È in Romagna la pianta della bacchetta magica di Harry Potter
Al genere Sambucus L. appartengono oltre 20 specie differenti, costituite da piante arbustive di medio-grandi dimensioni, a volte con portamento arboreo di altezza variabile fra i 5 e 10 metri
Cos’hanno in comune Harry Potter e le azdore che vivevano nel secolo scorso nelle case sparse lungo l’Appennino Romagnolo? Una pianta, utile sia per fare bacchette magiche, sia per fare marmellate: è il Sambuco.
Al genere Sambucus L. appartengono oltre 20 specie differenti, costituite da piante arbustive di medio-grandi dimensioni, a volte con portamento arboreo di altezza variabile fra i 5 e 10 metri. In particolare, in Romagna è frequente e diffuso il Sambuco comune (Sambucus nigra): il suo habitat elettivo sono le radure, i boschi di pianura e submontani, le scarpate, gli ecotoni ai margini dei boschi, anche in zone umide, finanche gli spazi lasciati liberi da altre piante, persino negli ambienti più antropizzati ed urbanizzati. Predilige suoli freschi e ricchi di nutrienti, dalle quote di pianura fino ai 1.400 metri.
L’etimologia del nome comune Sambuco, sembra derivi da “sambucus”, nome latino in Plinio e Columella; secondo alcuni il nome latino deriverebbe dal greco “σαμβύκη – sambúke” (sambuca), uno strumento musicale a corde, che si suppone venisse realizzato usando legno di sambuco; il nome specifico “nigra” deriva dal latino “niger” (=nero), per il colore dei frutti.
Il Sambuco comune ha un tronco contorto e irregolare, molto ramificato fin dal basso e dall’andamento sinuoso e spesso biforcato; i rami sono opposti, con andamento arcuato e ricadente; la corteccia del tronco è grigio-bruna e profondamente fessurata, mentre quella dei rami è grigio chiaro, liscia e cosparsa di lenticelle longitudinali brunastre.
Inconfondibile e segno diagnostico di questa pianta è la sezione dei rami e del tronco, che evidenzia un midollo centrale bianco, di consistenza spugnosa, soffice ed elastica, talmente morbido che è possibile toglierlo semplicemente facendo pressione con un rametto. Questa sua proprietà è stata sfruttata per costruire semplici giochi popolari di origine contadina, come cerbottane, fischietti o lo schioppetto (un rametto del diametro 4–5 cm e di lunghezza 20–25 cm, al quale veniva tolto il midollo ed inserito al suo posto un ramo poco più lungo e di pari diametro del midollo appena tolto).
I rametti portano foglie (lunghe tra i 10 e i 30 cm) composte da cinque foglioline ovate-lanceolate, con margine dentato-seghettato e apice acuminato, di colore verde brillante. I fiori (ermafroditi) sono riuniti in infiorescenze peduncolate ombrelliformi (chiamate corimbi) di diametro fra i 10 e 20 cm, dalla corolla arrotondata e composta da 5 petali color bianco avorio. I frutti sono piccole bacche (drupe) viola-nerastre a maturità, raggruppate in infruttescenze pendule, su peduncoli rossastri Il sambuco comune fiorisce in aprile-maggio e fruttifica in luglio-agosto.
I frutti e fiori di sambuco trovano largo uso in medicina ed erboristeria, mentre tutto il resto della pianta (foglie e semi compresi) è velenoso poiché contiene il glicoside sambunigrina, che provoca bruciori e senso di raschiamento alla gola, vomito e diarrea, mal di testa, difficoltà di respiro e crampi. I frutti maturi, depurativi e lassativi, contengono vitamina A e C e possono essere mangiati, anche se, solitamente, vengono usati per la confezione di marmellate e sciroppi, mentre il succo è impiegato nella cura delle nevralgie e dei crampi allo stomaco. Inoltre, il succo può essere impiegato per tingere le fibre naturali, nelle varie tonalità del viola, tant’è che un tempo era impiegato come sostanza colorante per il cuoio e, fino a qualche decennio fa, si utilizzava per ricavarne inchiostro.
I fiori freschi, fritti in pastella e poi passati nello zucchero, sono un ottimo dolce, ottimi anche nelle insalate, nelle frittate e nelle macedonie; quelli secchi possono essere usati per aromatizzare bevande alcoliche e amari. Con i fiori è possibile fare uno sciroppo, da diluire poi con acqua, ottenendo una bevanda dissetante, molto usata nell’attuale Tirolo austriaco e Trentino alto Adige, in Carnia e nei paesi nordici e dell'Europa orientale. Lo sciroppo entra anche nella preparazione di alcuni cocktail, come l'Hugo. Le infiorescenze, lasciate leggermente appassire, vengono aggiunte al mosto per aromatizzare e favorire la spumantizzazione, mentre in Lombardia si usano per preparare un dolce caratteristico, la panigada o pan mèi. Il fiore, distillato assieme all’anice stellato, è uno degli ingredienti necessari ad ottenere la famosa Sambuca.
Le proprietà dei fiori di questa pianta erano certamente conosciute dai montanari del nostro appennino: per uso interno, venivano usati per combattere la bronchite, la febbre, la costipazione, per uso esterno, grazie alla loro azione astringente e lenitiva, venivano utilizzati sulla pelle, sui foruncoli, sulle scottature o in caso di emorroidi. I principi estratti da questi fiori servono infatti ancora oggi per produrre lozioni astringenti, decongestionanti ed emollienti, utili a normalizzare la secrezione sebacea, bagnoschiuma, emulsioni e maschere per pelli impure e grasse.
La corteccia può essere impiegata per i reumatismi e nelle infiammazioni della vescica, nella ritenzione di liquidi in genere, mentre un pizzico di foglie secche polverizzate può servire a fermare il sangue dal naso.
Pianta dal forte significato simbolico, la pianta di Sambuco ha ispirato leggende che affondano le loro radici nei tempi più antichi e forse non è un caso se la scrittrice britannica J.R. Rowling abbia pensato alla bacchetta magica più potente costituita da legno di sambuco.
Per approfondire questo argomento si rimanda al sito www.actaplanctarum.org, da cui sono state tratte molte delle informazioni riportate nell’articolo.