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Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Forlì: quando Domenicani e Agostiniani erano vicini di casa

L’ex parcheggio di Piazza Guido da Montefeltro appena restituito al verde (anticamente era l’orto dei Domenicani), divideva il convento dei Domenicani da quello degli Agostiniani. Di entrambi scrive Giuliano Missirini nella sua opera-capolavoro “Guida raccontata di Forlì”, uscita nel 1971 e ristampata a furor di popolo nel 1976

C’è stato un tempo in cui Forlì era definita la città dei conventi. Ne parlano diversi autori, fra cui Ettore Casadei nella sua celeberrima Guida “Forlì e Dintorni”, e lo stesso Giuliano Missirini nella sua opera-capolavoro “Guida raccontata di Forlì”, uscita nel 1971 e ristampata a furor di popolo nel 1976. Nella parte relativa al “Fronte degli Orti”, a lui tanto cara (ha abitato in via Curte, a ridosso dell’ex Monastero della Ripa), il grande letterato/attore/artista/intellettuale scomparso nel 2000, scrive: “Sembra eccessiva, oggi (e lo era), tutta questa conventualità. Ma non rubava spazio in una città di tredici o quattordicimila anime (nel 1371), salite nel 1591 a sole quindicimila”.

La recente inaugurazione dei Giardini del San Domenico, voluti dall’Amministrazione del sindaco Zattini per voltare pagina estetica sulla realtà della “colata di cemento” di piazza Guido da Montefeltro adibita a parcheggio, ha ripristinato lo “status quo” delle origini: l’orto dei Domenicani. A parte la breve (in termini assoluti) parentesi di circa 80 anni (fino al 1967) in cui è stata sede della fabbrica di feltri Bonavita, durante la secolare presenza a Forlì dell’“Ordo Praedicatorum”, fondato nel 1215 da San Domenico, al secolo lo spagnolo Domingo Guzman, quell’area non ha mai ospitato edifici. L’ampio fronte verde (l’ex parcheggio occupava circa 6.500 metri quadrati) era dunque lasciato alle coltivazioni orticole e divideva il convento dei Domenicani da quello degli Agostiniani. Conosciuti in Inghilterra come i “black friars”, i frati neri, per via dell’abito che indossano, totalmente bianco composto da una specie di tonaca a cui è sovrapposto uno scapolare ed infine un cappuccio, i Domenicani s’insediarono in città attorno al 1229. I magistrati cittadini gli assegnarono l’area che continua a portare il loro nome, posta a ridosso delle mura occidentali cittadine. La grande chiesa intitolata a San Giacomo, attigua ai già preesistenti complessi monastici dei Francescani e degli Agostiniani, cominciò subito a prendere forma.

Nei secoli successivi furono apportate numerose modifiche ed integrazioni alla “fabbrica” originaria, al punto da farla diventare una delle più sontuose della città. Nei primi anni del ‘700, si dette incarico al frate architetto Giuseppe Merenda di intervenire sulla chiesa, ampliando l’abside e arretrando la facciata. Ma tutto svanì come una bolla di sapone l’11 agosto 1798, con la soppressione napoleonica: i Domenicani dovettero riparare in fretta e furia a Bologna, senza poter più far ritorno a Forlì. La grande chiesa fu adibita a stalla, fino ad assumere il nome di Cavallerizza. Non ebbero diversa e miglior sorte gli Agostiniani, i vicini di casa. Dominato dalla mole del Monumento ai Gialli del Calvario, che ricorda i militari dell'11° reggimento Fanteria della Brigata Casale caduti nel corso della primo conflitto mondiale, piazza Dante Alighieri, meglio conosciuta come del Vescovo, assolve la funzione di parcheggio pubblico a due passi dal San Domenico. Pochi sanno che sotto quello spiazzo asfaltato si nascondono i resti di un importante luogo di culto: la chiesa di Sant’Agostino. Fu eretta tra il 1301 ed il 1307 dagli Agostiniani, i quali, dalla loro dimora posta fuori Porta Schiavonia si trasferirono nel nuovo convento, corrispondente all’attuale caserma della Guardia di Finanza. Nel 1387, la chiesa fu abbellita con un’imponente facciata, mentre il campanile fu completato solo nel 1515.

Ancora Missirini ne parla come di uno splendido edificio: “E’ del 1448 la notizia di una chiesa bella, antica, ricca, scomparsa senza lasciare traccia di fondamenta o rammarico di cronista”. Il disastroso terremoto del 17 luglio 1781 danneggiò a tal punto il centro di culto, da imporne l’abbandono. Gli Agostiniani se ne andarono definitivamente da Forlì nel 1797 all’arrivo degli invasori napoleonici, che adibirono la chiesa in rovina a ricovero per la cavalleria. Il convento divenne invece sede del Tribunale. Tra il giugno e l'agosto del 1802 si procedette alla demolizione di quanto rimaneva della chiesa. Fra le opere d’arte che si poterono salvare spiccano due tele della scuola di Carlo Cignani, oggi conservate a Santa Maria in Laterano in Schiavonia. 

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