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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Amalia che Piero ammaliò

La moglie tedesca del patriota forlivese Maroncelli: una donna tra Vecchio e Nuovo Mondo, una carriera accanto al marito

“Non è bella, non è brutta, è molto piacente (…). Ho bisogno, caro fratello, di dirti che l’amo assai, che ci amiamo assai, e che non sarò mai d’altra donna che di lei”. Queste (e altre) parole nel febbraio del 1833 Piero Maroncelli scrisse a Silvio Pellico. A chi si riferiva il cospiratore forlivese? A una giovane tedesca di ventidue anni: Amalia Schneider. L’aveva conosciuta qualche mese prima a Parigi, era una sua allieva di canto che ben sapeva destreggiarsi nelle arie rossiniane dei ruoli da contralto. Nata nel 1809, avrebbe sposato Maroncelli nell’agosto dello stesso 1833 con cui visse soprattutto in America. Infatti, dopo il matrimonio in Francia, la coppia inseguì il successo musicale nel Nuovo Mondo, e lì Amalia inaugurerà il Teatro dell’Opera di New York con la Gazza Ladra (di Rossini, ovviamente) riscuotendo successo. Nella stampa americana si leggeva di “favorevole impressione” di lei con una “voce soave e talvolta possente” mentre “i cori furono ben istruiti da suo marito”. 

Già, perché è bene ricordare che Piero Maroncelli, oltre agli importanti trascorsi risorgimentali, era un musicista. Tuttavia, dopo successi ed entusiasmi, la scia positiva s’arrestò e la coppia, in quel di Filadelfia, iniziò a scontrarsi con amarezze e precarietà. Qui ci sarebbe da scrivere il libretto di un melodramma nel melodramma, basandosi sul romanticismo struggente ricavato dalle lettere dei due sposi europei disoccupati negli Stati Uniti. Innamorati, poveri, artisti, patrioti: è Ottocento all’ennesima potenza. Eccone una, di Piero: “Scrivimi, scrivimi, perché non ho altra consolazione che le tue lettere. Se tu sapessi come sono triste, lungi da te! Non ho il coraggio né voglia di presentarmi in alcuna società ove avevo abitudine di comparire al tuo fianco, e protestare al mondo: ecco la donna forte che ha steso graziosamente la sua mano per sollevare l’uomo senza sostegno”. 

I primi tempi di vita americana furono durissimi per i due; Amalia, era una moglie dolce, forte, comprensiva e il suo sostegno premuroso non scemò mai, neppure negli ultimi anni in cui il marito era debilitato, senza una gamba, dopo la prigionia. Si dà per scontato, qui, che gli aspetti più noti della vita di Maroncelli siano noti (appunto) ai forlivesi ben volentieri smemorati o poco accorti dei loro illustri predecessori. Magari la carenza di fosforo o l’accidia, o la pigrizia (di tutt’altra tempra erano i concittadini dell’Ottocento, nel bene e nel male) potrà essere alleviata da un allestimento aggiornato e ben fruibile dell’ormai misterioso Museo del Risorgimento in quel Palazzo Gaddi dal portone sempre chiuso. Che dire degli sventurati turisti che ogni anno bussano invano alla soglia serrata dell’austero palazzo di corso Garibaldi trovando un silenzio glaciale? Si perdoni la dovuta digressione e si torni a Piero e Amalia. 

A poco a poco le difficoltà si appianarono, grazie ai numerosi concerti in cui lui, al pianoforte, accompagnava la voce di lei. Tra lezioni di musica e di letteratura italiana, raggiunsero un tenore di vita dignitoso e furono attorniati da molti amici italiani (come il vecchio Lorenzo Da Ponte, già librettista di Mozart), Andrew Norton (professore dell’Università di Harward) e lo scrittore Edgar Allan Poe. Dopo la morte del marito, nel 1846, Amalia tenterà di vendere tutta la sua biblioteca (quasi mille volumi) per pagare un monumento funerario degno. Vero è che la collezione di libri di Piero Maroncelli, considerata la più ricca dell’America di allora, è andata dispersa in mille rivoli. Poi, negli anni successivi, si trasferirà a Stoccarda, per vivere con la figlia Silvia che aveva sposato il dottor Emil Müller. Morrà in Germania il 3 settembre 1895. Pur avendo avuto pochi trascorsi forlivesi, Amalia ebbe grandi meriti nel conservare i cimeli del marito e donarli poi a Forlì. È ancora grazie ad Amalia se il corpo del marito ora giace a Forlì dopo aver riposato per anni al di là dell’Oceano.

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