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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì accoglie il Re d’Inghilterra

Nel 1717 Giorgio I di Gran Bretagna arriva in città e s’inginocchia davanti alla Madonna del Fuoco

Un ospite particolare transitò da Forlì nel lontano aprile del 1717. Si trattava del Re Giorgio I di Gran Bretagna, primo anche della dinastia tutt’ora regnante oltre la Manica. Dopo la morte della regina Anna (Stuart), il trono inglese pervenne, infatti, alla casa tedesca dei principi elettori di Hannover, gli stessi che ora prendono il nome di Windsor. Era un sovrano poco amato perfino dai familiari, furono lunghi e dolorosi i dissidi col figlio (che poi sarebbe salito sul trono come Giorgio II) e, poco dopo aver cacciato il principe dalla corte d’Inghilterra, si mosse verso l’Italia. La cronaca della tappa forlivese è registrata in un diario tra le carte del Fondo Brandolini-dall’Aste conservato all’Archivio di Stato di Forlì. Si viene dunque a sapere che Forlì, per un paio di giorni, fu una piccola Londra, con palazzo reale in piazza Ordelaffi, nell’attuale sede della Prefettura. Ecco dunque che martedì 20 aprile “su le 12 hore”, arrivò il Re “preceduto da quattro, o sei a cavallo, ed egli solo in un suimmero trainato da quattro cavalli, due propri e due da vettura”. Con lui giungevano pure Carlo Albani (principe di Soriano nel Cimino) il marchese Filippo Bufalini, e James Butler (duca d’Ormond). Ognuno di loro stava su uno “suimmero” (o “svimero”), cioè un cocchio molto veloce, a due o a quattro ruote. Un tripudio di aristocrazia ecclesiastica, e l’estensore di casa dall’Aste non omette dal citare la “nobile conversazione nel Palazzo Piazza con concorso di Dame e Cavaglieri”. Cosa che esulava dal programma di accoglienza della “Maestà del Re Brittanico” giacché si sarebbe fatta comunque, in quanto “già destinata per divertimento del principe don Carlo Albani”. Allo scopo era stato “preventivamente adobbato nobilmente con damaschi tutto il Palazzo publico”. 

Tornando al corteo d’ingresso, dopo i personaggi citati seguivano altri quattro calessi e una carrozza tirata da una muta di grossi cavalli “carica di Signori Inglesi, tra quali un Cugino e Nipote del Duca d’Ormond, ed un vecchio zio della Maestà sua”. Inoltre “haveva altra gente a cavallo, tra quali alcuni servitori con la livrea del re, e questa era di scarlatto con trina novella” con inserti “giallo in oro”. Tuttavia il Re d’Inghilterra si mostrava restio a tanto sfarzo “non havendo questi mostrato gradimento ne meno alle antecedenti città per simili onori”, pertanto fece capire che certe dimostrazioni non destavano in lui “né publica, né particolare dimostrazione di stima”. Il cavalier Paolucci fece gli onori di casa, incontrando Sua Maestà “e tutto l’equipaggio” nel bel palazzo di piazza Ordelaffi. Ma il Re “per quella sera, nel suo appartamento non volle sentire alcuno, ne meno il Magistrato, e suoi deputati che havevano destinato d’inchinarlo”. Insomma, parve un sovrano piuttosto stanco e desideroso soltanto di stendersi nel letto senza troppo clamore. L’occhio fine del compilatore descrive gli abiti regali: “Era vestito il re positivamente, con un habito di panno chiaro, con azzola e bottone di filo d’oro, ed un sopr’habito ben ordinario di color di caffè, con bottoni pure d’oro filato, una perucca tra castagna e bionda, ed il capello bordato d’oro, con una croce in petto dell’ordine di San Giorgio”. E ancora, ecco come apparve agli occhi dei titolati forlivesi: “Egli è più tosto grande, che piccolo, gracile, e assai civile e di faccia longa e magra, che più tosto tira al pallido. Al suo stato era assai malinconico; appunto qual richiedeva la malignità del suo fato; con tutto ciò, col ricevere ciascuno, mostravasi affabile, e cortese oltre modo con tutti”. Forse la “malignità del suo fato” si riferisce ai diverbi laceranti col figlio, oppure chi è più esperto corregga e sveli, se vuole, l’arcano. 

Un fatto però meno convenzionale e più speciale, legato alla città di Forlì, accadrà il giorno successivo. “La mattina seguente, poi, con distinzione delle altre Città delle quali non fu veduto girar per quelle, volle andare ad ascoltare la Santa messa in Duomo, e vedere la famosa Cuppola”. La “Cuppola” è quella della Madonna del Fuoco che si vede tutt’ora, opera secondo l’arte di Carlo Cignani. Desta una certa curiosità pure il fatto che, in fin dei conti, il sovrano era protestante, e in quegli anni il trono inglese era conteso da un cattolico: Giacomo Stuart che nei libri inglesi di storia è chiamato “Old Pretender”. Sfugge, dunque, all’autore di questa rubrica il contorno di codesta storia: che ci andava a fare a Roma (si presume che fosse diretto colà, il Re)? E perché tanta calorosa accoglienza da parte di chi sicuramente appoggiava il “vecchio pretendente”? In ogni caso, resta un momento clamoroso quando Sua Maestà sentirà il bisogno di inginocchiarsi davanti alla Madonna del Fuoco. E pare che lo faccia in tutta sincerità. Ecco come è descritto l’episodio: “Partivasi dal suo Palazzo col seguito di sole quattro carozze, perché di più non ne volle, accompagnato da altri Signori del suo seguito, arrivò in Duomo, dove essendo concorsa tutta la Città per vederlo, fu ricevuto alla porta dal Capitolo, dal qual publico incontro ne mostrò qualche pena, e si portò a sentire la messa alla Capella del S. Sacramento, dove pure eravi l’Immagine di Maria del Fuoco, né volle altrimenti inginocchiatoio, con strato e cuscino com’eragli stato preparato, ma si mise, come un privato, su la punta di un bancone che serve per i magistrati, e stette a quella messa, come un angelo in carne, instillando nel core di chi lo vedeva divozione in un tempo stesso, e compassione alle sue disavventure”. Sembra quasi una conversione, e fa sorridere quella “pena” che mostrò davanti al Capitolo della cattedrale, come se non volesse ancora perdere tempo in convenevoli. 

Tuttavia il soggiorno forlivese presto finì; l’estensore dello scritto lamenta che la città lo avrebbe tenuto con sé volentieri ancora, ma si fa cenno a un problema “politico” poiché ciò “non piaceva alla Corte di Roma”. Si sapeva che c’era quel “problema” ma all’improvviso la corte inglese sbaracca da Forlì, nonostante l’arrivo pure del cardinal legato a rendere gli omaggi di circostanza. Il giorno dopo era caro agli inglesi, essendo la ricorrenza di San Giorgio e nevicava, cosa che “cagionò per varij giorni un freddo grandissimo alla pianura”. L’ultimo sguardo che Re Giorgio ebbe lasciando Forlì comprese “tutte le corone dei monti coperte di neve”. 

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