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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Cartolina impossibile da piazza Cavour

San Francesco Grande: la scomparsa dell'antico tempio caro agli Ordelaffi, una brutta pagina di storia forlivese.

Una recente ricostruzione grafica ha restituito una quinta che è scomparsa da Forlì da almeno due secoli. Si tratta della chiesa di San Francesco Grande, importantissimo complesso conventuale che ha seguito il destino più disgraziato della storia architettonica della Città. Se fosse ancora dov'era, entrando nell'attuale piazza Cavour (rectius: Campo San Francesco) da via delle Torri, costeggiando Palazzo Orselli (anch'esso frettolosamente fatto sparire qualche decennio fa), si sarebbe goduto dell'impatto visivo come in immagine. Una facciata imponente e austera, decisamente più alta degli edifici circostanti, come si nota in antiche vedute della città. Poi, dalle mappe, a poco a poco il grande luogo di culto scompare, dapprima rimane una sagoma appena abbozzata, poi il vuoto su cui, fino al 1860, rimaneva il nome: Campo San Francesco. Poi l'Unità d'Italia, l'intitolazione della piazza a Garibaldi, a Cavour e, popolarmente, alle Ortolane o alle Erbe. Nel frattempo, tra le scarse vestigia permaste del convento, era stato edificato il Foro Annonario e nell'area occupata fino a poco prima dal Tempio prevalse il mercato. Oggi è un parcheggio a pagamento inserito in una bella e ariosa piazza: nulla, però, ricorda o lascia intuire la presenza per oltre mezzo millennio di una chiesa gigantesca. Che fine ha fatto? Inutile cercarla, ormai: l'immagine rielabora l'omonima chiesa di Siena, sembra che la romagnola fosse molto simile ad essa. 

La costruzione di San Francesco, dei Minori francescani, fu permessa da Papa Innocenzo IV nel 1250; i lavori si protrassero fino al 1266. Misurava 75 metri di lunghezza, con un prospetto frontale largo 25 metri e una facciata alta circa 30 metri: per questo era “Grande”, anche perché attorno ad essa sorgevano piccole casupole che accentuavano la magnificenza del tempio. Fa sorridere tale imponenza ed attribuirla poi ai “Minori”, eredi a Forlì di una tradizione spirituale elevatissima, degna del portoghese Sant'Antonio di Padova che qui iniziò a predicare. I francescani forlivesi se la giocavano quasi alla pari con i rinomatissimi domenicani i quali, almeno, hanno conservato finché hanno potuto chiesa e convento, poi rovinati dagli espropri di Napoleone e del Regno d'Italia. Compiuta la rovina del tempio e dopo altre vicissitudini, i fraticelli col saio se ne andarono in Borgo Schiavonia, in una chiesa modesta che ancora oggi passa quasi inosservata. Eppure la loro casa precedente era uno dei “punti cardinali” della religiosità forlivese: la Cattedrale a settentrione, San Mercuriale a meridione, San Domenico a occidente, San Francesco a oriente. Una croce quasi perfetta, anche se più simile a un Tau, con fulcro nel Duomo, aveva i due bracci opposti pressoché uguali, terminanti con le chiese degli ordini mendicanti per eccellenza. Il campanile, tozzo e massiccio, era stato edificato sul fianco a levante dell'unica navata con coperture a capriate lignee. L'abside sporgeva sull'attuale via Matteucci. Un grande rosone campeggiava sulla facciata rivolta verso via delle Torri. La chiesa aveva un accesso frontale e uno laterale ed era tanto grande da poter accogliere i Capitoli generali dell'Ordine, con un numero elevato di francescani. Come, per esempio, nel 1421 quando la grande chiesa forlivese accolse circa tremila frati, tanto che volle essere presente anche Giorgio Ordelaffi, particolarmente legato alla regola dell'Assisiate. 

Dove ora c'è il Mercato coperto o, meglio, Foro annonario, c'erano i due chiostri: il maggiore fu ricostruito nel 1483 dopo un forte terremoto grazie alla munificenza di Girolamo Riario. Ciò che resta del monastero imponente è molto poco: qualche traccia è presente nel corridoio di un fabbricato a fianco del Mercato coperto, usato per lungo tempo come istituto scolastico. Alcuni resti sono stati riciclati per costruire la vicina chiesina dedicata a San Francesco Regis, in via Pisacane. Con la scomparsa di San Francesco Grande, scomparve il grande Pantheon cittadino. Qui erano le tombe degli Ordelaffi, Signori di Forlì. 
Nel 1381, Sinibaldo fece deporre nell’antico sepolcro le ossa dei genitori Francesco e Cia degli Ubaldini, fatte trasportare da Venezia. Altri importanti membri della famiglia Ordelaffi furono sepolti nella chiesa: Giorgio nel 1422, Antonio nel 1448 e Cecco nel 1466. Nel 1488 si celebrarono nella chiesa i funerali di Girolamo Riario, marito di Caterina Sforza ucciso durante una congiura cittadina il 14 aprile dello stesso anno. In San Francesco, inoltre, erano collocate le tombe di altri illustri uomini della città. 
Se ancora fosse in piedi, vi potremmo vedere capolavori di Baldassarre Carrari “Il Vecchio”, discepolo di Giotto, Girolamo Genga, Marco Palmezzano, Francesco Menzocchi, Pietro Barilotto e di tanti altri artisti prestigiosi. Notevoli erano i pavimenti, ricchi e ornati con particolare perizia, con disegni che raffiguravano volti di uomini illustri. 
Grazie alla munificenza delle antiche famiglie liviensi, la chiesa fu arricchita da cappelle con marmi e pitture: tre di esse portavano la firma di Marco Palmezzano, un'altra era dedicata a San Bernardino da Siena, che qui aveva predicato nel 1431. La cappella Lombardini però, era il gioiello nel gioiello. Voluta dal medico mecenate Bartolomeo Lombardini, era il capolavoro del Rinascimento forlivese: attribuita ad un modello di Palmezzano ed eseguita dall’architetto ravennate Bernardino Guiritti, conteneva una grandiosa composizione dipinta da Girolamo Genga costituita da oltre novanta figure di Patriarchi, Vergini, Santi, da un originale pavimento di mattonelle faentine, dalla balaustra e dal ricco sarcofago del medico mecenate, eseguiti dallo scultore faentino Pietro Barilotto. 

Poi tutto finì, complice il terremoto del 1781. San Francesco Grande fu lesionata ma i francescani volevano evitare di ripararla per costruirne una nuova. Che, in effetti, fu iniziata ma - come riporta chi poté far confronti - risultava sciatta rispetto alla versione precedente, che pare abbia meritato la visita di Dante. La vecchia chiesa rimaneva però in piedi, benché diroccata poiché a nessuno interessava ripararla, essendoci ormai quella nuova. Arrivarono i francesi di Napoleone e furono soppressi conventi e monasteri. Così, in quel tremendo 1797, il marchese Paolo Monsignani le provò tutte per scongiurare la dissacrazione di ciò che rimaneva della chiesa antica, tanto da interessare pure papa Pio VI. Niente da fare: il 10 luglio 1797 iniziò l'abbattimento della chiesa duecentesca le cui opere d'arte andarono disperse, specialmente all'estero (ora si trovano importanti testimonianze in Francia e Gran Bretagna). Poco non ha abbandonato a Forlì, ora si conserva nei Musei Civici. Qualche mese dopo saranno atterrati tutti gli altari. La chiesa nuova divenne una stalla dove si acquartierò la cavalleria napoleonica. Nel convento trovò spazio il Ginnasio. Passati i francesi, il 15 settembre 1815 Luigi Belli divenne proprietario di ciò che rimaneva del complesso: non seppe far altro che disfarsene, cioè completò la demolizione e fece sparire ogni traccia. La deprecabile demolizione ha causato una perdita gravissima e insanabile per la storia dell'arte non solo locale; i forlivesi, persa la memoria delle tombe Ordelaffi, ora su quel sito per lungo tempo consacrato, inseriscono monetine nei parchimetri. 

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