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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

Il blasone di Palazzo Albicini

Il lungo corpo orizzontale dell’edificio patrizio fronteggia chiesa e convento di San Francesco d’Assisi, in uno dei tratti più accattivanti di corso Garibaldi. Una lapide posta sulla facciata principale del palazzo ricorda la visita di Dante Alighieri fra il 1307 e il 1308

Parlare di Palazzo Albicini significa approcciarsi ad uno dei blasoni più fulgidi del forlivese. Il lungo corpo orizzontale dell’edificio patrizio fronteggia chiesa e convento di San Francesco d’Assisi, in uno dei tratti più accattivanti di corso Garibaldi, già Borgo Schiavonia, la “main street” cittadina. “Noblesse oblige”, il complesso immobiliare in cui si inserisce l’edificio si estende per un intero isolato, fronteggiando anche Palazzo Guarini, in via Torelli, per poi protendersi lungo via Solferino, piazza San Giovanni Paolo II e la stessa Piazza del Duomo dominata da stele e statua della Madonna del Fuoco. Grazie all’eliminazione dei dislivelli operata tra il XVII e il XVIII secolo senza mai toccare l’impianto interno, ancora oggi modello della tipologia residenziale dei palazzi cinquecenteschi, l’imponente facciata su corso Garibaldi appare come un corpo unico.

Se un'antica tradizione fa discendere gli Albicini dal proconsole romano Lucio Postumio Albino, è storia vera il fatto che la famiglia prenda nome da un tal Albizzino, nobile cavaliere vissuto a Città di Castello nel XII secolo, ma costretto all’esilio perché appartenente alla fazione ghibellina, minoritaria in loco. Un ramo della casata intorno al 1300 fissò la propria dimora a Forlì, dove fece fortuna divenendo parte attiva delle pubbliche vicende cittadine. Non sono pochi gli Albicini che si sono distinti nella politica, nelle lettere e nelle armi: basti ricordare il conte Cesare d'Antonio, nato a Forlì nel 1825 e morto a Bologna nel 1891. Nel giugno 1859, costituitasi la giunta provvisoria di governo per le Romagne, divenne membro della commissione che si recò a Torino per offrire la sovranità a Vittorio Emanuele Il.

Fu poi deputato di Forli all'Assemblea costituente delle Romagne, che deliberò la fine del potere temporale del papa e proclamò l'annessione al Piemonte. Dal dicembre 1859 al marzo 1860 fu ministro senza portafoglio nel Governo Farmi, con la reggenza interinale delle Finanze. Dopo il plebiscito delle Romagne e dell'Emilia, venne eletto deputato di Forli per la Destra per la VII legislatura (aprile-dicembre 1860) e rieletto per la successiva nel febbraio 1861. Cessò dall'ufficio di deputato in seguito alla nomina a professore universitario. Tra il 1873 e il 1874 fu sindaco di Bologna. I marchesi Albicini erano proprietari di un cospicuo patrimonio immobiliare nel forlivese e bolognese, a cominciare dalla Villa Pandolfa a Fiumana di Predappio: costruita nel 1700, nel 1940 è stata acquistata dalla famiglia Ricci-Piscopo, attuale proprietaria, che l’ha recentemente restaurata fino a farla divenire “Dimora Storica di Pregio” e sede di un’importante azienda vitivinicola.

Altro esponente di spicco della casata forlivese fu Giuseppe Albicini: vissuto nel XVII secolo, fece ristrutturare la residenza cittadina di corso Garibaldi, da cui il Palazzo Albicini attuale che insiste sull’area dove sorgeva la “Caxa Granda” degli Ordelaffi. Il piano nobile dal 1954 è sede del Circolo ricreativo della Scranna. Nel salone d'onore, sul soffitto, si può ammirare la tela “L'aurora che vola verso l'azzurro per portare al mondo la luce e la vita”.

Dipinta da Carlo Cignani tra il 1672 e il 1674, risalta per fattura ma anche per l’altissimo grado di idealismo formale. Una lapide posta sulla facciata principale del palazzo ricorda la visita di Dante Alighieri: il Divin Poeta, esule da Firenze, fra il 1307 e il 1308 trovò rifugio alla corte di Scarpetta Ordelaffi. Secoli dopo, anche Giosuè Carducci soggiornò nel palazzo di corso Garibaldi, ospite degli Albicini. Il giardino interno, dal 1935 al 1979 è stato usato come spazio per proiezioni cinematografiche all'aperto con il nome di Arena Centrale.

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