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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

Quando la Pieve di Barisano soppiantò la domus romana

Viaggio alla riscoperta della chiesa più antica del territorio forlivese. Sarebbe opportuno inserire la Pieve in un circuito turistico coinvolgente Forlì e Ravenna, che ne valorizzi appieno le qualità storico-artistiche, uniche nel loro genere in Romagna

La pieve di Barisano, da “baricanus”, ossia riva di corso d’acqua (riferito al Canale di Ravaldino che attraversa la frazione diretto a Coccolia), è una delle più antiche chiese del forlivese. Le prime attestazioni del toponimo risalgono al 992, quando il “Castrum Barisani” era soggetto al monastero di Sant'Apollinare in Classe. Tale appartenenza alla chiesa ravennate, confermata nel 1037 da Corrado II, persiste storicamente fino al 1138, l’anno in cui subentra il Comune di Forlì in piena espansione.

“Secondo la tradizione – scrive Sergio Spada nell’Agenda Storica Forlì - nel castello avrebbe soggiornato Matilde di Canossa. Non si hanno prove della fondatezza della notizia, ma pare più probabile che si trattasse della regina Matilde, madre dell'imperatore Enrico V”. Nel 1235, la guelfa Faenza, in contrasto con la ghibellina Forlì, espugna il castello e ne fa “tabula rasa”. Del leggendario “castrum” non resta traccia, se non in un rialzo vicino alla Pieve millenaria dedicata a San Martino.

“Della chiesa – recita il pieghevole illustrativo del monumento, a cura di Tania Tampieri – si hanno notizie certe fin dal 20 settembre 947, con il documento della donazione di un appezzamento di terreno posto nei paraggi. Alcuni lacerti ritrovati lasciano supporre che parti dell'edificio risalgano al VI-VII secolo. La struttura architettonica originaria venne mutata a seguito delle disposizioni del Concilio di Trento (1545-1563), con l'obbligo di residenza del parroco presso la chiesa. I locali ad uso abitativo vennero ricavati dalla demolizione dell'abside e dal prolungamento delle pareti laterali. Le variazioni interessarono anche la pianta: proprio in questo periodo la pieve assunse l’aspetto attuale di grande stanza rettangolare”.

Se non vi è alcuna incertezza sul fatto che anche l'edificio originale, sebbene più ampio, fosse composto da un'unica navata, rimane invece il dubbio se la pieve sia stata edificata sul sito di una “domus” romana. Gli studi archeologici hanno portato alla luce, nello spazio antistante la cripta, a 2,08 metri di profondità, frammenti di mosaici pavimentali a figure geometriche con fiori, costruito con tessere policrome. C’è chi vedrebbe, in simili reperti, il pavimento di una villa patrizia del V-VI secolo, trasformata in chiesa nel VII-VIII secolo: “Ciò spiegherebbe la presenza di un decoro musivo così importante per una pieve di marginale valore”. Don Franco Zaghini, nella pubblicazione “La Pieve di S. Martino in Barisano”, prima riprende l’ipotesi di uno studioso ravennate, Marino Mazzotti, che attribuisce i mosaici alla prima chiesa databile al VII secolo; poi ipotizza a sua volta che si tratti del “pavimento di una sala della casa padronale posta nella villa, sulla quale poche centinaia di anni dopo i cristiani costruirono la loro chiesa utilizzandone il pavimento e le mura portanti”.

Per risolvere il dilemma sarebbero necessari scavi archeologici su larga scala. Intanto “godiamoci” gli esiti del lungo restauro operato fra il 1985 e il 2000, che ha riportato alle condizioni iniziali la facciata e il rosone centrale. Risultati eclatanti anche per gli affreschi e la cripta: del grande apparato pittorico che un tempo ricopriva interamente gli interni, rimane veramente poco. I lacerti riemersi, riportati ad uno stadio di leggibilità dopo l’intonacatura imposta dal Concilio tridentino, risalgono tutti all’Anno Mille. Nel più ampio si scorgono quattro sagome umane, probabilmente figure di sante, ma si fa largo, sulla parete di sinistra, anche la figura di San Martino a cavallo. Appare determinante anche la riscoperta della cripta: posta sotto l'altare maggiore, si ritiene risalga all'XI secolo. A sinistra della facciata spicca il piccolo campanile a vela.

“Più recente rispetto alla chiesa – conclude Tania Tampieri – ha sostituito quello originale andato interamente distrutto nel 1235 durante la battaglia tra forlivesi e faentini. Questi ultimi, nel loro inseguimento degli sconfitti distrussero Roncadello, Malmissole, Poggio e Barisano, senza risparmiare la sua torre. Solo prima poco prima del '500 il campanile sarà ricostruito in data e forme non conosciute, per essere poi tramandato nelle forme attuali”. Sarebbe opportuno inserire la pieve in un circuito turistico coinvolgente Forlì e Ravenna, che ne valorizzi appieno le qualità storico-artistiche, uniche nel loro genere in tutta la Romagna. 

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