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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

Quando madonna Barbara traslocò a San Mercuriale

Nel 1947, dopo un lungo e delicato lavoro di ricomposizione, il sepolcro rinascimentale di Barbara Manfredi, proveniente dalla distrutta chiesa di San Biagio, è stato ricollocato a San Mercuriale

Il 10 dicembre 1944 fu l’ennesimo tragico giorno per la città di Forlì già gravemente ferita dalla barbarie della guerra: alle 17.15 una bomba ad altissimo potenziale, sganciata da un “Focke-Wulf 190 F8” tedesco, polverizza la chiesa quattrocentesca di San Biagio in San Girolamo e con quella la Cappella Feo dedicata a San Giacomo Maggiore, aggiunta nel 1498 all’impianto originario, risalente al 1433, per volere di Caterina Sforza, che aveva inteso così onorare l’amante Giacomo Feo (sposato in segreto), ucciso in una congiura nel 1495. L’ordigno annienta anche 19 povere vite, fra cui tre bimbi, il sacerdote salesiano don Agostino Desirello e una monaca clarissa, suor Giovanna. A detta dei primi testimoni giunti sul luogo del disastro, i muri più alti sopravvissuti all’esplosione non superano i due metri: sarà tutto spianato nei giorni successivi dai bulldozer di sua Maestà Britannica. Alla distruzione della chiesa scampa giusto un pugno di opere d’arte: il Trittico di Marco Palmezzano con la Madonna in Trono e Santi, l’Immacolata Concezione di Guido Reni, una preziosa acquasantiera in marmo bianco e il sepolcro funebre di Barbara Manfredi. Figlia del signore di Faenza, Astorre II Manfredi, la giovane convola a nozze nel 1462 con Pino III Ordelaffi, “dominus” di Forlì, cui era stata promessa sin da quando aveva sette anni.

“Dopo un sospetto tentativo di avvelenare Pino, che si riprenderà, da parte di suo fratello Francesco – scrive Paola Tassinari su Romagnamare - e dopo una manovra di Barbara di avvelenare Francesco (all’epoca si beveva più veleno che vino), ecco che quest’ultimo viene assassinato da un ufficiale. Pino assume la signoria di Forlì e Forlimpopoli, grazie anche all’appoggio di Venezia”. Barbara muore, appena ventiduenne, il 7 ottobre 1466 a Forlimpopoli. “Il 6 ottobre – scrivono Marco Viroli e Gabriele Zelli su Romagnapost – la giovane era in procinto di mettersi in viaggio per Firenze. Ma prima di partire affidò disgraziatamente a un servitore un biglietto destinato a Giovanni Orcioli, ex uomo di fiducia di Pino III, allontanato da Forlì perché sospettato di avere una tresca con la signora e da poco nominato podestà pro tempore della città bagnata dall’Arno. Quella lettera, il cui contenuto ci è ignoto, pare sia finita proprio nelle mani dell’Ordelaffi”. Da lì alla reazione vendicativa di Pino III, peraltro mai provata, il passo è brevissimo.

Sta di fatto che, nel tardo pomeriggio, Barbara cenò con grande appetito, ma di lì a poco manifestò un grave malessere. Da Faenza venne chiamata la madre Giovanna, che immediatamente accorse al capezzale della figlia. Il problema venne diagnosticato dai medici passeggero e di scarsa entità, per cui la donna rassicurata fece rientro a Faenza. Scrive lo storico Sigismondo Marchesi: “Appena partita la madre, Barbara peggiorò a un segno, che nella vehemenza del flusso le uscirono quasi le budella, e morì”. Il marito si dispera e ordina il lussuoso monumento per la giovane, forse per togliere i sospetti dalla sua persona, affidandosi alla maestria di Francesco di Simone Ferrucci, attivissimo a Firenze, che lo realizzò fra il 1466 e il 1469. “Il sepolcro – scrive nel 1989 Maria Cristina Gori nel libro dedicato al monumento a Barbara Manfredi e alla scultura del Rinascimento in Romagna - è a forma di arco, è sormontato da un tondo in stile “Della Robbia”: una Madonna con Bimbo. L’archivolto e i pilastri sono adorni di palmette e decorazioni varie. Dalla volta scendono tessuti damascati di marmo, sorta di palcoscenico per Barbara che sembra essersi appena addormentata. Ha le braccia incrociate e il capo appoggiato su un bel cuscino. Il catafalco è abbellito da due putti ignudi che tengono fra le mani un’epigrafe. Sicuramente una delle più belle opere esistenti in Romagna”. Dalla distruzione della chiesa di San Biagio, il monumento uscì sepolto dalle macerie e scomposto.

“Fu minuziosamente recuperato in pezzi dalla pietas dei cittadini – scrive Andrea Emiliani nell’opera sopra citata – e rimontato nell’abbazia di San Mercuriale. Rimontaggio che comportò anche una parziale compromissione”. Il 16 dicembre 1947 è la data ufficiale della ricollocazione. Ad eseguire il recupero provvide lo scultore Giuseppe Casalini: “Il monumento – continua lo studioso – è apparso considerevolmente depauperato quanto a epidermide e traumaticamente compromesso in molti luoghi”. Prima o poi si sarebbe dovuto effettuare un nuovo restauro, operando anche sulla muratura d’appoggio. L’intervento è stato eseguito fra il 1984 e il 1986 dalle mani esperte di Ottorino Nonfarmale. Durante la prima ricomposizione erano stati usati materiali quali cemento, gesso e persino perni in ferro, che hanno profondamente alterato la scultura.

“Ciò che esemplarmente è stato eseguito nell’ultimo restauro – precisa Emiliani – è la diafana trasparenza della materia. In definitiva sono stati ripuliti i marmi, recuperate le patine antiche, riorganizzato morfologicamente e cromaticamente l’intero monumento sulla parete risanata di San Mercuriale”. L' esame anatomo-patologico effettuato nel 1947 sul corpo di Barbara Manfredi, non ha dissipato le circostanze della misteriosa morte per gli scarsi elementi in possesso degli studiosi. Tre le ipotesi: una violenta forma epidemica, una affezione addominale acuta, oppure un avvelenamento. Madonna Barbara continua il suo sonno secolare nella navata destra della chiesa-monumento più amata dai forlivesi, per due buone ragioni: nel 1947, quando venne completata la ricomposizione, San Biagio era lungi dall’essere ricostruita. Ma anche perché la centralissima abbazia di piazza Saffi è il luogo più consono, per vetustà e ambientazione, all’ammirazione del monumento alla sventurata giovane. 

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