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Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Viaggio nella ritrovata bellezza rinascimentale del santuario di Fornò

Fino alle prime ore del 24 ottobre 1944, la straordinaria chiesa circolare posta nella campagna fra Forlì e Forlimpopoli, possedeva anche un campanile.

Fino alle prime ore del 24 ottobre 1944, il santuario di Fornò possedeva anche un campanile. Alzino la mano i forlivesi che non hanno mai messo piede, anche solo di passaggio, nella straordinaria chiesa circolare posta nella campagna fra Forlì e Forlimpopoli. Fondata dall’eremita albanese Bianco da Durazzo nel 1448, Santa Maria delle Grazie di Fornò per secoli è stata una delle principali mete mariane della Romagna. Se la compianta studiosa Mariacristina Gori l’ha definita “uno degli esempi più straordinari di ciò che ha saputo produrre la cultura del Rinascimento in Romagna, al tempo di Melozzo da Forlì”, il professor Riccardo Lanzoni la considera “un'opera d'arte pressoché unica in Italia, se non nell’Europa occidentale. Marco Vallicelli, autore dell’ultima pubblicazione in ordine di tempo sulla chiesa, edita nel 2016, conferma che “l’uso di piante circolari, poligonali e a croce greca, ben si adatta alle concezioni pospettiche del Rinascimento, in quanto consente di individuare univocamente il fulcro simbolico dell’aula sacra”. Il tempio (la forma rotonda deriva anche dagli edifici a sistema centrale presenti nell’architettura cristiana del IV secolo) ha un diametro di metri 33,83 ed è circoscritto da un muro alto 15. Nel bel mezzo dell’edificio sorge un’edicola, anch’essa circolare, del raggio di 7 metri.

D’assoluto interesse sono il fregio in cotto che cinge internamente il tempio, nonché i tre portali di marmo e le piastrelle di cotto col monogramma di San Bernardino e di Maria. L’atrio davanti all’ingresso principale, a capriate, è decorato con affreschi del canonico lateranense Pietro da Bagnara. Sul frontone si erge, invece, una copia in marmo di Carrara della statua gotica della Madonna con il Bambino, ricollocata nel marzo 2016: l’originale dell’opera, attribuita ad Agostino di Duccio, fu prelevata per il restauro nel 2000 ed ora è al sicuro in Vescovado. All’interno, sotto la cupola si trova l’edicola circolare con il fregio rinascimentale in cotto rifatto nel 1853, che rappresenta apostoli, dottori e santi. In basso, a sinistra, a ricordo della sua visita del 1507 rimane il ritratto di papa Giulio II, mentre a destra si può ammirare la tomba del fondatore Pietro Bianco (1479). Se nel secondo altare in senso antiorario appare la copia di una tavola del Perugino intitolata “La Famiglia della Madonna”, sull’altare centrale viene spontaneo puntare lo sgaurdo sull’icona della Madonna Theotokos, in onore della quale l’eremita costruì il Santuario.

Nella parete posteriore si trova invece il rilievo marmoreo rinascimentale della Trinità, forse di Antonio Rossellino o Agostino di Duccio. Il massimo splendore di Santa Maria delle Grazie di Fornò risale al XVI secolo: basti pensare che l’attiguo convento, di cui l’attuale canonica era solo uno dei quattro lati, veniva considerato uno dei più ricchi d’Italia. La decadenza iniziò nel ‘700, ben prima delle incursioni napoleoniche, con la partenza dei Canonici regolari di San Salvatore, che si trasferirono in città nel complesso di Sant’Antonio del Borgo Schiavonia, già convento dei Gesuiti. Nel 1853, papa Pio IX, di passaggio da Forlì, rimase talmente mortificato dall’incuria di Fornò, che ne ordinò il restauro conservativo finanziandolo personalmente con mille scudi. Ma il peggio doveva ancora venire: nella notte del 24 ottobre 1944, quattro mine anticarro, poste dalla “Wehrmacht” in ritirata, fecero crollare in un colpo solo il grande campanile, la parte del chiostro attigua alla chiesa e le sacrestie vecchia e nuova, con gravi danni allo stesso tempio. Don Guerrino Valmori, per 50 anni parroco della Pieve carducciana di Polenta, ma all’epoca giovane rettore di Fornò, ha sempre ricordato con angoscia finché è campato (è scomparso 89enne nel 2004) quella follia distruttiva: “Vidi la grande torre staccarsi da terra come un missile per poi ricadere miseramente al suolo”.

I tedeschi avevano deciso di minare il campanile, pensando che sarebbe divenuto punto di osservazione privilegiato per gli Alleati che stavano sopraggiungendo. Nella seconda metà degli anni Novanta del XX secolo, il parroco don Amedeo Pasini, fra mille peripezie burocratiche e con i pochi risarcimenti dati dallo Stato, riuscì a ricostruire parte della “elle” residenziale distrutta dalla guerra. L’attuale rettore don Mauro Ballestra è fermamente convinto della necessità di studiare un percorso turistico dei monumenti più importanti del forlivese, che ponga Fornò in “pole position”: sarebbe un modo per dare lavoro ad alcuni giovani, assicurando così fasce certe d’apertura. “La primissima cosa da fare – insiste il sacerdote – è intervenire sul monumento per porre un freno all’umidità, che sta letteralmente divorando un edificio unico nel suo genere”. Attualmente, il complesso di Fornò ospita un centro di recupero della comunità “Papa Giovanni XXIII”.

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