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Giovedì, 28 Marzo 2024
Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Quando a Porta Schiavonia si pagava il dazio

Fino al 1° maggio 1904, a Porta Schiavonia come nelle altre 3 barriere di accesso a Forlì, ancora cinta dalle mura medievali, un corpo di dazieri riscuoteva il pagamento di una tassa all’ingresso in città di determinate merci

Immaginatevi Forlì ancora cinta dalle poderose mura medievali volute da Caterina Sforza: Porta Schiavonia era l’accesso principale a quella città ormai scomparsa. Eretta nel 1743 in omaggio al cardinale forlivese Camillo Paulucci, rientrato dalla Polonia dove si era occupato della salita al trono di Augusto III, nel 1933 è stata brutalmente mutilata del mitico androne, riparo dei braccianti giornalieri, agl’ovar, che attendevano di essere ingaggiati dai fattori per la mietitura.

I recenti lavori di riassetto della circolazione stradale di Schiavonia hanno restituito centralità alla storica porta, l’unica rimasta delle quattro barriere daziarie esistenti sino all’ultima guerra. Fino al 1° maggio 1904, a Porta Schiavonia come nelle altre barriere di accesso alla città ancora cinta dalle mura medievali (disarmate nel 1613, mantennero la funzione fiscale), i dazieri esigevano il pagamento di una tassa all’ingresso in città di determinate merci. Con l’avvento dello Stato Unitario italiano, sotto l’egida della casa regnante dei Savoia, i gabellieri pontifici furono sostituiti dalla guardie daziarie: il loro scopo era controllare le merci in entrata, sulle quali dal 1864 veniva applicato la tassa del Consumo. “Ehi, quel panier! – è il grido che Giuliano Missirini, nella sua “Guida Raccontata di Forlì, immagina lanciassero a chi passava sotto l’androne – cosa c’è lì dentro?” “Vuoto!” “Passi!”.

“Il Governo – scrive Elio Caruso in Forlì, Città e Cittadini fra Ottocento e Novecento – ne appaltò la riscossione ai Comuni, che poi aggiungevano un’addizionale, pari al 50% dell’imposta governativa”. La gabella era particolarmente odiata, in quanto si basava sul consumo e non sul reddito: le fasce più abbienti della popolazione erano appena sfiorate dalla misura, che invece colpiva pesantemente i più poveri. I beni tassati erano quelli di maggior utilizzo: vino in fusti e in bottiglie, birra, alcool, liquori e sciroppi, carni fresche e salate, pollame, maiali, pecore e pesce, caffè, spezie, formaggi, agrumi e frutta secca, petrolio e candele, biade e foraggi, legna da fuoco e materiali da costruzione. Il Municipio, ad ogni rinnovo della concessione governativa, che valeva per un quinquiennio, assumeva le guardie con contratto a termine.

“Dato che questo impediva loro di maturare la pensione – precisa Caruso – il Governo gli concesse la cointeressenza (una compartecipazione agli utili ricavati dalle tasse). Nel 1872 il Comune di Forlì stipendiava 22 dazieri. Nel 1894 il regio commissario straordinario Giovanni Gasperini, visto il poco zelo con cui i gabellieri esercitavano il lavoro, sciolse il Corpo. Al bando di arruolamento aderirono in 200. Dopo una prova d’esame vennero scelti 21 nuovi dazieri: 1 brigadiere (£ 80 salario mensile + 100 di indennità di alloggio), 4 vice brigadieri (£ 75 + 100) e 16 guardie (£ 60 + 100). L’intero corpo fu iscritto alla Cassa di Previdenza. Per prevenire il dilagante fenomeno del contrabbando, che “introduceva merci in città – scrive il conte Guarini nei suoi Diari – passando sopra le vetuste mura”, il Commissario “ripristinò l’antica consuetudine della ronda notturna lunga la via di circonvallazione interna, armando di moschetto i dazieri”.

La misura, per quanto energica, non ridusse il fenomeno. Il 7 dicembre 1903, il Consiglio Comunale di Forlì approvò l’abolizione delle barriere daziarie. “L’abbattimento delle mura di cinta – si legge nella deliberazione – potrà liberare la cittadinanza, favorire la completa circolazione dell’aria e iniziare la rigenerazione dei quartieri popolari”. La decisione determinò un effetto domino sull’intero sistema: il corpo dei dazieri venne sciolto nel 1904 (furono tutti assunti fra le guardie municipali) con la conseguente rimozione, a partire dal 1° maggio, dei cancelli dalle 4 barriere d’accesso (a Porta Schiavonia c’era un “portonaccio” in noce, poi rimosso e venduto per 200 lire ad un falegname).

“Alla mezzanotte del 1° luglio - conclude Caruso – mentre la campana della Torre civica suonava a festa, un gran numero di persone assistette all’apertura ufficiale delle barriere”. Per compensare il minore introito comunale, calcolato in circa 130.000 lire, non essendo sufficiente il trasferimento erariale governativo, fu deliberato di aumentare la tassa di famiglia e la sovraimposta comunale su terreni e fabbricati. Il dazio fu mantenuto solo sulle bevande, sulla carne e sul pesce fresco. L’anno successivo iniziò l’abbattimento materiale delle mura cittadine, ritenute “inutili e dannose alla libera circolazione di merci e persone”.

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