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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Dov'è la vittoria?

Compie 85 anni il Monumento ai Caduti. Li dimostra? Compagno abituale di parecchi automobilisti, è molto più che un pregevole ornamento da rotonda.

Con una solennità che non ha pari in Romagna, il Monumento ai Caduti di Forlì spicca per oltre trenta metri in piazzale della Vittoria. Forse ormai, nonostante la mole, pochi buttano un occhio al complesso che compie 85 anni. Un po' perché è al centro di un punto particolarmente trafficato, un po' perchè (specialmente in riferimento alle due are gemelle attorno alla colonna) meriterebbe una pulita e una più semplice fruizione. Il gigante verticale è un avamposto dei piani regolatori anni Venti che volevano un'ulteriore migrazione del centro urbano verso oriente. A poco a poco, attorno al colonnone sarebbe cambiato tutto. Del resto, è sempre avvenuto così: dalla misteriosa Livia in zona Romiti, al più intuibile Forum nei pressi di Schiavonia, poi, seguendo la via Emilia in direzione scirocco, l'inurbazione del Campo dell'Abate (piazza Saffi) fino al Novecento che ha preferito spostare ancora una volta tutto: stazione ferroviaria compresa, servizi, scuole, e la nuova grande piazza paradossalmente fuori le mura (già abbattute una ventina d'anni prima). Se buona parte dei roboanti progetti rimase sulla carta, vero è che la città ha seguito questo spostamento ed è pressoché un susseguirsi di abitazioni fino al fiume Ronco. 

Quando fu innalzata la colonna (no, non è un obelisco), l'allora piazzale Casalini si presentava in modo assai differente. Unico riferimento, il lato dei Giardini Pubblici (con un ingresso molto più decoroso rispetto a quello odierno) che erano già presenti in loco. Attorno al piazzale, dalla medesima forma ellittica, si notavano eleganti villette simili a quelle che si vedono lungo viale Fulcieri. L'ingresso sul corso della Repubblica era scandito dai due "scatoloni" della Barriera Cotogni. Fu in questa ellisse spaziosa che trovò sede la colonna possente con un lavoro che si protrasse tra il 1925 e il 1932. Negli anni successivi si procedette alla "razionalizzazione" del piazzale: via la barriera, le villette e al loro posto gli enormi edifici che tutt'ora sussistono. Costruiti, è vero, non tutti nel medesimo periodo, conferiscono al piazzale della Vittoria una propria omogeneità. Speculare al viale Mussolini poi della Libertà, doveva sorgerne un altro asfaltando i Giardini Pubblici, con tanto di edifici estranianti e, s'immagina, con profusione di bianco travertino. Una parte del progetto mancato s'intuisce: è l'odierno viale Kennedy, largo quanto il viale della Stazione e sua ideale prosecuzione. C'è chi ipotizza che il viale Mussolini, se la storia avesse preso la piega opposta, avrebbe collegato addirittura la stazione ferroviaria con la Rocca delle Caminate. 

Dopo tutto questo fervore, la colonna rimane tra l'intenso traffico, annerita e poco valorizzata se non perché, di tanto in tanto, viene illuminata di verde o di viola, o il 4 novembre, quando svolge la sua funzione istituzionale. Forse destano inquietudine i volti da opliti micenei, simili alla maschera di Agamennone, che vomitano acqua ai lati delle are. Forse non tutti sanno che la colonna è un cilindro cavo di cemento armato di una ventina di metri al cui interno s'inerpica una scala a chiocciola. Essa, appoggiata su una base con preziosa cancellata, è sormontata da una scultura di Morescalchi che dal basso può sembrare una fiamma, in realtà rappresenta tre vittorie alate (di terra, di aria, di mare); il tutto misura complessivamente trentadue metri. Il monumento fu inaugurato nel 1932 alla presenza di Mussolini nella ricorrenza del decimo anniversario della Marcia su Roma. Curiosamente, a differenza degli edifici tipicamente forlivesi, non c'è traccia di mattoni a vista: il bianco (ancorché meritevole di una ripulita) spadroneggia. Il candore è conferito dal rivestimento in pietra di Trani.

La colonna è il risultato di un processo insolitamente lento per quel tempo: dopo un primo concorso dall'esito negativo, indetto nel 1925, il progetto riprese piede nel 1931 su disegno di Cesare Bazzani. Approvato, e fu tirata su in un anno. Come ulteriore decoro: antenne tubolari in acciaio e ghisa con aquilotto imperiale (e forlivese), destinate a far garrire bandiere e ampie aiuole. Con pini, alberi di Roma per eccellenza. Si spera che i recenti lavori non ne abbiano compromesso le radici. Fu scelta una scalinata per renderla una sorta di Altare della Patria forlivese, corroborata da due cippi gemelli con bassorilievi sapientemente scolpiti da Bernardino Boifava. Vi si rappresenta, sulle quattro facce, la vita dell'eroe: l'Attacco, la Difesa, il Sacrificio, il Trionfo. L'ultimo di essi sembra una scena amorevole tra Ettore e Andromaca, mentre nel Sacrificio pare vedere Achille che raccoglie l'esanime Patroclo. Il "modello" che posò per gli eroi fu un giovane Ettore Nadiani, poi noto come pittore, incisore e caricaturista. Insomma, c'è tanta classicità nella vittoria: e lo conferma la colonna. Dorica (l'ordine più "virile"), simile al relitto di un tempio distrutto quasi a significare che il nuovo Forum vagheggiato doveva avere il cuore proprio lì. Ora, visto l'elegante impatto scenografico che garantisce l'isola votiva, ci si aspetta, nel centenario del primo conflitto mondiale (la vittoria cui si riferisce è quella del 1918), una maggiore considerazione della stessa. 

A proposito di Grande guerra, a scanso di omonimie, pare che nel provvedimento comunale relativo alla decadenza delle concessioni in uso di tombe in stato di abbandono per incuria vi sia anche quella di Mario Quartaroli, morto nel 1917. L'impiegato forlivese prese parte al primo conflitto mondiale come tenente di fanteria morendo sul campo e guadagnandosi la medaglia d'argento al valore militare. Meritò la decorazione in quanto: "Quale comandante di una compagnia, visto che una pattuglia nemica, presentatasi dal bosco antistante, poteva minacciare il Colonnello comandante del settore che in quel momento ispezionava la linea, alla testa di pochi uomini spontaneamente si slanciava fuori dalla trincea ed inseguiva l'avversario rimanendo colpito a morte. Mirabile esempio di coraggio e di devozione al superiore". Insomma, lo scrivente non ha elementi per appurare se il Mario Quartaroli morto nel 1917 e sepolto al Monumentale nel "tombino a raso G159" sia il milite forlivese: se così fosse (c'è tempo fino al 6 ottobre per verificarlo, sperando che qualcuno l'abbia già fatto), non meriterebbe l'estumulazione

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