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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Duplice omicidio in via Maroncelli

Una coppia di promessi sposi non più giovanissimi. Un fattore sbruffone e arrogante. Un ragazzino che vede l'orrore. Siamo nel 1914: è il "caso Malmesi".

Il 17 settembre del 1915, la divulgazione di un fatto sconvolse la città. Lasciamo a Filippo Guarini, solerte compilatore del "Diario Forlivese" conservato nella Biblioteca "Saffi" - Sezione Fondi Antichi - a raccontare cosa successe: infatti da ieri non si fa che parlare di un fatto misterioso. Già, ma cosa si bisbiglia nella città attonita? Fino al 3 dicembre 1914, il Sig. Alberto Malmesi di 43 anni, uomo agiato ma timido e misantropo, abitante nella casa paterna di via Maroncelli (...), era scomparso insieme alla servente Dionilla Dal Pozzo, imolese, di 37 anni. Niente di particolarmente strano, se non che la Questura, che l'aveva creduta una fuga amorosa, poco se ne occupò fin a che (...) il giorno 3 marzo un misterioso carro, carico di calcinaccio e coperto di letame, era uscito da Casa Malmesi diretto al fondo Biscaccio e condotto da un paio di bovi con due contadini e un ragazzo di 12 anni; tra il calcinaccio era un grosso involto che esalava odori putriferi.

A Forlì si mormora che il factotum di Malmesi, Erminio Massaingelosito dalla Dal Pozzo (...) li abbia avvelenati entrambi, poi d'accordo coi contadini li abbia seppelliti in un campo del Fondo che è in Parrocchia Villanova. Intanto sono stati arrestati i contadini (...) ed al garzone di 12 anni, tale Pietro Nozzoli, questi pare abbia fatto delle rivelazioni. Squadre di operai eseguiscono scavi nel luogo, allo scopo di rintracciare i cadaveri. Insomma, un fatto che nel presente sarebbe stato sotto i riflettori di più trasmissioni televisive. E in effetti accompagnerà i pensieri dei forlivesi per diverso tempo. Infatti, una settimana dopo prosegue lo stillicidio di notizie, si pensava che: i cadaveri dei due uccisi (...) fossero portati a nascondere in campagna. Sarebbero i campi di Villanova la tomba di Alberto Malmesi e Dionilla Dal Pozzo? Intanto, in casa Malmesi stessa si sarebbero rinvenuti avanzi di ossa bruciate ad alta temperatura, capelli, strati di grasso cartilaginoso e macchie di sangue. Onde la probabile ipotesi che siano stati bruciati nel forno di casa. Dopo tali particolari poco piacevoli, conclude secco: Sono arrestati Erminio Massa, i coloni Quinto, Giulio, Giuseppe Massa e due braccianti. Questi ultimi tre, a novembre saranno rimessi in libertà benché secondo il racconto del ragazzo Nozzoli si siano resi colpevoli di aver portato i cadaveri in campagna. Vero è che rimane in carcere il solo Erminio Massa, ritenuto l'autore del delitto.

Il processo sarà lungo e terrà col fiato in sospeso i forlivesi, anche perché nel fattaccio s'intrecciavano aspetti pruriginosi, degni della più morbosa cronaca nera. Da un lato c'è Alberto Malmesi, uno strano conte dalle abitudini bizzarre (girava solo di notte, si dice), taciturno, ricco, senza amici giacché generalmente preferiva cani e cavalli alle persone. Dall'altro c'è Dionilla Dal Pozzo, l'altra vittima, nubile inserviente di un orfanotrofio. Non si sa come, ma entra nelle simpatie del conte e si parla di fidanzamento, addirittura di nozze. Tuttavia lei pone una condizione: va bene tutto, però sia allontanato Erminio Massa, lo sbruffone, quel fattore che metteva i piedi in testa al suo stesso padrone. La sera del 2 dicembre 1914, nel suo palazzo al numero 54 di via Maroncelli, il conte Malmesi comunicò a Erminio Massa il suo licenziamento, il giorno dopo sarebbe andato con la sua promessa sposa a Bologna a presentarla alla famiglia. Nessuno, però, ebbe più visto la non più giovanissima coppia dal 3 dicembre 1914. Fu lo stesso Massa a denunciare la scomparsa dei due il 14 gennaio 1915, suggerendo che la coppie se ne fosse andata in Africa per una specie di luna di miele. Eppure c'erano più tracce (sangue, resti umani, oggetti rubati o spostati) che rendevano chiaro il quadro della situazione. Ma, almeno per allora, non si agì. Altre cose curiose e che furono oggetto per le indagini successive: la macchina da cucire di Dionilla fu trovata sul greto del fiume avvolta dal paltò del conte innamorato. E Massa (che dal giorno della "sparizione" dormiva nella stanza del padrone) mise in vendita il cavallo prediletto del Malmesi una manciata di giorni dalla sua scomparsa. 

Altra pedina di questa fondamentale è il burdél: Pietro Nozzoli. Affermò di aver visto trasportare dalla latrina di via Maroncelli due grossi fagotti, simili a tappeti arrotolati. Da uno di essi penzolava un braccio scarnificato. Si immagini di attraversare via Gaddi leggendo questa storia, fa ancora un certo effetto. I suoi occhi innocenti videro l'orrore a marzo del 1915, si tenne tutto per sé fino al settembre dello stesso anno. Allora la città piombò nella foschia. Si pensava che quei due fossero andati chissà dove a lasciar ardere la fiamma della passione, invece...  A questo punto non si poteva più far finta che non fosse accaduto nulla. Indagini poliziesche minuziose come mai s'erano viste in città, voci, dicerie, paura: Forlì era avvolta dalla suggestione per questo caso. Tuttavia, il processo al Tribunale di Forlì iniziò soltanto il 14 novembre 1917. Centodieci i testimoni d'accusa per Massa, difeso dall'avvocato Bianchedi, che sbraitava in udienza dando della donnaccia alla povera vittima. Durante il dibattimento emerse la chiara colpevolezza dell'indagato ma... senza i cadaveri, senza l'arma del delitto... C'erano solo sospetti e congetture. Un bel busillis per il giudice. C'era chi giurava di aver sentito Massa dare dell'imbazèl al suo padrone fino all'intervento di Dionilla, donna di carattere e determinata a sbarazzarsi del fattore arrogante. C'era chi era così coinvolto che sveniva durante gli interrogatori. Tutti elementi degni di un noir. Gli innamorati maturi erano finiti - ahiloro -  cadaveri, nei fagotti. Il processo, seguito da una folla enorme, si concluse il 15 dicembre 1917: Erminio Massa fu condannato a 24 anni per duplice omicidio e occultamento di cadaveri. Dopo qualche settimana, nella notte del 2 gennaio 1918, finirà i suoi giorni in galera, gridando sempre la sua innocenza (?) senza dimenticarsi di maledire chi lo aveva voluto rovinare. Vista la morte repentina, girò voce che il reo si fosse suicidato fracassandosi il cranio contro le sbarre della cella; i medici parlarono di paralisi cerebrale. Ma la vicenda suggestionò tanto che non poté dirsi finita così, c'è chi sostiene che (leggenda metropolitana?) al momento della riesumazione della salma dell'assassino, dentro la bara non ci fosse il corpo, ma un cumulo di pietre. Come nell'attesa di una seconda puntata del giallo. 

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