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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Danzatrice in attesa di riscatto

Una statua di Canova ritrovata in Russia è l’originale scolpita per Forlì? Nel dubbio, si trovi il modo per recuperarla

Si parla – e giustamente – tanto dell’Ebe, la ragazza immortale scolpita nel marmo da Antonio Canova e conservata nei musei civici di Forlì. Eppure essa avrebbe una sorella maggiore forse meno iconica ma sicuramente più misteriosa. Si tratta della “Danzatrice col dito al mento”, figlia dello stesso Canova e acquistata da Domenico Manzoni. Nel 1810, costui volle nobilitare la sua residenza (il bel palazzo che fu dei Morattini in corso Garibaldi) con un’opera dell’artista di grido del tempo: Antonio Canova, appunto. 

Manzoni, di origini faentine, era una figura controversa di cui “Il Foro di Livio” s’è occupato specialmente riguardo alla sua morte: fu pugnalato sulla via del Teatro il 26 maggio 1817.  Egli aveva dato mandato all’amico Pietro Giordani, letterato piacentino, di trovare un soggetto giusto, idoneo. Vide quindi una prova in gesso rappresentante una danzatrice, danzatrice diversa da quella “con le mani ai fianchi” che l’Autore stava creando per Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone. E quella sia! Dal gesso venne fatto il primo esemplare in marmo, destinato al committente forlivese. La ragazza scolpita appariva più civettuola anche perché, in buona sostanza, pare che non stia danzando: sta pensando, chissà a cosa, a un passo, a un movimento, ad altro?

La statua costava 4.400 scudi (cifra che oggi, in via approssimativa, vorrebbe dire 110 mila euro), il conto salato andò incontro a ritardi nel pagamento e la cosiddetta Danzatrice Manzoni (terminata con molta calma nel 1814) arrivò a Forlì solo nel 1818. Il suo committente, però, nel frattempo era stato ucciso. Aveva fatto in tempo a saldare e approntare una sala del suo palazzo per ospitare il nuovo capolavoro. La vedova fece eseguire al Canova una stele funeraria in memoria del marito, ora si vede all'interno della chiesa della Trinità. Sopraggiunti però i tempi delle ristrettezze si affrettò a vendere la Danzatrice che fu comperata nel 1830 da Nicola Guriev, ambasciatore russo a Roma. A questo punto si perde la traccia e ci si addentra nel giallo. 

La “Guida per la città di Forlì” di Giovanni Casali (1838), parlando di palazzo Manzoni, scrive: “La Danzatrice, un tempo esistente presso la Famiglia stessa, è al presente passata a Londra”. Ettore Casadei, in “Forlì e dintorni” (1928) conferma – o copia - quest’ipotesi: “in seguito passò a Londra”. A favore di un possibile passaggio britannico è stato segnalato da Flavia Bugani un indizio: a Villa Saffi di San Varano è presente un'incisione raffigurante la Danzatrice Manzoni con la dedica, pure incisa, "alla Nobile Donna Carolina Lady Cawdor nata Howard". Per decenni, tuttavia, l’aggettivo che più era accreditato per la statua era “dispersa”: nessuno, in fin dei conti, l’aveva più vista. La Romagna non si era sufficientemente affezionata a cotale ragazza di marmo perché la sua permanenza qua fu breve. 

Nel volume “Palazzi di Forlì” di Giordano Viroli, è scritto che la Danzatrice: “attualmente è conservata alla Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma”. Ma il libro è stato pubblicato nel 1995 quando ancora una scoperta di cui poi si tratterà era di là da venire. Infatti, è vero che è presente una “Danzatrice” a Roma, si stabilirà tuttavia che si tratta di una copia degli anni Trenta dell’Ottocento, eseguita da Luigi Bienaimé per Alessandro Torlonia. Oltre a questa versione, rimane il modello in gesso nella gipsoteca canoviana di Possagno: esso però venne gravemente danneggiato nel corso di un cannoneggiamento di guerra nel 1917. In alcuni musei o raccolte italiane esistono altri calchi in gesso scolpiti dal Canova sull’originale forlivese in marmo. Vi sono poi riproduzioni in luoghi lontani, come in Messico o a Cuba. Non a Forlì, città in cui questa intricata vicenda internazionale è iniziata. 

Finché accadde qualcosa di nuovo. In un articolo pubblicato sul “Sole 24 ore” del 27 ottobre 1997, lo studioso Enzo Borsellino presentò il ritrovamento nella Stazione Telefonica Internazionale di San Pietroburgo di una scultura originale di Antonio Canova che si riteneva dispersa o una delle tante copie. L’occhio era caduto su un manufatto ospitato in un angolo, all’interno di un androne rivestito con lastre di marmo in un ufficio pubblico particolarmente affollato a due passi dall’Ermitage. Era una Danzatrice che non dava troppo nell’occhio, un po’ anonima – per così dire – in tutti i sensi, vuoi per l’incuria in cui versava, vuoi perché senza firma. Tuttavia, a ben vedere, appariva delicata e corrispondeva, in più dettagli, a qualcosa di davvero prezioso. Alta un metro e 76, con piedistallo tondo, era esattamente identica alla prova in gesso della misteriosa Danzatrice, molto più della copia romana. 

Il fatto che mancasse la firma non comportava certo uno scandalo: Canova spesso non la apponeva, la sua arte non aveva bisogno di marchi. Difficile, a questo punto, credere che non sia la Danzatrice forlivese, per chissà quanti decenni segregata in un deposito del museo russo. Certo, la ragazza ha anche molte cicatrici: (il capo è riattaccato, e male; sopra le ginocchia corre una crepa profonda) ma gli elementi che depongono a suo favore, come originale, quella di Forlì, lasciano poco margine alla discussione. 
Nel dubbio, è auspicabile che un mecenate forlivese possa fare una proposta di acquisto e donarla a sua volta alla città che la tenne per qualche anno appena ma per cui fu scolpita. Certo, i rapporti attuali con la Russia rendono questa già difficile operazione pressoché impossibile. Ma che costa vagheggiarla? Ci sono cittadini interessati a provare a percorrere questa strada tutta in salita? E le istituzioni, hanno qualcosa in mente? Si potrebbe altresì pensare a una raccolta fondi allargata a chi, anche conferendo una cifra modesta, desideri contribuire al ritorno a Forlì della Danzatrice scomparsa. 

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