagne, noci e ghiande. Raggiunto il peso voluto venivano cucinati… ed erano considerati una vera prelibatezza!


L’utilizzo in gastronomia non è solo prerogativa dell’antica Roma: il suo nome inglese “European edible dormouse” (la cui traduzione letterale è “topo dormiente commestibile europeo”) è inequivocabile. Specie protetta dagli anni ’80, In Slovenia la caccia al ghiro ha una lunga tradizione popolare, ed è ancora praticata (in questo paese l’Unione Europea non ha messo la specie sotto protezione comunitaria): i ghiri sono utilizzati tanto in cucina quanto nella farmacopea (il grasso dovrebbe essere lenitivo per la cura delle ferite e curativo per stomaco e intestino).  Motivo di caccia è anche la sua pelliccia, in particolar modo in Slovenia, dove si produce un cappello di pelliccia di ghiro chiamato “Polhovka”.
 

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