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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Da Forlì per difendere Vicenza

Nella primavera del 1848, trecento forlivesi partono per contrastare gli austriaci in Veneto. Tra questi, un padre e un figlio

Dopo la rivoluzione a Vienna, nel marzo del 1848, insorsero i capoluoghi del Lombardo Veneto. Tra questi anche Vicenza: per ripristinare l’ordine e ricondurre la città all’aquila asburgica arrivarono trentamila soldati imperiali con cinquanta cannoni. I difensori italiani erano circa undicimila uomini con trentotto cannoni. L’azione principale austriaca si sviluppò contro le posizioni del monte Berico, presidiate da forze regolari pontificie e da volontari. Ma, preso il monte, cadde la città. I difensori sarebbero usciti da Vicenza con l’onore delle armi. Ingenti, però, furono le perdite: per gli asburgici ne morirono 304, 541 furono i feriti e 140 i dispersi. Per gli italiani: 293 morti e 1665 feriti. 

Ecco, quindi cosa c'entra questo episodio con la storia forlivese? Tra i difensori della città c’erano anche diversi romagnoli, addirittura trecento di Forlì, come Pompeo Randi (l'artista) e suo fratello Oreste (morto in quell'occasione appena diciottenne), come Gaetano Ghinassi, al comando della compagnia della III Legione Romagna, come altri nomi del Risorgimento forlivese. E come Francesco e Achille Canestri, padre e figlio. Il primo era nato nel 1808 e trovò la morte difendendo la città veneta, nel giugno del ’48. I trecento forlivesi a Vicenza, divisi in tre compagnie, erano confluiti nella terza legione romana, condotta dal colonnello Gallieno. Alla legione fu poi aggiunto anche il battaglione universitario, comandato dal maggiore Ceccherini. Il corpo, nel suo complesso, fu agli ordini del generale Ferrari e in seguito del generale Durando.

Nella lapide inaugurata in San Filippo il 25 dicembre 1928 si legge: “Al conte / Francesco Canestri / Primo tenente della terza legione romana / che votati alla patria / le sostanze e l’amore di una sposa e di cinque figli / nel fiore dei suoi trentotto anni / assunto a compagno dell’epica gesta / il primogenito diciassettenne Achille / rivendicando sui Colli Berici / nella giornata del 10 giugno 1848 / i sacrosanti diritti di nostra gente / colpito alla fronte / cinque giorni dopo spirava / fidente in Dio e nelle future glorie d’Italia. / Qui dove il 28 luglio seguente / la madre e i fratelli / la sposa contessa Anna Serughi / mai dissociata / nelle aspirazioni e nelle generose imprese del prode / i figli eredi tutti/ nelle posteriori battaglie per l’Indipendenza / della grande anima del genitore / si raccoglievano a celebrare le esequie / sedici lustri dopo l’eroico sacrificio / di un uomo e di un’intera famiglia. / L’unico figlio superstite Antonio / e i nipoti / vollero eternata la gloria e la virtù del padre e dell’avo”.  L’iscrizione, in verità, presenta un doppio errore anagrafico: in quel 1848 Francesco aveva quarant’anni, e Achille diciannove. 

Sulla storia di questo personaggio e della sua famiglia, Adamo Pasini scrisse un volumetto stampato nel 1928. Il volumetto nasce come “regalo di Comunione e di Cresima” che mons. Pasini fece al giovane Achille Canestri, bisnipote di Francesco. 
“Uscendo dalla Cattedrale – si legge nella prefazione scritta dall’autore rivolgendosi al ragazzo - per prendere la strada che più presto ti conduce al rialto della piazza, se tu guardi in alto, leggi via Francesco Canestri. Entrando poi nel palazzo del Governo, tu vedi nell’atrio una lapide con vari nomi, a capo dei quali è il Tenente Francesco Canestri. E nel Civico museo del Risorgimento ti mostreranno fra altri oggetti un berretto militare forato da una palla, che fu già di Francesco Canestri… Tu certo vorrai non solo sapere chi fosse, ma udire minutamente parlare della sua vita. Ed io ho raccolto per te quello che di lui e della sua famiglia ho potuto trovare”. 
Mons. Pasini  collezionò lettere e scritti, riportandoli nel volumetto in cui si riscopre la storia dei Canestri, di origini bergamasche, giunti in Romagna sul finire del Cinquecento. 
Si racconta anche che Girolamo Canestri, il 22 novembre 1655, ospitò nella sua villa nei pressi di Bertinoro la regina Cristina di Svezia. Il suo discendente Francesco fu un tipico figlio del suo tempo, di cui è tramandato lo spirito cordiale, l’umanità, la prestanza fisica e la bellezza. 
Nato il 22 marzo 1808 da Antonio e Maria Giovanna Trotti, Francesco Canestri fu educato nel seminario di Faenza ed ebbe tra i suoi maestri l’abate Torreggiani. S’interessò in modo particolare di agricoltura, ma anche di lettere, storia, geografia e spiccò nelle discipline ginniche. Sposatosi a vent’anni con la coetanea Anna Serughi, dell’inclita famiglia comitale forlivese, si distinse per generosità, rettitudine e di coraggio. 

Arrivò il fatidico ’48 e Canestri non si tirò indietro.  Partì il 19 aprile col figlio Achille, un ragazzo di diciannove anni, e lo portò con sé in Veneto, dove infuriavano i moti antiasburgici. Fu luogotenente nella prima compagnia delle milizie forlivesi, comandate da Gaetano Ghinassi. Combattè il 22 e 23 maggio, cercando di ostacolare gli assalti degli austriaci e fu proposto capitano dal colonnello Gallieno. 

Nella battaglia del 10 giugno, mentre stava difendendo un avamposto, fu ferito al capo da “una palla infuocata”. Caduto per il colpo, fu trasportato in un luogo sicuro, presso il santuario della Madonna di monte Berico e poi in una casa di persone fidate. In seguito fu assistito da un altro forlivese, il medico Sostegno Sostegni, e da altri quattro chirurghi, ma non ci fu nulla da fare.  
Dopo un’agonia di cinque giorni morì: non era stato possibile estrarre il proiettile.

Al funerale, il 29 luglio nella chiesa di San Filippo, la moglie e i figli erano in ginocchio ai piedi del catafalco, in lacrime per la perdita del marito e del padre.  Il figlio Achille morrà nel 1907, partecipò alla campagna del 1859 per l’Indipendenza italiana e fu ispettore dei dazi di consumo. Sposatosi in seconde nozze con Delmira Fiorini, fu padre dell’ecclesiastico Alberto, che divenne tra l’altro direttore spirituale del Pontificio collegio di Propaganda Fide.

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