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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

A Forlì non ci sono capre

La frase, forse gradita a Sgarbi, è tratta da quest'intervista immaginaria (ma le risposte sono vere) a un ipotetico contadino della Forlì ottocentesca; là dove era "tutta campagna" ora si estende la città. Quali erano gli usi del tempo?

La città, nel suo progredire, ha a poco a poco "mangiato" diversi ettari là dove una volta, come amano confrontare i meno giovani, "era tutta campagna". Anche all'interno delle mura esistevano zone coltivate da tempi immemorabili e certe consuetudini, fino al Novecento, probabilmente sono rimaste immutate per secoli. Nella foto, l'area degli orti di Schiavonia. Così, questa volta, il Foro di Livio, complice la primavera vicina, va in campagna a intervistare un ipotetico contadino di metà dell'Ottocento. Le sue parole scritte sono tratte da un raro volumetto intitolato "Dell'Agricoltura del Territorio di Forlì" (senza data, senza editore), dove "territorio" significa "Comune". Il linguaggio, dunque, è quello originale sebbene rimaneggiato e ridotto a intervista all'uopo. Si noteranno unità di misura scomparse (la tornatura, lo stajo…), e si consideri che il "piede" forlivese corrisponde a ben 48 centimetri. Sono presenti anche valute dello Stato Pontificio (bajocchi, paoli). Chi volesse approfondire, vada a cercare il significato di "marzuoli" o di "peri di terra". Oltre all'atmosfera da tempo perduto, si può anche immaginare un paesaggio che non possiamo più vedere.

Quanto è vasto il territorio forlivese e che cosa vi si coltiva maggiormente?
Il territorio forlivese ha una lunghezza di nove miglia, ed una larghezza di dodici all'incirca. Confina a levante col territorio di Forlimpopoli, e in parte con quello di Ravenna; a ponente col Faentino; a mezzogiorno col Toscano, ed a settentrione col Ravegnano. Questo si divide in ottanta e più tornature. La tornatura è composta di cento piedi forlivesi quadrati. Il prodotto principale del paese è il frumento ordinario. Tanto le canape che i lini si coltivano in tutto il territorio, ma non in grande quantità. Nessuna semenza oleifera si coltiva. Le patate e i peri di terra non sono in considerazione alcuna.
Oltre il trifoglio, coltivansi per foraggio il fien greco, l'avena, i piselli selvatici e la veccia.

Come sono regolati le proprietà e il possesso dei campi?
Tutte le possessioni e i poderi vengono consegnati a colonia, colla condizione di dover dividere per metà qualunque prodotto viene in essi raccolto, dovendo lo stesso colono somministrare la metà di qualunque semenza. Questi deve inoltre pensare al provvedimento di buoni aratri, di falci, di vanghe, di zappe e di altri strumenti e di rustici attrezzi necessarj, tanto  per seminare quanto per raccogliere i diversi generi; e deve avere e conservare a sue spese un carro e biroccio pel trasporto di letami dei generi di parte domenicale alle case dei rispettivi padroni, e per altre occorrenze. Egli ha ancora il peso della regalìa, l'obbligo di prestare opere da mano, alcuni carreggi, e  di somministrare pollame e uova nei rispettivi tempi. La regalìa, ossia l'annuo pagamento d'affitto della casa da esso contadino abitata, è regolata in ragione di paoli cinque per ogni stajo o corba di semenza. Il padrone resta obbligato ai riattamenti che vi occorrono.

Come sono divisi i campi?
I campi, ossiano le prese, si dividono in concolle, o porche. La presa ordinaria ha una lunghezza di cinquecento piedi, ed una larghezza di cinquanta. Ai lati di ogni presa vi sono filari di olmi, ciascuno colle viti ai fianchi.
I poderi, relativamente ai prodotti che vi si seminano, si dividono per metà. Il grano occupa ogni anno la metà del podere, ed i marzuoli l'altra porzione: cosiché quella terra in cui l'anno scorso era stato seminato il grano, nel vegnente viene coperta di marzuoli; e dove erano questi, l'anno dopo seminasi il grano, e così successivamente.

E per quanto riguarda i concimi?
I letami usati per l'ingrasso dei campi, delle vigne, degli ortaggi e delle praterie sono i seguenti. Il bovino, suino, cavallino, umano, pecorino, pollino, ritagli di cuojo, sterco di bachi da seta ed anco gli stessi bachi che non fanno bozzoli; pelo asciutto di majale, calcinaccio ben crivellato, e polvere di strada frammischiata con cavallino e fogliame caduto dagli alberi.
Il bovino, suino, umano e cavallino pagasi quindici paoli al carro; il pollino, pecorino, ec. pagasi quindici bajocchi lo stajo.

Dentro le mura ci sono gli orti. Come sono?
Gli orti sono divisi la maggior parte in tanti quadrati: l'estensione loro è alquanto ristretta. Sono in numero sufficiente, e capaci a somministrare il bisognevole alla città.

Che tipo di bestiame si alleva a Forlì?
Il bestiame bovino non è in abbondanza, ma in copia sufficiente, tanto pel travaglio della campagna, quanto pel consumo della popolazione. Si nutre regolarmente, alimentandolo con paglia frammischiata con istrame, con fieno, fien greco, trifoglio, piselli selvatici e veccia. In tempo d'inverno vien custodito in istalle ben riparate dal freddo.
Non vi sono che pecore nostrane. Due volte al giorno si mandano al pascolo sulle stoppie o sui prati; al mezzogiorno e alla sera si rinchiudono nell'ovile, ove dimorano la notte. Sul territorio forlivese non vi è alcuna capra.
I porci abbondano. Oltre quelli che servono al consumo del paese, quantità grande ne vien condotta nel Veneziano, sul Ferrarese e in altre parti.
I prosciutti, i salami, i cotennini e le coppe sono i salumi di maggior riputazione. Per rendere i majali pingui assai, loro si dà tre volte al giorno la pasta calda e densa di farina di frumentone rimescolata con semola; ghiande sempre a loro disposizione, e fra il giorno qualche volta un poco di fava o frumentone.

Vi sono alberi da frutto? E boschi?
I frutti più comuni sono i meli, peri, noci, mandorli, ciliegi, peschi, fichi, nespoli, sorbi, avellani, meliachi o albicocchi, pruni o susini, giuggioli e pomi reali. Non vi è alcun olivo.
Non vi sono boschi, ma soltanto alcune selve mal coltivate e in decadenza.

Come sono le case coloniche?
La maggior parte trovasi in cattivo stato. Esse mancano o scarseggiano di varj oggetti principali. Hanno fienili ristretti coperti da cattivi tetti, stalle senza pavimenti, ovili e porcili mal custoditi, capanne cadenti, e la stessa abitazione del contadino bassa e mal intesa.

Conviene allevare bachi da seta? E le api?
Da un'oncia di uova di bachi, se la stagione sarà stata ben temperata e la custodia diligente, si ricavano ottanta e anche novanta libbre di seta.
Dovrebbero i coltivatori avere una stima maggiore delle api.
Quei pochi che hanno il genio di possederne e di educarne, usano della maniera seguente. Allorché da lungi vedono uno sciame vagante, per fermarlo vi corrono contro battendo un ferro contro una caldaja: lo sciame, sbalordito da questo fragore, va a fermarsi in qualche ramo di albero; fermato che si è, all'imbrunir della sera vi si accostano pian piano, recidono il ramo dell'albero ove si è posato, e con destrezza tenendo ivi pronto l'alveare spruzzato di vino dolce per impedire la emigrazione, lo pongono in esso dolcemente. Per alveare usano per la maggior parte di bigonci, quali collocano sopra una trave vicina al muro, oppure alti da terra quattro o cinque piedi, sempre colla bocca voltata all'ingiù, e posti a levante. Nei tempi d'inverno soccorrono le api, presentando loro sotto all'alveare piatti di mele. 

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A Forlì non ci sono capre

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