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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

Quando l’arciprete salvò la Pieve di Santa Maria in Acquedotto

La cronistoria del salvataggio e restauro della pieve romanica di Santa Maria in Acquedotto, una delle più antiche e meglio conservate della Romagna, negli scritti di mons. Attilio Fusconi, parroco di Pieveacquedotto dal 1906 al 1957

Per conoscere appieno le vicende della pieve romanica di Santa Maria in Acquedotto, una delle più antiche e meglio conservate della Romagna, occorre riscoprire la figura di mons. Attilio Fusconi (1876-1957), il sacerdote che un secolo fa operò il miracolo, salvandola dal degrado. “Fin dall’inizio del mio ministero in questa chiesa - scrive lo stesso don Fusconi nella pubblicazione monografica ‘Chiesa monumentale di Santa Maria in Acquedotto - Forlì’, data alle stampe nel 1934 - fu mio pensiero di curarne il ripristino e il restauro”.

Già esistente nel IX secolo ma ricostruito nel 1273, l’insigne monumento dal punto di vista ambientale risente non poco della vicinanza del casello autostradale di Forlì, operativo dal 1967 a poche centinaia di metri dal sagrato della chiesa. Don Fusconi, parroco di Santa Maria in Acquedotto, col titolo di arciprete, dal 1906 al 1957 l’anno della morte, ha praticamente dedicato l’esistenza al recupero architettonico e funzionale della pieve. “Fino al 1925 - precisa nello scritto - nessun lavoro fu intrapreso. Poi, d’intesa col Senatore del Regno Corrado Ricci, Direttore delle Belle Arti in Italia, viene deciso di liberare il muro della facciata sino all’altezza di circa 3 metri, coperto d’intonaco”. Nell’ottobre del 1927 furono intrapresi i lavori di consolidamento dell’abside centrale, “con la chiusura delle due finestre rettangolari e l’apertura dei tre finestrini romanici”.

Al principio dell’anno 1928 fu ripristinata la facciata della chiesa, “disfacendo una piattabanda del Settecento, rifatti i tre archi del portale, messo l’architrave di sasso d’Istria sottostante i tre archi romanici, che ripristina la lunetta. Fu costruita anche la porta centrale in legno con disegno della Soprintendenza”. L’intervento artisticamente più appariscente fu dunque il ripristino della facciata romanico lombarda, recante anche tracce di finestre bizantine, appesantita nei secoli da manomissioni d’ogni genere. Al 1932 risale invece il “ritorno” delle due piccole particolarissime absidiole, laterali a quella centrale, di cui si erano perse le tracce da secoli. “Furono demoliti i due altari moderni addossati al muro della navata sud rifatta - continua don Fusconi - e, avendo tolto il soffitto moderno di traliccio, fu messa la trabeazione in legno”.

Nel 1934 fu completato il restauro della chiesa, cui si aggiunse di lì a poco la nuova canonica, realizzata in sostituzione della precedente, pericolosamente “appoggiata” alla navata laterale sinistra. Di notevole impatto visivo è anche il campanile, risalente al 1300 ma rifatto su una prima versione del Mille, epoca in cui si diffuse nella cristianità l’uso di invitare i fedeli alla preghiera con i rintocchi. “Restaurato nel 1933 nello stile primitivo, è privo però della cuspide, da sempre elemento ornamentale delle torri campanarie forlivesi, crollata per un rovinoso terremoto occorso nel 1800”. Nell’anno 1925 era stato costruito il nuovo castello in ferro per le campane, essendone state fuse due in aggiunta alla vecchia, l’unica antica giunta sino a noi, risalente al 1372. L’innegabile competenza storico-artistica di don Attilio Fusconi fu il motivo per cui, durante l’ultima guerra, la sua pieve, unitamente alla vicina chiesa di San Giorgio, retta dal giovane “discepolo” don Carlo Zoli, furono scelte dalle competenti autorità per trasferirvi gran parte delle opere d’arte contenute nella Pinacoteca Comunale di Forlì.

Questa scelta evitò che perissero per sempre sotto i feroci bombardamenti aerei alleati. L’astuzia dei due sacerdoti fu tale da eludere persino i soldati tedeschi, vanamente protesi alla ricerca di quegli inestimabili tesori. L’ultimo restauro del pregevole monumento romanico di Pieveacquedotto si è da poco concluso, per merito dell’attuale parroco don Andrea Carubia e della Diocesi tutta. Il 27 ottobre 2018 è stato riconsacrato l’altare, perla finale di un lavoro di consolidamento e messa in sicurezza durato due anni, finanziato dal fondo dell’8x1000 per la Chiesa Cattolica e dai contributi della Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì e delle Soprintendenze di Bologna e Ravenna.

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