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Venerdì, 29 Marzo 2024
Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Il grande inverno del 1944: addio ai tigli secolari di viale Bologna

Provate ad immaginare viale Bologna alberato: fino all’ultima guerra, la “Stre' Nova”, ossia la Via Emilia “rettificata” in uscita dalla città, vantava due imponenti fila di tigli, che si fronteggiavano dal ponte di Schiavonia sino alla Cava

L’inverno della Liberazione, tra la fine del 1944 e gli inizi del 1945, fu particolarmente rigido. Il passaggio del fronte, oltre alle distruzioni arrecate al patrimonio monumentale cittadino, con la perdita della torre civica e del teatro comunale, del campanile del Duomo, della basilica quattrocentesca di San Biagio e della cappella Feo affrescata da Melozzo e Palmezzano, aveva inasprito anche le pene per fame e freddo di tanti forlivesi.

Basta considerare il rapporto inviato il 26 gennaio del 1945 dal Comandante dei Carabinieri al Sindaco di Forlì: “Questa stazione, nei limiti del possibile, ha vigilato in città e dintorni affinché venisse evitato l’abbattimento delle piante ornamentali sulle vie e sulle piazze della città. Ma tuttavia non si è potuto evitare tale fatto”. “Infatti - scrive lo studioso Gianluca Laghi nel libro “Storia del Verde a Forlì” - i saccheggi perduravano e le segnalazioni pervenute in Municipio si moltiplicavano di ora in ora, risuonando ormai come bollettini di guerra”. In passato erano già avvenuti episodi del genere: nel novembre del 1943, una ventina di cittadini si era armata di seghe, accette e roncole ed aveva abbattuto, per ricavarne legname, 103 platani lungo la via Emilia, via Campo di Marte e la zona del “Tiro a segno”. Adesso provate ad immaginare viale Bologna alberato: fino all’ultima guerra, la “Stre' Nova”, ossia la Via Emilia “rettificata” (il tracciato romano corrispondeva all’attuale via Consolare) vantava due imponenti fila di tigli, che si fronteggiavano dal ponte di Schiavonia sino alla Cava (che ancora non c’era). Per decenni, quelle grandi chiome hanno dato riparo dal sole nella stagione estiva, ma anche fruttato fiori per infusi ed essenze e tanta legna secca da ardere.

Un provvidenziale raffronto fotografico pubblicato su “facebook” dal collezionista forlivese Mirko Spagnoli, consente anche a noi “boomers” e alle giovani generazioni di visualizzare la bellezza di quell’impianto. “Nell’intento di onorare la memoria di Italo Balbo - annota lo storico Antonio Mambelli nel suo “Diario” alla data del 14 ottobre 1940 - il podestà delibera di dedicare al suo nome il viale Bologna e di compiervi lavori di sistemazione. Per i forlivesi la toponomastica rimane l’antica, così la grande arteria arborata fuori porta Schiavonia sarà detta Strada Nuova anche in avvenire, come lo fu dal 1811, l’anno in cui la fece costruire Napoleone”. “Il viale Bologna – riprende Gianluca Laghi - fu per tanti decenni noto e caro a tutti i forlivesi per i suoi possenti tigli. Non pochi furono i cittadini che rimasero profondamente colpiti dalla drammatica scelta di sacrificare quel monumentale ingresso alla città in nome delle pur impellenti esigenze energetiche”. Il 30 aprile del 1945, il primo sindaco della Liberazione Agosto Franco scriveva così al Prefetto di Forlì: “La Giunta Municipale, considerata la forte penuria di legname da lavoro e l’inderogabile necessità di tale legname, rivolge all’Ecc.

Vostra preghiera perché venga disposto l’abbattimento, a detto scopo, dei pochi tigli, ancora rimasti, del viale Bologna”. Fu così decretata la condanna in ultimo appello degli esemplari scampati al diradamento operato qualche mese prima dalle truppe militari tedesche, che, arroccate, oltre l’argine del fiume Montone per contrastare il passaggio degli Alleati, “avevano attuato l’ennesima strage di innocenti, anche se in questo caso si trattava soltanto di alberature”. Nel dopoguerra fu tentata una ricostruzione del viale, mettendo a dimora lunghi filari di lecci: una scelta rivelatasi infelice, in quanto si tratta di una specie difficilmente adattabile ai nostri inverni più nevosi ed all’esposizione prolungata ai venti gelidi. “Oggi - conclude Laghi - il viale si presenta con una linea asimmetrica di varie alberature dalle forme e dai volumi molto diversificati, caratterizzata da tre tipologie prevalenti: leccio (Quercus ilex), ibisco (Hibiscus syriacus) e Quercus Thurnery. Quest’ultima specie, in particolare, è un “incrocio” tra il leccio e la farnia (Quercus robur), innestato su quest’ultima, semisempreverde, molto più resistente rispetto al “freddoloso” leccio; costituisce, quindi, una sorta di esperimento, volto a verificare l’adattamento, nel nostro territorio, di piante alloctone”.

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