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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Da 150 anni è "Monumentale"

Il Cimitero Monumentale compie 150 anni. Chi non vi è mai entrato (da vivo) lo faccia. Ha molte cose da dire e, tra statue impolverate, racconta la storia della città.

Appare come una grande città, con strade, alberi, mura. Gli abitanti sono stesi, silenziosi, morti. Il cimitero Monumentale di Forlì ospita oltre 90 mila defunti: luogo di pietà e di bellezza, di storia e di arte. Vale una passeggiata nel passato, in un'atmosfera di rispetto e di scoperta di nomi, storie, volti. Forlì già di per sé dovrebbe essere la città con il maggior numero di camposanti: sono ben 38, di cui 31 parrocchiali e 7 comunali. Con il ritmo di circa 1270 decessi all’anno, il quadrilatero di via Ravegnana è stato in più tempi ampliato benché conservi - in buona sostanza - l'impianto originario. Si tratta di un vero e proprio museo e, percorrendo i vasti loggiati, si legge la vicenda della città, i nomi di persone note e ignote, si notano statue e sculture impolverate (Memento homo: quia pulvis es, et in pulverem reverteris), alcune di esse decisamente interessanti, di una struggente eleganza. Austero e maestoso è il cimitero più solenne di Romagna. Fu l’editto di Saint Cloud, quello studiato a scuola per “I sepolcri” di Foscolo, a rendere necessario un luogo nuovo per le sepolture dei forlivesi. Nel 1807 fu individuata l'area: presso una fornace a Villa Pianta. Così, prendendo alla lettera la norma di Napoleone, dal 1811 fu costruito due chilometri fuori dalle mura, con le tombe regolari, uguali, fatta eccezione per quelle dei maggiorenti. Ma questo non è il cimitero che vediamo oggi.  

Fino ad allora, per secoli, i forlivesi non avevano questo concetto di "cimitero" che, dall'alto, può sembrare un accampamento militare, un castrum di romana memoria. Seppellivano i loro morti o nelle chiese, sotto il pavimento, o in cappelle gentilizie ovvero - chi non se lo poteva permettere, fuori, in terreno consacrato (non per tutti) con lapidi disordinate, avvolte da malve e ortiche. Ma Napoleone, cuor di soldato, non poteva sopportare l'insubordinazione della morte e cercò di dare anche ad essa delle direttive. Fu un pensiero forte, tanto che ancora oggi resiste sicché, entrando in un camposanto "civile", si cammina tra stradelli e quartieri spartiti da cardo e decumano. Così è palese al "Monumentale" di Forlì: dove giusto le lettere scolpite che segnano i confini fungono da bussole. Idea molto diversa rispetto ai piccoli cimiterini abbandonati che sovente si trovano in Appennino, con l'erba che prospera su ogni traccia di vanitas.

Il primo progetto realizzato ebbe la firma di Luigi Gagni, ingegnere comunale che fece edificare un piccolo e semplice recinto sulla strada che porta a Ravenna. Questo intervento fece storcere il naso un po’ a tutti: per anni la situazione rimase in stallo. Chi criticava sosteneva che fosse troppo lontano dal centro, che l'oratorio era misero... Addirittura per decenni si rimase nell’incertezza: nel 1854 il Consiglio comunale deliberò la costruzione di un nuovo cimitero sull’area di quello vecchio. Il delegato apostolico non diede l'assenso e si dovette aspettare ancora. Si pensò anche a una forma di autofinanziamento: le famiglie più abbienti avrebbero contribuito alla costruzione del quadrilatero perimetrale, usandone la parti come cappelle gentilizie, per distinguersi dalla plebe inumata nel campo centrale. Solo nel 1867, però, fu approvato il progetto definitivo (e nel frattempo la città aveva cambiato tre volte Stato: da capodipartimento cisalpino, a capoluogo di legazione pontificia, a capoluogo di provincia del Regno d’Italia). Il disegno di Pietro Camporese, ingegnere d’origini romane, fece piazza pulita del recinto di Gagni: i lavori iniziarono il 31 agosto del 1868. Una memoria dettata da Antonio Santarelli fu inserita entro un tubo di piombo alla posa della prima pietra. I lavori si protrassero per ben vent’anni: fu Gustavo Guerrini a conferire al cimitero le forme attuali. Così, finalmente,divenne quello che è. Una struttura possente, solenne ma sobria: tanto laterizio nel caratteristico rosso forlivese, per ricordare dove siamo, e i portici, così familiari ai viventi quanto ai vissuti. Un quadrato perfetto di 140 metri per lato delimita il perimetro originario, quello confinato dal solenne porticato, che trova il suo culmine nel Pantheon o Famedio dei forlivesi. Un po' Pantheon di Roma, appunto, un po' Fornò, un po' Duomo di Forlì (la facciata è più o meno coetanea), la struttura s'innalza tra le tombe. Costruito a metà del lato settentrionale, sul modello dei templi corinzi, è abbracciato da portici sopraelevati le cui arcate forniscono alle famiglie notabili cappelle e tombe, per distinguersi da quelle del “piano terra”. Ora dell’egualitarismo forzato delle origini non c’è più traccia se non nell’armonia delle forme: ogni famiglia, secondo i propri gusti e secondo mezzi e possibilità, ha costruito tombe e sepolcri diversi. Nel Pantheon, luogo sacro e tempio dei grandi della città, riposano le spoglie di Piero Maroncelli (traslate da New York), le ossa di Antonio Fratti, le salme di Fulcieri Paulucci di Calboli, di Angelo Masini e ciò che resta di Marco Palmezzano. Busti e statue degli eroi civici, di pregio, accrescono la solennità del sito. Secondo progetti rimasti sulla carta, sarebbe dovuta sorgere una chiesa grandiosa accanto alle mura del cimitero verso la città: idea definitivamente decaduta in quanto l’area è diventata terreno per qualche albero di cachi e, soprattutto, da quando vi si apre la galleria della tangenziale.

Nei portici rifulgono vestigia di una nobiltà che non mostra parsimonia ma neppure indulge sullo sfarzo. L’umidità sbriciola l’intonaco, ricordando sì la caducità, ma anche la necessità di qualche lavoro per recuperare decoro. Sono tombe composte e sobrie benché ricche, ferme nel tempo, antidoto contro la mortalità. Un boschetto selvaggio nasconde la tomba sotterranea di Aurelio Saffi, corredata di resti romani. Le lapidi antiche e abbandonate, dalle suggestioni gotiche e floreali, sono sostitute a via a via da cappelline marmoree con fotografie a colori. Perchè la storia del luogo dei morti è in continuo divenire.

Con l’arrivo del secolo scorso furono urgenti nuovi interventi: nel 1917 si ampliò l'area e nel 1933 si isolò il Pantheon (aprendo, in questo modo, il quadrato) dietro al quale si sviluppa un nuovo settore del camposanto. Nel 1926, inoltre, si aggiunse il cancello in ferro realizzato da Luigi Lombardi, su disegno di Emilio Rosetti. La grandiosità architettonica rende il cimitero forlivese un luogo da visitare per il sapiente e dovizioso lavoro di scultori, decoratori, artigiani che per due secoli hanno realizzato mirabili monumenti funebri. In molti casi si tratta di veri capolavori d'arte e testimoniano il cambiamento di gusto, da quello neoclassico a quello liberty, fino al realismo dell'ultimo Ottocento. Grandi firme del tempo e tante altre, anche anonime, crearono i sarcofagi destinati alle famiglie della nobiltà o di uomini incliti. Davanti al cimitero Monumentale, separato da esso dalla via Ravegnana, si estendono (dal 1885) la palazzina del custode e il cimitero di guerra indiano, dove riposano centinaia di “soldati col turbante” inquadrati nell’Ottava armata britannica. L'estensione più recente, invece, è recintata da un cancello ornato, di tanto in tanto, da cerchi metallici con quattro frecce: forse soltanto uno (o poco più) le conserva tutte e quattro, nel frattempo, buontemponi hanno staccato qua e là parecchie puntine. 

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