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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Quando Mussolini trionfava nella Prefettura di Forlì

Gli affreschi inneggianti ai “trionfi” del fascismo, che Francesco Olivucci aveva realizzato nel salone d’onore della Prefettura per un’ampiezza di ben 150 metri quadrati, non sono più visibili, forse scialbati nel secondo dopoguerra. La studiosa Flavia Bugani è convinta che, con le moderne tecniche potrebbero anche essere recuperati

A Ravenna, i mosaici inneggianti al fascismo come continuità dell’impero romano, realizzati durante il Ventennio nel Salone d’onore della Casa del Mutilato, sono scampati alla distruzione solo perché coperti con assi di legno e drappi di stoffa e poi “dimenticati” per mezzo secolo. Agli affreschi “fascisti” che Francesco Olivucci dipinse a Forlì nel Salone d’onore della Prefettura, è andata diversamente. Voluto nel 1673 da monsignor Camillo dei Conti Piazza su ispirazione dei palazzi del Laterano e Farnese a Roma, il Palazzo Piazza Paulucci non fu mai terminato per difficoltà finanziarie.

Nel 1890, quando fu acquisito dal Comune, l’edificio era disabitato da decenni. Conclusi i lavori di riqualificazione, divenne sede dell’Archivio storico comunale e in parte del Museo Archeologico. In seguito fu destinato a pubblica scuola. Nel 1924 matura il progetto di insediarvi il Tribunale: i lavori, iniziati nel 1932 su progetto di Leonida Emilio Rosetti, furono interrotti l'anno seguente dallo stesso Benito Mussolini. Influenzato dall’urbanista Marcello Piacentini, il duce aveva, infatti, deciso di trovare un altro sito per il Palazzo di Giustizia, poi realizzato in piazza XX Settembre.

Quando Cesare Bazzani ricevette l’incarico di mettere mano al palazzo per farne la sede del Governo nazionale, nessuno si sarebbe immaginato un intervento così efficace: nel possente edificio sono spariti gli antichi appartamenti cardinalizi, ma si è materializzato il razionale “pied-à-terre” per i soggiorni forlivesi di Mussolini, giunto a noi pressoché intatto con dipinti murali di Maria Biseo, ispirati all’apologesi del pane. Niente da fare, invece, per gli affreschi inneggianti ai “trionfi” del fascismo, che Francesco Olivucci aveva realizzato nel salone d’onore per un’ampiezza di ben 150 metri quadrati.

“Specificamente – scrive Flavia Bugani nel libro “Francesco Olivucci, la sua arte ad onore e decoro della città” – il pittore lavorò a la Marcia su Roma, la promulgazione della Carta del lavoro, la conquista dell’Impero e le Forze Armate”. Il pittore si applicò al progetto, corretto e validato dallo stesso Mussolini, a partire dal 1937. Giovanni Prati, dipendente della ditta Soc. An. Coop. Operai e Muratori di Cesena, aiutò materialmente Olivucci nella lavorazione dell’affresco.

“Macinavo i colori – ha raccontato alla stessa Bugani - e preparavo con calce bianca e polvere di marmo, la porzione di parete che quotidianamente egli poi affrescava”. L’artista lavorava dalle 10 alle 13, parlava pochissimo ma in compenso fumava tantissimo. “Si accendeva un pacchetto e mezzo di Macedonia – sigarette dell’epoca – usando un solo fiammifero. La moglie e le figlie Anna e Pini furono le modelle per alcune raffigurazioni”.

Nell’ottobre 1941, quando era prefetto Oscar Uccelli, Benito Mussolini venne a visionare i dipinti e pare che non gli dispiacessero. Il 2 febbraio 1942, quando Prati partì militare, gli affreschi del salone erano quasi completati. Di quell’opera grandiosa non è rimasta traccia, se non nelle foto che lo stesso Olivucci aveva commissionato ad Edgardo Zoli nel 1941. E’ l’ennesimo caso di “damnatio memoria” perpetrato nel dopoguerra nei confronti di opere del passato regime? Flavia Bugani lo esclude, essendo praticamente impossibile cancellare un impianto pittorico così imponente senza un intervento altrettanto importante.

“E’ comunque documentato – scrive la studiosa – che nel marzo 1941 ad Olivucci fu ordinato di sospendere i lavori e che di lì a poco venne affidata all’artista romano Publio Morbiducci l’esecuzione di una serie di pannelli, raffiguranti le carte geografiche dell’Impero romano nelle varie epoche, la cui estensione totale era pari a quella degli affreschi di Olivucci”. Resta il fatto che i Trionfi del Fascismo non sono più visibili, “forse scialbati (cioè ricoperti con calce, n.d.r.) nel secondo dopoguerra”. Flavia Bugani è convinta che, con le moderne tecniche, visto l’indubbio valore artistico, i dipinti di Olivucci potrebbero anche essere recuperati, se solo sopravvenissero la volontà politica e le (ingenti) risorse economiche necessarie per l’intervento.

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