Estate da melomani a Forlì
Il giugno del 1776 per Forlì significa grande musica. Si alza il sipario del Teatro: clamorosa istituzione culturale da recuperare.
Attraversando piazza della Misura rimane difficile immaginare che buona parte di essa fosse occupata da un teatro. Eppure non si tratta di un teatro qualunque, ma di quello che per lungo tempo fu il più vivace della Romagna. Per l’inaugurazione, il 17 giugno 1776, fu chiamato un compositore tedesco, sassone per la precisione: Joseph (o Giuseppe) Schuster. La prima mondiale del “Demofoonte” si svolse proprio a Forlì, che si lasciò allora travolgere da un’ondata preromantica proveniente da quel di Dresda. Il teatro, già presente nel 1664, fu chiuso nel 1771 e fu riaperto ristrutturato e moderno nel 1776. Ampliato nel 1809 e nel 1834, sarà dedicato al tenore Giuseppe Siboni. L’ultima opera rappresentata fu “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini, rappresentata il 26 marzo 1944, e poi un tremuoto un temporale, come si ascolta nell’aria della calunnia, e si sbriciolò sotto il peso della torre civica. I tentativi di sovvenzionare una ricostruzione com'era dov'era (come sarebbe avvenuto per la torre civica) non ebbero esito. Così Forlì resta senza lo storico edificio con stucchi e palchetti, edificio indispensabile per raccontare la storia culturale (non solo musicale), politica e sociale della città. Pare che da diversi anni tale istanza sia lettera morta; eppure la città merita il suo teatro all'italiana. A Palazzo Gaddi c'è un museo dove si possono ripercorrere i 170 anni di successi e la passione viscerale dei forlivesi per il melodramma, forlivesi che oggi per una stagione operistica sono costretti a migrare altrove.
Giuseppe Schuster, tedesco di Dresda, aveva avuto una formazione musicale italiana, in quel di Venezia alla scuola di contrappunto di Girolamo Pera.Tra il 1774 e il 1777 fu di nuovo in Italia, da padre Martini a Bologna, venerato maestro di grandi musicisti. In questo periodo prese dimestichezza con l’opera italiana, iniziò a girare lo Stivale proponendo titoli e spartiti. Così giunse a Forlì, con un’opera seria, un titolo sicuro: “Demofoonte”, scritto nel 1731 dal divo Pietro Metastasio, poeta cesareo. Lo sponsor dell’iniziativa, il marchese Francesco Theodoli, spese tutte le sue fortune per la rappresentazione, rinomata per le scenografie maestose e per l’ingaggio dei cantanti. Sebbene Forlì fosse una città provinciale, “Demofoonte” fu cantata da alcune delle migliori ugole d’opera, tra cui il celeberrimo Gaspare Pacchiarotti, già voce del coro della cattedrale forlivese. Era stato invitato pure un altro tenore di grido: Giovanni Ansani. Tra le interpreti spiccava Giovanna Carmignani, patetica, tribolante e pertanto idonea al ruolo di Dircea. Il pubblico la etichettò attrice celestiale
L'investimento del generoso marchese, infatti, invitò per la prima a Forlì il Duca di Parma e una gran calca di persone da ogni dove. Curioso il fatto di iniziare una stagione operistica a giugno (probabilmente non c'era l'afa di oggi), vero è che l'estate del 1776 portò a Forlì una congerie di appassionati di musica. D'estate, infatti, i professionisti del melodramma in genere hanno meno impegni. E così si trasferì la crema all'ombra della torre civica. Dove si potevano ascoltare i migliori cantanti del tempo? A Forlì. E dove l'orchestra più virtuosa? Sempre a Forlì. Non riusciva, la città, ad accogliere tutti i melomani e non si poté far altro di far piantare le tende attorno alle mura. L'evento, chiamato popolarmente "Operone Theodoli", non avrebbe registrato episodi d'entità simile nel futuro.
La trama dell’opera rappresentata a Forlì è complicata: in Tracia era consuetudine sacrificare una vergine all’anno. Demofoonte, il re, è stanco di questa assurda carneficina e chiede all’oracolo di Apollo per quanto tempo ancora dovrà andare avanti così. “Finché l’innocente usurpatore siederà sul trono” è la risposta. Entrano in scena personaggi dai nomi difficili, com'era d'uso, ricalcati su una grecità incipriata e con celeberrime voci bianche di evirati cantori.