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Martedì, 16 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

A Forlì l'omicida divenne santo

Nell'aprile del 1293 moriva Carino da Balsamo, assassino proveniente dalla Lombardia: a Forlì diventò Beato. Ecco la sua storia.

Le storie più belle sono quelle che riguardano le conversioni. Cioè la rivoluzione dell’uomo da un’esistenza orientata al male a una vita piena di bene. Passaggio fondamentale tra le due situazioni è la consapevolezza di aver sbagliato, l’afflizione, il rimorso, l’esigenza del perdono. Una di queste tante storie riguarda la Romagna ed è così remota da essere svanita nella memoria dei più. Il “fatto” scatenante si svolse in una località lombarda, ma l’incontro a Forlì con un uomo che poi sarebbe diventato Beato, rese a un delinquente (pentito) gli onori degli altari. La scenografia che fa da sfondo a questa storia (almeno nella sua parte forlivese) vede San Domenico, nel cui complesso si sta svolgendo la grande mostra ottocentesca, e il grazioso oratorio di San Sebastiano. Quando visitiamo le esposizioni nel vasto museo, bisogna ricordare che uno dei più celebri abitanti del convento ebbe una vita romanzesca.

Nel 1242 Papa Innocenzo IV scelse il domenicano Pietro da Verona per debellare con la predicazione l’eresia che a quel tempo stava dilagando in Lombardia. In particolare, a Milano, proliferavano alcune sette chiamate dei catari, dei gazari, dei concorrezzi, e dei “credenti di Milano”. Nel 1252 Pietro era in procinto di raggiungere il capoluogo lombardo con il suo confratello Domenico. Gli eretici già da tempo tramavano per farlo fuori e, leggendo le fonti, emerge un ritratto di potenti sette, ricche e senza scrupoli, oggi si parlerebbe di lobbies. Il 6 aprile 1252, infatti, dopo aver celebrato la Pasqua a Como, il predicatore veronese stava raggiungendo Milano insieme col suo confratello Domenico quando furono vittime di un agguato. Mandante era la setta dei “credenti di Milano”: la taglia per Pietro fu posta a quaranta lire.

Si attivò subito Stefano Confalonieri di Agliate, che si era accordato già la settimana prima di Pasqua con Manfredo Cliroro in un giardino di Giussano. Per la congiura furono coinvolti, e pagati, altri personaggi come Guidotto Sachella, che sapeva tutto delle future intenzioni del domenicano ed era disposto a contribuire con venticinque lire all’omicidio, o Jacopo della Chiusa, che però era già “impegnato” con la promessa di uccidere un altro predicatore cattolico, frate Rainerio, a Pavia in cambio di venti lire. Così fu scelto come sicario un certo Carino originario di Balsamo. Avido e crudele accettò di buon grado, ma volle con sé anche Albertino da Lentate, detto Migniffo. Costui, però, sul più bello decise di stare a casa. Carino, comunque, agì: attese a Farga, presso Barlassina nel territorio di Seveso, Pietro e Domenico mentre a piedi stavano dirigendosi da Como a Milano dove sarebbe stato accolto dall’arcivescovo Leone da Perego e il podestà Pietro degli Avvocati. Il sicario, armato con un falcastro, si gettò su Pietro e lo percosse con tremendi colpi alla testa, lasciandolo esanime sul terreno. Il predicatore, raccolte le ultime forze, scrisse con le dita sulla terra: “Credo in te Signore e nelle tue mani rimetto lo spirito mio”.

Carino, notato ciò, diede il colpo di grazia a Pietro che così morì a 47 anni. Le spoglie del domenicano, venerato come San Pietro Martire, confessore, profeta e dottore della Chiesa anche grazie a miracoli e prodigi che si sono verificati nel giorno del suo brutale omicidio, riposano nella basilica meneghina di Sant’Eustorgio. Domenico, l’altro confratello, rimase ferito e morì una settimana dopo. Carino rimase solo e fu subito messo in prigione. Dieci giorni dopo l’arresto, corruppe i carcerieri e se ne andò. Questa fuga generò il caos in Milano: la gente si scagliò contro le istituzioni del tempo, chiedendone, come si direbbe oggi, le dimissioni. Inutile cercare Carino a Milano, ormai aveva già preso la strada per Roma. Contristato dalla vicenda, sentiva il bisogno di essere assolto dai suoi numerosi peccati. Progettò il cammino verso la capitale, avvilito dal rimorso, e prese la via Emilia. Però i progetti dell’inquieto delinquente furono sovvertiti: una malattia, forse causata dal dolore per i suoi misfatti, gli impedì di raggiungere Roma.

Il morbo lo colse a Forlì, a metà strada tra Milano e la meta. Venne ricoverato nell’ospizio di San Sebastiano e curato dalla confraternita religiosa dei Battuti Bianchi. Qui chiese di incontrare il priore del vicino convento dei domenicani perché si voleva confessare. Così, in quella che ora è la sede della Pinacoteca, avvenne l’incontro tra Carino da Balsamo e Giacomo da Venezia, predicatore domenicano noto a quel tempo come Apostolo di Forlì. L’omicida, trasformato dalla Misericordia divina, consegnò al priore il falcastro, l’arma del delitto e fece domanda per far parte della famiglia religiosa, dove fu accolto come laico. Trascorse la vita in preghiera, dedicandosi alla penitenza e al lavoro ed ebbe come padre spirituale Giacomo Salomoni, originario di Venezia, ora Beato. Carino morì a Forlì il 1° aprile 1293. Il suo corpo fu sepolto nel piazzale del convento, ma più tardi, grazie alle testimonianze che accertavano il suo sincero pentimento, fu ricomposto e tumulato all’interno della chiesa di San Giacomo Apostolo, detta di San Domenico. Sulla lapide tombale c’è scritto “Il corpo del Servo di Dio del caro Carini da Balsamo, converso domenicano, dentro all’altare dedicato al Beato Marcolino, riposa e riposerà: anno della salvezza 1664”. Soppresso il convento dei domenicani di Forlì, il 19 settembre 1879 il corpo fu traslato in Cattedrale, insieme alla salma del Beato Marcolino e della lapide sopra citata. Nel 1822 il Capitolo del Duomo diede l’avvio alla richiesta del regolare processo per il riconoscimento del culto ab immemorabili. In realtà, l'iniziativa non ebbe esito: era periodo di moti risorgimentali e dopo la morte di Pio VII la causa si arrestò. Il convento dei domenicani fu quindi espropriato dal neonato Regno d'Italia ma i resti del Beato furono salvati e collocati nella Cattedrale di Forlì. Ancora nel 1910 fu proposto dal Capitolo generale dell'Ordine domenicano come candidato alla canonizzazione: ma anche quest'estremo tentativo non dimostrò sviluppi. Così la sua veneraziona poco a poco impallidì e Forlì si disfece della memoria e della presenza di quest'antico mistico pentito. Nell’aprile del 1934, la città lombarda di Balsamo ottenne la reliquia del capo del Beato, ora conservata nella chiesa di San Martino. Trent'anni dopo, il vescovo Paolo Babini consegnerà il resto del corpo di Carino che così lasciò la Romagna per la città lombarda. Le reliquie saranno composte in un simulacro rivestito in abito domenicano collocato in un un'urna di metallo e vetri. 

Il Beato è adorato come testimonianza “del miracolo della Misericordia di Dio e della vendetta che sanno fare solo i Santi, convertendo il loro carnefici”. La memoria liturgica di Carino è fissata al 28 aprile.

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