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Briciole di natura

Briciole di natura

A cura di Riccardo Raggi

Quando la natura annuncia la primavera: scopriamo i 'messaggeri' della bella stagione

Quando i nostri occhi iniziano a scorgere alcuni piccoli capolavori colorati, significa che innegabilmente la primavera (per lo meno quella meteorologica) è alle porte

Quest’anno l’inverno si è visto poco, l’allarme siccità è alle porte e ciascuno di noi, camminando nel bosco o in qualsiasi area naturale, sia di montagna che di pianura, si sarà accorto che la vegetazione si sta già risvegliando. Alcuni fiorellini già occhieggiano qua e la nei prati, nel sottobosco o fra le aiuole anche in città. Quando i nostri occhi iniziano a scorgere questi piccoli capolavori colorati, significa che innegabilmente la primavera (per lo meno quella meteorologica) è alle porte. Allora proviamo a scoprire alcuni di questi messaggeri della bella stagione.

La Primula comune (Primula vulgaris), come indica il nome stesso, è forse il primo fiore che vediamo apparire nel sottobosco. Il nome della specie deriva dal diminutivo del latino “primus” cioè primo, a causa della precoce fioritura, mentre il termine “vulgaris” deriva da “vulgo” (molto comune, banale) per via della sua ampia diffusione. La corolla è di un bel giallo pallido con fiori singoli e foglie glabre superiormente e pelose nella pagina inferiore. La possiamo osservare nelle zone prative marginali ai boschi di latifoglie, nelle faggete o nei querceti, lungo i sentieri e nei boschi di carpino. Distribuita da 0 a 2000m sul livello del mare.

Altro fiore degli ambienti boscati è l’Erba trinità (Hepatica nobilis). Conosciuta anche come Fegatella o Anemone epatica, deve il suo nome alla parola greca “hépatos” (fegato) per via del colore della faccia inferiore delle foglie (e anche della forma dei lobi fogliari, che ricordano vagamente la forma del fegato), mentre il termine “nobilis” (nobile) lo si deve alle loro presunte proprietà curative. Il nome generico invece è da ascrivere alla sua forma trilobata nonchè dal fatto che, in epoca medievale, questa pianta era spesso raffigurata negli affreschi quando si voleva rappresentare la natura trina di Dio. Il fiore, solitario e a 6-9 petali, è blu-violaceo e lo si può osservare in ambiente boscoso in semiombra, alle quote collinari e montane, dai 100 ai 2000 m. Questa pianta è ricca di alcaloidi tossici che ne rendono rischioso l’utilizzo, anche se (sapendola trattare e preparare) sembra essere un buon rimedio per i disturbi di fegato o digestivi (ma, come si dice… non fatelo a casa!)

Sempre al margine dei boschi cedui, in luoghi cespugliosi o sassosi e mai troppo assolati, in radure di ambienti ombrosi e freschi, già da qualche giorno possiamo vedere fioriti gli ellebori che, nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna possiamo osservare in tre specie distinte: Elleboro fetido, Elleboro verde ed Elleboro di Boccone (le ultime due in realtà sottospecie della specie viridis). Il termine elleboro (tradotto in latino come Helleborus) deriva dal greco “hélo” (io uccido, elimino) e “borá” (cibo, pasto: da non cibarsene perché velenoso): ed in effetti le piante di elleboro sono tossiche/velenose. Le specie “verde”, “di Boccone” e “fetido” fanno invece riferimento, rispettivamente, al termine “viridis” (verde) per il colore generale della pianta, al termine “bocconei” in onore del botanico e medico cistercense siciliano Paolo 'Silvius' Boccone, esploratore vissuto a fine del 1600, ed infine al termine “foéteo” (dall’odore sgradevole, puzzolente) sebbene l’odore delle sue foglie non sia così insopportabile. A seconda della specie, i fiori vanno dal verde chiaro al verde acido, in alcuni casi con il bordo dei petali color purpureo. Le foglie invece sono generalmente di un bel verde scuro con il margine grossolanamente dentato.

Passeggiando in questi giorni sulle zone prative o erbose (da quote basse fino al crinale) o nei boschi delle Foreste Casentinesi, inizia a spuntare un bellissimo fiore dal calice bianco o violetto (più o meno intenso) con 3 pistilli di un bel colore giallo molto intenso, quasi aranciato: si tratta del Croco (Crocus vernus). Il termine “crocus” viene dal greco "kròkos” (zafferano, che a sua volta proviene dall'arabo "safran” cioè zafferano), mentre " vernus", deriva "veris" (primavera, riferito al periodo di fioritura). Questo bellissimo fiore non deve essere confuso col più pericoloso Colchico (Colchicum autumnale) che come chiarisce il nome della specie, fiorisce alla fine dell’estate / inizio autunno e porta 6 pistilli. Piccoli dettagli che possono salvare la vita, visto che il Croco è edibile (la varietà sativa è coltivata per la produzione dello zafferano) mentre il Colchino è tossico.

A chi invece preferisce passeggiare in città, non sarà sfuggita la presenza di piccolissimi fiorellini di colore violetto azzurro con la base giallo chiara: è la Veronica comune (Veronica persica), meglio conosciuta con il nome di Occhi della Madonna. L’etimologia è controversa e interessante: mentre il nome della specie “persica” fa chiaro riferimento al suo paese d’origine (la Persia) il nome del genere “Veronica” ha molteplici ipotesi. Una di queste sembra fare riferimento a Santa Veronica (vissuta nella seconda metà del ‘400), una seconda invece ritiene che il nome derivi dalla traslitterazione da V a B del termine Betonica (il nome di una pianta che appartiene alla stessa famiglia della Veronica) mentre una terza fa indirettamente riferimento alla Veronica che asciugò con un panno il volto di Cristo durante la salita al Calvario, come modifica dell’espressione “vera ikona”, cioè vera immagine (quella del volto di Gesù che rimase impresso sul panno della Veronica).

Come vedete, la primavera è ormai alle porte: occhi aperti! 

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