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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Dentro le mura di Santa Chiara

L'area spaccata in due da viale Italia fu un importante polo religioso fino a duecento anni fa. Poi l'oblio. Attualmente si sta lavorando per ridare dignità e riscoprire ciò che resta del luogo.

Uno dei tanti angoli di Forlì irrimediabilmente perduti è il vasto quadrante che un tempo ospitava il convento di Santa Chiara. Ora ai più è noto soltanto per ragioni odonomastiche: il piazzale della "rotonda sbilenca" reca il nome di porta Santa Chiara, lasciando intuire che v'insistesse una porta poi caduta in obsolescenza in favore della porta San Pietro. Eppure quell'ampia area (due ettari) recintata da mura possenti celava un importante complesso monastico che due secoli fa fu letteralmente fatto sparire. Negli anni Cinquanta (del Novecento), per ragioni urbanistiche, si pensò di tagliare brutalmente in diagonale il terreno, così nacque viale Italia che inizia con quel troncone di muro alto e tranciato a ridosso del manto stradale. Non si levarono obiezioni: sicché ciò che restava del monastero fu ulteriormente violato. A ben vedere, il muro continua anche dal lato opposto, più basso, e in primavera arrossisce grazie ai papaveri. Sparì così in tempi lontani dapprima la porta, poi chiesa e monastero, poi le mura della città che confinavano idealmente il quadrante. 

L'antica area conventuale rappresentava lo spicchio urbano tra le attuali via Battuti Rossi, via Dandolo, via Forlanini e si spingeva con orti fino alla torre del Pelacano (anch'essa nota ormai solo per l'omonima via), costeggiando la riva destra del canale che doveva essere navigabile, nonché porto, poi non se ne fece nulla. Idroscalo mancato, porta serrata e, secoli dopo, anche l'ormai impalpabile convento di Santa Chiara fu smontato pezzo per pezzo. Eppure la storia per questa "città invisibile" (per dirla con Calvino) vanta almeno ottocento anni. Il primo segno storico risale al 26 dicembre 1256: a quel tempo, le eremite di San Damiano consegnavano beni all'ospedale di Santa Croce. Intevenne poi addirittura papa Alessandro IV a caldeggiare il trasferimento delle religiose in questa sede, nel 1258. 

Il convento visse in una certa agiatezza, seppur nello spirito francescano e claustrale. Si sa che possedeva una parte delle saline di Cervia, più avanti venduta perché scarsamente redditizia. Difficile calarsi nel tempo, ma si conosce che la struttura fu poi restaurata in seguito a un incendio nel 1499. Il luogo, nel 1564, fu al centro di un episodio misterioso: il 13 aprile di quell'anno, infatti, la giovane Paola Albicini, figlia del marchese Tambino, fu condotta di forza nel convento di Santa Chiara. Non se ne conoscono le ragioni se non che pare si trattasse di un ordine di un alto prelato. Nonostante l'opposizione e le lamentele, la donna che pianse tanto da, secondo le fonti, iniziare a vomitare, divenne suora. Nel corso della storia, il monastero ebbe qualche attrito con il Vescovo: è documentato, tra gli altri, il caso di suor Livia che, al contrario di Paola Albicini, si opponeva all'esclaustrazione proposta dalla Curia per dar luogo alle nozze previste, preferendo costei la vita claustrale. Vinse la donna. 

Nel frattempo, la chiesina di Santa Chiara, innestata nel complesso conventuale, era diventata insufficiente tanto che il 18 agosto 1660 il vescovo Giacomo Teodoli ne inaugurò una più grande. Pare che l'antica non fu abbattuta, ma rimase una cappella secondaria nel lato meridionale dell'ampio chiostro. Mentre sul lato occidentale c'erano cucine e refettorio. Nelle mappe tardosecentesche si nota il complesso conventuale inserito in due grandi corti. La chiesa aveva la facciata lungo via Battuti Rossi, a pochi metri da via Dandolo, sul retro di San Girolamo (cioè San Biagio), simile ad essa per l'orientamento. S'intuisce una facciata ampia e slanciata, con pinnacoli di maniera, affiancata dal campanile a sinistra poco più alto della stessa e inserito nel chiostro. La facciata dava su una rientranza, un sagrato, ombreggiato da un ulteriore edificio svanito nel tempo. Per fare un paragone con ciò che c'è ora, doveva essere a fianco e leggermente spostata verso l'interno dell'arco di cemento d'accesso all'angolo con via Dandolo. Arco e portone di ferro (risalenti agli anni Trenta) sono stati recentemente recuperati.

Probabilmente l'interno della chiesa non conservava grandi preziosità, ma l'avverbio è d'obbligo. Già, perché con Napoleone il monastero fu soppresso e la chiesa sconsacrata. Non fu nemmeno presa in considerazione l'idea di renderlo caserma, cosa che avrebbe almeno consentito di mantenere una certa fedeltà nelle strutture. Ci pensò il cittadino Luigi Belli a far piazza pulita: comprò chiesa e convento, e atterrò tutto. Belli fu un campione nelle demolizioni, per tornaconto personale privò i posteri di memorie plurisecolari e di chissà quali ricchezze. 

Come se non bastasse, ciò che rimaneva del luogo fu poi dissacrato in tutti i modi: tra le alte mura superstiti venne impiantata una fabbrica di candele e saponi spesso d'esportazione, poi un mulino a vapore, una filanda di seta e una piccola industria per il riso. Nel 1908 la grande area fu acquistata dalla ditta Monti (si occupava di pollame) e qui vi teneva un frigorifero per la produzione di ghiaccio. Fu anche deposito per bombole di metano, nonché di bibite. 

Il resto del Novecento non aggiunse nulla di buono; l'isolato risultò abbandonato fino ad essere letteralmente tagliato in due da viale Italia. Negli anni Ottanta si pensava di inserirci un supermercato ma tutto si fermò grazie a scavi archeologici che rilevarono la presenza di ciò che resta del chiostro e di altre strutture ingoiate dal tempo. Il ventunesimo secolo sembra voler ripristinare dignità al quadrilatero spaccato in due: nella parte minore, già dal 2010, esiste un fabbricato che ha nascosto le basse mura ma ha riempito un prato incolto dove si potevano vedere galline e animali da cortile. Più recenti sono i lavori (ancora incompiuti) sul lato opposto del viale Italia, la cosiddetta "area grande", dal 2016 qui si sta intervenendo per recuperare l'area: è sorto un piccolo parcheggio e qualche abitazione. In via di allestimento è anche un parco pubblico (si notano, sbirciando, qualche cipresso di fresco impianto e vialetti), ora recintato in via provvisoria. La sorpresa che si spera desti la curiosità dei forlivesi, consiste nel fatto che si tratterà di un parco archeologico. Infatti, l'opera distruttrice di Luigi Belli non fu del tutto completata. Oltre alle mura (nella foto, dall'interno), utili a cingere quella che poi sarà nota come "area Monti", esiste la traccia di un'ala del chiostro duecentesco. La cittadinanza è in attesa di riscoprire questo luogo dalla lunga storia. 

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