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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

Quando dal fianco distrutto della Cattedrale s’intravedeva il cielo

Dai Diari di Antonio Mambelli e dal racconto di don Ettore Sozzi nel libro “Usfadè” di Gioiello - Zambelli, la distruzione del campanile del Duomo, fatto saltare dai tedeschi in ritirata alle prime ore del 9 novembre 1944, giorno della Liberazione di Forlì

Il “Diario degli Avvenimenti in Forlì e Romagna dal 1939 al 1945” di Antonio Mambelli, alla data del 27 ottobre 1944 offre l’antefatto dell’ennesima pagina di storia cittadina. “Stamane – annota il bibliotecario comunale - i tedeschi hanno collocato potenti ordigni esplosivi nella civica torre e nei campanili del Duomo e di San Mercuriale”.

“In Cattedrale – racconta il canonico mons. Ettore Sozzi nel volume di Salvatore Gioiello e Lieto Zambelli, ‘Usfadè’ – erano stati accolti tanti sfollati, circa trecento persone, che dormivano nella cappella di San Valeriano, nella sacrestia dei canonici, in quella della Madonna del Fuoco e nella parte sottostante adibita ad archivio”. Nella sala sotto il Capitolo erano state allestite anche due camerette. “Noi, più fortunati, dormivamo nel campanile, dove avevamo disposto assi e cavalletti lungo le scale, ricavando una serie di lettini che arrivavano fin sotto la cella campanaria. Anche il vescovo mons. Giuseppe Rolla venne a dormire da noi, a metà circa del campanile, dove ricavammo uno stanzino separato con teli di damasco. Col tempo arrivarono altre persone, che furono sistemate nel Coro”. In Cattedrale i rifugiati si sentivano talmente al sicuro, persino durante gli allarmi aerei, che non veniva adottata alcuna precauzione. Finché, la fatidica mattina del 27 ottobre, fra’ Pio, un frate francescano accolto in canonica, uscì in strada e notò una pila di bombe a ridosso della Cappella della Madonna del Fuoco, la stessa di cui parla anche Mambelli.

“Capimmo così che qualcosa di nuovo e di seriamente importante stava per accadere”. Don Sozzi e don Pippo Prati, parroco di San Mercuriale, si recano immediatamente ad informare il vescovo, che, insieme ad altre autorità cittadine, si presenta al comando di piazza nelle cantine del palazzo della Previdenza sociale (attuale sede della Banca di Credito Cooperativo ravennate, forlivese e imolese, in Corso della Repubblica) per scongiurare il generale germanico “a risparmiare, in nome della civiltà e dell’arte, gli storici monumenti, caratteristica particolare di Forlì”. La delegazione, capitanata da mons. Rolla, ottenne la rassicurazione che i tedeschi non avrebbero distrutto i campanili se le truppe ribelli non avessero infierito contro di loro.

“I partigiani si attennero alle raccomandazioni – osserva don Sozzi – ma i tedeschi abbatterono comunque le torri, ad eccezione di San Mercuriale”. Le bombe collocate nel campanile erano collegate ad una miccia che scendeva lungo le scale. La sera dell’8 novembre i militari che fino ad allora avevano vigilato sul dispositivo, uscirono per riunirsi con gli altri commilitoni che avevano svolto lo stesso compito nella torre civica e agli Uffici Statali. “Restò solo il tenente Podd e io con lui”, ricorda il sacerdote . Tutti gli sfollati furono dirottati nelle cantine di Palazzo Santucci e della trattoria di Pirin. All’una e mezza del 9 novembre arrivarono i soldati che accesero la miccia. Il campanile del Duomo è crollato alle 2,40 (fonte Antonio Mambelli). Don Sozzi e l’ufficiale tedesco non riuscirono ad uscire dalla cantina di Pirin, tanta era la polvere sollevata dall’esplosione: “Attendemmo che la nuvola diminuisse d’intensità e pur nel buio totale fu chiaro quale disastro avessero provocato quelle 15 maledette bombe. Cercai di avvicinarmi al Duomo, ma le macerie erano alte come armadi, le porte erano ostruite. Del campanile restava appena il troncone di base”.

Grande desolazione la mattina del 9 novembre tutt’intorno alla Cattedrale: “La quattrocentesca torre della Cattedrale – annota Mambelli - cede alla follia della guerra con le sue quattro campane, abbattendosi sulla cappella di San Valeriano e la sacrestia, con demolizione delle volte e danni ai grandi armadi, agli arredi e alla Madonna del Voto. Intatta appare, ed è grazia miracolosa, la cupola dipinta da Carlo Cignani, il più grande lavoro del genere dei secoli XVII e XVIII”. E se il prezioso organo Callido nella cappella della Madonna del Fuoco giace semidistrutto, dagli enormi squarci nel fianco dell’edificio si vede il cielo. 

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