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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì alla conquista del West

Il 9 aprile 1906 Buffalo Bill è a Forlì per esibirsi in un grande spettacolo. C'è poi chi dice che il sessantenne eroe nazionale americano fosse romagnolo.

Un brivido d'emozione percorse la schiena di molti forlivesi alla fine di marzo del 1906. La città era attraversata da carrozze che lanciavano avvisi, manifesti e altro materiale cartaceo: "Sto arrivando", si leggeva. Chi era il soggetto della frase? Il colonnello William Cody, passato alla storia come Buffalo Bill. Eroe nazionale americano con l'aura del mito, inserito nell'epica della frontiera, anche dopo la morte fu al centro di storie popolari in tutto il mondo, le sue avventure lo resero quasi un personaggio dei fumetti. E così Forlì lo vide, invecchiato, ormai fenomeno da baraccone con un suo circo equestre. Aveva compiuto sessant'anni e da oltre venti girava il mondo con lo spettacolo Wild West Show, una cosa sontuosa che aveva toccato le principali città americane e in Inghilterra, in Germania, in Francia, in Spagna. Forlì fu una delle ultime date: il colonnello sarebbe morto una decina d'anni dopo. L'attesa spasmodica si sublimò in due ore di spettacolo. Per due lire, il colonnello vendette l'America ai 12 mila presenti nell'allora piazza d'Armi di Forlì. 

Le storie dicono che William Frederick Cody si guadagnò il soprannome di Buffalo Bill perché in un solo anno uccise quattromila bisonti. In quel periodo della vita il suo lavoro infatti era quello di procurare cibo per gli operai delle compagnie ferroviarie. Aveva preso parte alla Guerra di secessione americana come unionista e sposò un'italoamericana da cui ebbe quattro figli. Decorato con la Medaglia d'Onore del Congresso per aver dimostrato coraggio d'azione, si distinse nell'epopea della frontiera. Raggiunti i quarant'anni iniziò a girare il mondo con il suo Buffalo Bill Wild West Show ove, in forma circense, si rappresentavano le più famose battaglie con gli indiani, partecipavano cowboy e pellerossa, Calamity Jane, Alce Nero e Toro Seduto. Se il genere ebbe particolare fama in Italia, lo si deve anche a questi spettacoli nei primi anni del Novecento. 

Il carrozzone di 800 uomini e 500 cavalli gonfiò di entusiasmo la città: non tanto per lo spettacolo, ancora di là da venire, ma per l'invasione di personaggi esotici nella quieta Forlì. Si vedevano indiani per le vie del centro, figure d'oltreoceano nei negozi a fare compere. L'America aveva conquistato il capoluogo romagnolo che mai aveva visto prima dal vivo certe novità. Il 1° aprile un clamoroso "pesce" portò duecento forlivesi in stazione a vedere i pellerossa a fare pubblicità: ovviamente era una burla. La compagnia sarebbe giunta qualche giorno dopo in quattro treni lunghi 260 metri ognuno, carichi di uomini, cavalli, attrezzi. Viene montata in velocità la scenografia, Sono allestite le tribune e tutto è pronto per il saluto alla città. I forlivesi restano colpiti dalla puntualità e dall'efficienza del montaggio e dello smontaggio: alle 14.30 del 9 aprile inizia lo spettacolo e alle 16.30 si smonta. A moltissimi è piaciuto, altri borbottano (come comprensibile). Intorno si vive nello stupore della Forlì capitale del West: cowboy e pellerossa a passeggio per corso Vittorio Emanuele, sigarette vendute a profusione, quattro quintali di patate comprate. I nativi americani, in particolare, accompagnati da un interprete, vollero acquistare diversi vestiti: i forlivesi rimasero stupiti per quegli strani tipi, per i loro tatuaggi. Alle 20 svanisce l'atmosfera: è ripartito anche l'ultimo dei moicani. La gente, allora, si radunava nei vicini Giardini Pubblici per commentare esterrefatta quanto visto nella folle giornata.

Buffalo Bill appariva con il classico cappello a falda larga sotto il quale scendeva fino alle spalle una chioma bianca, si presentò dopo il saluto della compagnia annunciato dal suono di una marcia e preceduto da un battistrada con la bandiera americana. Ogni volta che appariva scrosciavano applausi che gratificavano i suoi baffi da moschettiere. Quindi passava in rivista l'esercito con meravigliosi cavalli e seguiva una messinscena che rappresentava un convoglio attraversante la pianura americana attaccato nottetempo da un folto gruppo di pellerossa trionfalmente respinto da cowboy. Lo spettacolo era curatissimo: salti, astuzie, schermaglie. Gli spettatori, a bocca aperta, partecipavano con grida e incitamenti. Quindi appariva ancora Buffalo Bill sul suo cavallo bianco per dare dimostrazione di quanto sapesse centrare con la carabina un minuscolo disco di gesso lanciato in aria da un indiano. Colpiva anche i cinque cuori di una carta da gioco tenuta in mano da una piacente cowgirl. E poi un suo proiettile strappava di bocca la sigaretta a un compagno e via di lanci di coltelli e impennate di cavalli. Non mancavano, giusto per dare un tocco ancor più mondiale, artisti arabi e giapponesi cimentantisi con tecnica perfetta in esercizi ginnici. In seguito corse su cavalli senza sella da parte di giovani nativi americani, clamorosi esercizi di tiro, evoluzioni di cosacchi ed esibizioni di agilità e precisione di zuavi. Verso la fine, un episodio eroicomico: ladri di cavalli si esibivano in giochi al galoppo. A chiudere il tutto c'era un corteo sfarzesco guidato da Buffalo Bill coi suoi 75 pellerossa dai capelli neri e lunghi ornati di penne, con costumi variopinti e scudi rudimentali. Piacque assai il fragoroso carrozzone, a parte la musica indiana che a molti forlivesi stancò non poco. Gente da tutta la Romagna accorse a Forlì, perfino il tram per Ravenna e Meldola fece quattro corse suppletive. Biciclette, automobili, una calca di pedoni e gente di corsa sollevarono un gran polverone per le strade del Cittadone

Si scopre poi un curioso filone romagnolo sulle origini di Buffalo Bill. C'è chi sostiene che il grande cacciatore si chiamasse Domenico Tambini e fosse originario di Santa Lucia delle Spianate, località tra Faenza e Villagrappa. Negli anni '30 c'erano presunti parenti romagnoli che ne rivendicavano la cospicua eredità. Tale Tambini, liberale, dopo aver preso parte ai moti di Venezia del 1849 avrebbe lasciato la Romagna pontificia per approdare a Buffalo, negli Stati Uniti, città che gli diede il nome, e sarebbe stato così bravo a nascondere il suo accento e la sua identità che fu ritenuto facilmente americano. Quando passò per Forlì, qualcuno riconobbe tal Tambini oppure l'impresario teatrale Tombini di Forlì (era la stessa persona?) nelle sembianze dell'eroe americano, ma la vicenda ingarbugliata non torna. Vero è che fu sfruttata da Mussolini. Negli anni Venti e Trenta, l'editore Nerbini di Firenze aveva pubblicato diversi volumi sulle avventure di Buffalo Bill. Nel 1942 l'Italia era in guerra contro gli Stati Uniti e il Duce fu ben lieto di dar credito a questa storia: il protagonista di mille romanzi popolari era in realtà romagnolo come lui! Pare che l'editore abbia usato questa panzana come espediente per poter pubblicare, in tempo di guerra, le gesta di un campione americano. Mussolini credette, o volle credergli: del resto forse in quel 9 aprile 1906 anche lui era in piazza d'Armi, a Forlì, ad assistere al circo equestre. Difficile non pensare che la storia del Buffalo Bill romagnolo sia una bufala.

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