Il Maggiociondolo: uno degli alberi più belli delle foreste romagnole
Altro nome comune di questa pianta è Avorniello, citato anche da Pascoli nella sua poesia “Capinera”
Nel suo nome sono racchiuse le caratteristiche principali, che lo fanno uno degli alberi più belli delle nostre foreste romagnole: è il Maggiociondolo.
Il Maggiociondolo (Laburnum anagyroides) è un piccolo alberello appartenente alla famiglia delle Fabacee (o Leguminose), con corteccia liscia, grigio-verdastra, e rametti verde scuro, spesso con portamento arbustivo, alto dai 5 ai 10 m e dalla chioma espansa. Le sue foglie sono caratteristiche e inconfondibili: dotate di un lungo picciolo, sono composte da tre foglioline alterne ellittiche, a margine intero. Il fiore è costituito da un grappolo (chiamato racemo) di piccoli fiorellini giallo-oro, con petalo superiore di dimensioni maggiori, screziato, di colore rosso-brunastro. La fioritura, alle nostre latitudini, avviene solitamente nel mese di maggio ed il racemo, così come il fiore di Robinia, ciondola tipicamente verso il basso: queste due caratteristiche hanno valso all’albero il nome, appunto, di Maggiociondolo. I suoi frutti sono costituiti da un baccello, contenente molti semi neri.
Il legno è molto duro e si conserva bene anche a contatto con il terreno e perciò viene usato per pali, sia come tutori morti della vite, che per recinzioni o piccoli lavori al tornio; trova impiego anche in liuteria, soprattutto nella realizzazione di strumenti a fiato. L’albero è noto anche come “falso ebano”, in quanto il legno, molto duro e bruno scuro, viene impiegato in sostituzione dell’ebano nella fabbricazione di strumenti e arredi. È un combustibile di ottima qualità.
È una specie che, in Italia, vegeta fino oltre i 1000 m di quota, preferendo posizioni soleggiate e terreni calcarei, costituendo boschi di latifoglie, in cui si consocia con castagno, carpino, quercia e faggio. Grazie al suo sviluppo radicale esteso, è molto adatto per il consolidamento di scarpate e pendii. Nonostante la sua bellezza, è una pianta cui prestare molta attenzione: è infatti velenosa (sia per l’uomo che per gli animali) in tutte le sue parti. In particolar modo i semi contengono citisina, un alcaloide tossico, che provoca convulsioni dei centri vasomotori e respiratori, e può causare gravi avvelenamenti, con esiti anche mortali.
Vi sono anche alcune leggende legate a questo alberello: si narra infatti che, in passato, le streghe usassero il Maggiociondolo per preparare bevande psicoattive, che davano loro senso di leggerezza e di inconsistenza del peso corporeo: questo stato di alterazione psichica può essere noto come il "volo della strega". Durante i loro sabba le streghe, come segno distintivo, utilizzavano un bastone di Maggiociondolo, sul quale, si dice, cavalcassero durante i loro viaggi e divenuto pertanto simbolo del volo.
Noto anche col nome comune di Laburno, l’etimologia del nome generico "labúrnum" significa “pianta simile al citiso”, mentre il nome specifico invece deriva da "anagyris" = carrubazzo (Anagyris foetida, un’altra pianta appartenente alla famiglia delle Fabacee) e dal greco “εἷδος eidos” = aspetto, quindi dall’aspetto simile al carrubazzo.
Altro nome comune di questa pianta è Avorniello, citato anche da Pascoli nella sua poesia “Capinera”: […] Il tempo si cambia: stasera vuol l'acqua venire a ruscelli. L'annunzia la capinera tra li albatri li avornielli: tac tac […]
Un altro illustre “collega” del Pascoli ha utilizzato il Maggiociondolo come ispirazione: si tratta di J.R.R. Tolkien, ben noto agli amanti del genere fantasy e della saga de Il Signore degli Anelli, che si ispirò al Laburno per l’origine di Laurelin, uno dei due alberi mitologici descritti in un altro celebre suo libro, Il Silmarillion.