rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Perché cancellare gli ultimi resti dell’antica San Biagio?

Quel tragico 10 dicembre 1944, al bombardamento tedesco che distrusse la chiesa quattrocentesca con la cappella Feo affrescata dal Palmezzano e dal Melozzo, scamparono un pugno di opere d’arte, ma anche cinque arcate del porticato anteriore, demolite alla fine degli anni ‘60

La distruzione della chiesa quattrocentesca di San Biagio in San Girolamo, occorsa nel pomeriggio del 10 dicembre 1944, è cosa nota e tuttora dolorosa: “Alle 17,15 precise – scrive Antonio Mambelli nei suoi Diari - alcuni aerei tedeschi compaiono improvvisamente sui cieli”. Si tratta di quattro “Focke-Wulf 190 F8”, dotati ognuno di una sola bomba “Grossladungsbombe SB 1000” munita di spoletta “AZ 55 A” con sviluppo esplosivo orizzontale, anziché “ad imbuto” (mancanza del cratere) per farla esplodere prima dell'impatto al suolo. La squadriglia era partita dall’aeroporto militare di Verona ed aveva viaggiato quasi a volo radente, per non farsi scoprire dai radar inglesi.

Giunti su Forlì, gli aerei sganciano il loro carico da 2.200 kg su San Biagio e in corso Diaz (nel punto in cui attualmente sorge il teatro Diego Fabbri). Alla cancellazione della chiesa, con la cappella Feo affrescata da Marco Palmezzano e Melozzo degli Ambrogi, scampò giusto un pugno di opere d’arte: il Trittico del Palmezzano con la Madonna in Trono e Santi, l’Immacolata Concezione di Guido Reni realizzata nel 1627, un’acquasantiera quattrocentesca in marmo bianco e il sepolcro funebre di Barbara Manfredi, scolpito nel 1466 da Francesco di Simone Ferrucci e ricollocato in San Mercuriale al termine dei restauri. Anche le campane dell’antica San Biagio continuano ad assolvere la loro funzione, essendo state rimontate sul campanile del Duomo, ricostruito a partire dal 1970.

A dire il vero erano scampate anche le prime arcate del porticato antistante la basilica, che risultarono provvidenziali per una decina di persone, fra cui il direttore dell’oratorio salesiano, don Marco Perego, che racconta: “Quasi tutti i fedeli erano usciti dalla chiesa al termine della celebrazione. Si era a cento passi dal portone quando si sentì la contraerea e si vide un aereo nemico sganciare. Ci buttammo sotto il portico fra i camion inglesi. Fu un attimo: un cascare di macerie, un polverone che ci soffocava, dissolto il quale San Biagio non c’era più”. Alcuni anni fa, Romeo Rosetti, ex segretario generale del Comune di Forlì, scomparso ultranovantenne nel 2019, testimoniò che “anche il porticato davanti alla chiesa, composto da ben 16 arcate, venne distrutto quasi completamente. Il quasi è fondamentale: ne rimasero in piedi solo 5, proprio quelle sotto cui ci siamo salvati mia mamma, mia sorella ed io”.

Sempre quelle arcate salvifiche erano state, fra le due guerre, “luogo di lavoro” di una vecchina leggendaria in Borgo San Pietro: la Patrina. Il merito di averla sottratta all’oblio va al grande Giuliano Missirini. “Quel portico – scrive nella sua Guida Raccontata di Forlì - non era bellissimo col suo povero intonaco spoglio, ma non pretendeva essere altro che un’accogliente appendice (…) e le stagioni si avvicendavano senza troppo variare l’atmosfera di un luogo che una statica presenza, la Patrina, rendeva ancor più ferma”.

L’anziana, di cui non è dato di sapere l’identità, operava sotto la terza campata di destra con la sua banchetta: “Vendeva mentine, cioccolatini stantii, annosi savoiardi, muchini, carabula e liquirizia. Velava il tutto, all’arrivo della stagione delle mosche, una garza rada che arrivava ad essere affascinante quando le mani della vecchia la sollevavano per tirare fuori la robina dolce. D’inverno le caldarroste, che lei stessa cuoceva sopra e’ cio’. Suoi clienti erano gli innamorati che passavano al tramonto, le caldiranti, quelli del gas, poi, si sa, i bambini. La Patrina morì pochi anni prima che il suo portico crollasse sotto i bombardamenti”.

Quando consacrano la nuova San Biagio, nel 1952, i resti del porticato ci sono ancora, addossati alla canonica. A qualcuno però non piacciono: sono il retaggio di un passato doloroso e stonano con il prodotto della ricostruzione. Vengono demoliti alla fine degli anni ’60, assieme al muro perimetrale su via Dandolo, un altro relitto dell’antica San Biagio. Facciamo concludere a Giuliano Missirini: “All’ultimo avanzo di muro si sostituisce oggi un recinto metallico. Dietro i giochi un po’ svedesi di un giardinetto per bambini”. 

174_S.Biagio.resti2-Portico.incastonato.nuova.canonica-2

174_S.Biagio.resti3-Portico.con.Patrina-2

174_S.Biagio.resti4-Antica.chiesa.panoramica.frontale-2

174_S.Biagio.resti5-Antica.chiesa.panoramica.V.Dandolo-2

174_S.Biagio.resti6-S.BiagioNuova.in.costruzione (c'è ancora il muro esterno)-2

174_S.Biagio.resti7-Interno(collezione Claudio Servadei)-2

174_S.Biagio.resti8-S.BiagioVecchia.distrutta1-2

174_S.Biagio.resti9-S.BiagioVecchia.distrutta2 (i resti del portico)-2

Si parla di

Perché cancellare gli ultimi resti dell’antica San Biagio?

ForlìToday è in caricamento