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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

Colonna della Madonna del Fuoco, Mussolini fa e disfa: prima la rimuove dalla piazza maggiore e poi la riedifica in piazza del Duomo

La pratica della rimozione della Madonna del Fuoco dalla piazza maggiore, oggi dedicata al triumviro Saffi, fu drasticamente chiusa il 21 ottobre 1909, in seguito all’azione di un gruppo di facinorosi, fra cui il socialista Benito Mussolini, lo stesso che vent’anni dopo, divenuto Capo del Governo fascista, fu fra i promotori del Comitato d’onore per la riedificazione della Colonna in piazza del Duomo.

La pratica della rimozione della Madonna del Fuoco dalla piazza maggiore, oggi dedicata al triumviro Saffi, fu drasticamente chiusa il 21 ottobre 1909, in seguito all’azione di un gruppo di facinorosi, fra cui il socialista Benito Mussolini, lo stesso che quasi vent’anni dopo, divenuto Capo del Governo fascista, fu fra i promotori del Comitato d’onore per la riedificazione della Colonna nel sito attuale di piazza del Duomo.

“Si fa memoria – scrivono i frati Vallombrosiani, in quel tempo rettori di San Mercuriale, nel loro Libro delle Ricordanze - come in piazza grande si eresse in onore della Madonna del Fuoco una colonna lunga piedi 33 di pertica, che sono palmi 77 (oltre 16 metri – n.d.r.) e sopra vi si pose una statua di marmo di Carrara con l'effige della Vergine col Bambino, lavorata da Clemente Molli, scultore bolognese. Si eresse il Sabato Santo 23 aprile 1639, con sommo giubilo di tutta la città”. La proposta di liberare la piazza dalla stele mariana fu discussa la prima volta al Consiglio Comunale del 4 ottobre 1889. Vi partecipava anche Aurelio Saffi, il quale, pur aderendo al principio “i luoghi pubblici soggetti alla giurisdizione dei Comuni debbano rivestire un carattere esclusivamente civile, e non consentire simboli religiosi”, si oppose fermamente al “demolire per demolire”.

“Saffi conte Aurelio – riportano i verbali della seduta - vorrebbe che, anche per togliere ogni ombra di aggressione al sentimento religioso, la proposta della rimozione della colonna fosse subordinata all'erezione di un monumento di pubblica utilità”. Il Consiglio si divise in due: una parte voleva l’immediato atterramento della colonna, dando contemporaneamente incarico alla Giunta di studiare un progetto di ricollocazione, mentre l’altra ne voleva la rimozione, ma subordinatamente alla contemporanea sistemazione della piazza. Alla fine i due ordini del giorno si elisero a vicenda e nessuna decisione fu presa, “anche se il seme del destino del vessato monumento, era stato gettato”.

La vicenda della rimozione della Colonna mariana da Piazza Maggiore ha coinvolto persino Indro Montanelli: il grande giornalista, in un saggio pubblicato nel libro “Romagna, vicende e protagonisti”, ne parla in relazione alle vicende politiche forlivesi del '900: “Mussolini, ancora all'inizio della sua carriera (siamo intorno al 1909) scrisse nel giornale Lotta di Classe da lui diretto, un articolo sull’incarcerazione in Spagna dell'anarchico catalano Francisco Ferrer”.

Sulla scia di questo pezzo, Aldo Vittori, detto e Zop ad Vitor o anche “lo sbranatore del clero”, decise di dare vita ad una manifestazione contro la Madonna del Fuoco presa a simbolo della reazione. “Il sindaco di Forlì – continua Montanelli – massone e repubblicano, da un lato simpatizzava per Vittori, ma dall'altro aveva il dovere di proteggere la città da quell'usurpazione. Intervenne per fermare la rivolta, ma solo quando la cancellata posta a protezione dell'immagine sacra era ormai stata distrutta”. In seguito essa fu sostituita da una staccionata di legno, “usbergo assolutamente inadeguato alla gravità dei pericoli che la povera madonna correva”.

Poco tempo dopo, Ferrer venne ucciso in carcere e questo aumentò la foga distruttrice di Mussolini e Vittori. “La colonna del popolo furente la sera del 14 ottobre 1909 fece risacca dinanzi la palizzata di legno che proteggeva il simbolo della reazione, quando si videro Mussolini e lo zoppo Vittori avanzare, ambedue nerovestiti, con cappellone e cravatta a svolazzo, reggendo un bidone di petrolio. Il nero combustibile fu cosparso sulle assi, e il sindaco non inviò il rituale squadrone di cavalleria prima che tutta la palizzata fosse un cumulo di braci. Dopodiché gli fu facile strappare all'ingegnere del Genio Civile un certificato attestante che la stele non offriva più garanzie di sicurezza e che, pertanto, per l'incolumità dei cittadini, andava rimossa”.

“Appena sul carro - si legge in “Nè pochi nè timidi” di Gioiello e Zambelli - la mattina del 21 ottobre 1909 fu portata nella chiesa di San Filippo (allora magazzino comunale) accompagnata da urli fischi e altre villanie”. Nell’estate del 1925, il Vescovo ottenne dal Regio Commissario la statua, che fu trasportata in Cattedrale. “Il Consiglio comunale aderì alla richiesta del Vescovo, di poter riedificare il Monumento nella piazza della Cattedrale. Nel 1928 fu costruita la nuova colonna alta m. 8.50 e la domenica 6 maggio il monumento fu inaugurato, alla presenza del popolo e di numerose autorità a fianco della Cattedrale, dove è ancora oggi”. 

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