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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Mille parole per Caterina

In sintesi: cosa sappiamo della Tigre di Forlì? Ecco un riepilogo per chi non ricordasse. Si spera che la Rocca accolga almeno l'Armeria Albicini.

Una città saldamente ghibellina e retta fino a quel momento dagli Ordelaffi, nel 1480 visse un cambio di gestione che vide emergere una giovane donna. “Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo” fu una delle ultime cose che disse. La città è Forlì, la giovane donna è Caterina Sforza. Venne in Romagna poco più che bambina, sposa di Girolamo Riario che avrebbe ottenuto la Signoria di Imola e di Forlì. Di seguito si riassume in mille parole la sua vicenda. Caterina, figlia naturale del duca di Milano, aveva appena dieci anni quando andò in sposa al marito trentenne. Nel luglio del 1481 la coppia prenderà possesso di Forlì chiedendo fedeltà, Riario tolse tasse e dazi sul grano e su altro, come si conviene. Lo zio Papa morì e il nuovo Signore dovette ben presto rimangiarsi la parola battendo cassa. Il malcontento montò specialmente perché la sua iniziativa fiscale non risparmiava le famiglie più ricche né la nobiltà. Nel giro di pochi anni, quindi, furono orditi numerosi intrighi e congiure: nel 1487 un tentativo di rivolta fu sedato grazie a una soffiata che informò la giovane donna salvando la situazione.

L'anno successivo, però, il colpo andò a segno: la trama della congiura era stata ordita dall'opulenta famiglia degli Orsi con l'appoggio degli Ordelaffi e del Papa (Innocenzo VIII) nonché di Lorenzo de' Medici che ancora aveva il dente avvelenato per la congiura dei Pazzi. Insomma, l'uomo aveva attratto a sé gli strali dei forlivesi ricchi e poveri, e dei potenti non solo locali. Il 14 aprile 1488 Girolamo Riario fu assassinato a pugnalate e defenestrato. Il Palazzo del potere fu messo a sacco mentre la moglie Caterina con i figli fu incarcerata. La giovane donna, astuta, riuscì a sfruttare la sua arguzia per riprendersi la Rocca di Ravaldino. Questo passaggio è spesso raccontato con toni epici e solo verosimilmente storici: Caterina, di nuovo padrona della sua rocca, rispose alle minacce di ritorsione sui figli mostrando le sue parti intime gridando: “Impiccateli pure, qui ho lo strumento per farne altri”. Avvenne tutto così in fretta che i congiurati gioirono per due settimane: il 29 aprile, Caterina Sforza avocò a sé la reggenza della città dimostrandosi una valentissima donna d’arme.

La vendetta della Tigre contro i congiurati fu tremenda. Secondo la sua volontà, fu raso al suolo un isolato sontuoso nel cuore di Forlì appartenente alla famiglia dei congiurati (gli Orsi), il cui capo, anziano, fu costretto ad assistere alla distruzione e fu giustiziato in piazza. Il “guasto degli Orsi” comportò macerie e lo scempio di una famiglia ricca e influente. Da quel momento, Caterina, in nome del figlio Ottaviano Riario, governò Forlì e Imola diventando un crocevia della storia rinascimentale: il suo piccolo Stato faceva gola a molti. Potenziò così le strutture difensive del suo dominio, in particolare si concentrò sulla Rocca di Ravaldino dove costruì il Paradiso, il suo palazzo. A questo punto Caterina s'era innamorata sul serio. Di Giacomo Feo, un ventenne che sposerà in segreto. Restarono insieme per quattro anni avendo tutti contro, figli compresi; il giovane marito, borioso e vanesio, cadrà ucciso in un agguato nell’estate del 1495. L’organizzatore dell’attentato era convinto che il primo ordine di uccidere Feo fosse venuto proprio da Caterina. Ma ella era all’oscuro di tutto e la vendetta fu terribile. Perseguitò le famiglie traditrici, perfino i bambini in fasce, perfino le amanti, con una crudeltà così folle che si alienò ogni simpatia del popolo.

Nel 1497 s’innamorò di un altro uomo: Giovanni de’ Medici detto “Il Popolano”. Dal matrimonio, nel 1499 nacque un figlio che poi sarà noto come Giovanni dalle Bande Nere, padre di Cosimo I de’ Medici, il primo Granduca di Toscana. Caterina non dimenticò le sue abilità nell’arte della guerra e saprà difendere il suo territorio da Venezia tanto da meritarsi ancora una volta l’appellativo di Tigre di Forlì. Tuttavia, la sua storia si avvicinava all’epilogo. Ecco un giovane condottiero, figlio del papa regnante: Cesare Borgia, detto il Duca Valentino. Lo scontro fu epico, preceduto da un’ambasciata di Machiavelli che raggiunse Caterina Sforza a Ravaldino per convincerla di un’alleanza con Firenze contro Pisa, ma ella lo congedò tra vaghe promesse. Ebbene, arrivò il giovane Borgia e Caterina non offrì particolare resistenza: prima cadde Imola, poi si arrese Forlì. Intanto, le truppe del figlio del Papa si dedicavano ai saccheggi e ai soprusi comuni a quel tempo e Forlì, dal 19 dicembre 1499, è interamente controllata da 14 mila invasori. I forlivesi potenti o erano già saliti sul carro del vincitore, o studiavano la situazione non lesinando inchini al Valentino.

E poi c’era lei, Caterina, rinserrata nella sua rocca, città-Stato, con il suo piccolo esercito. Il Duca stesso, immaginandosi una Romagna Stato con lui, per evidenti raccomandazioni, a capo, iniziò a farsi benvolere dal popolo, rispondendo alle denunce dei soprusi che i suoi soldati stavano continuando a perpetrare. Dopo un Natale passato in famiglia, con il cardinal cugino Giovanni, legato di Bologna, Cesare Borgia diede la buona notizia al Papa suo padre della presa di Forlì, anche se la Rocca era ancora di Caterina. La battaglia definitiva iniziò nei giorni successivi, tra bombardamenti e trattative. La “guerra lampo”, però, non finì nei tempi previsti, Caterina resisteva, e iniziarono a scoprirsi i nervi del Borgia. L’assalto finale ebbe luogo il 10 gennaio: le bombarde lanciarono proiettili giorno e notte contro Ravaldino. Finì male per Caterina che da sola aveva affrontato i quindicimila armati e le artiglierie del Re di Francia, forse per demerito di uno dei suoi. Borgia vinse, ma per poco, il 12 gennaio 1500. Caterina, dapprima imprigionata, fu portata a Roma, quindi finì la sua esistenza nel 1509 a Firenze a 46 anni. Negli ultimi tempi aveva approfondito il suo interesse per la medicina, l’alchimia e la cosmetica, raggiungendo grandi risultati anche in questo campo di ricerca.

La donna, figlia del suo tempo, non merita certamente un processo di canonizzazione ma nemmeno di essere trascurata dai forlivesi di oggi. Allora fu più che temuta che amata ma occorre ricordare che ha contribuito e contribuisce a far girare il nome di Forlì nel mondo. La Rocca rimane in attesa di diventare quello che merita, magari dando lustro a un allestimento moderno e opportuno al Museo Etnografico (nascosto da decenni) e all'Armeria Albicini (conosciuta solo dai concittadini canuti). Insomma, Caterina Sforza potrebbe dare una bella sveglia a Forlì, se i forlivesi si dessero una mossa. Rimane, infatti, un perno della storia, non solo la sua discendenza medicea fonderà il Granducato di Toscana, ma è pur vero che i Re di Francia da allora discenderanno dalla Tigre di Forlì. 

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