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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Forlì: c'è posta per te!

La spedizione delle lettere nella Romagna pontificia: dai postini a piedi ai francobolli

Sempre più frequentemente si vedono corrieri distribuire oggetti in giro e gli acquisti per corrispondenza, soprattutto nel grande isolamento, diventano quasi una frenetica abitudine. Qualcuno si è mai chiesto quando sono nate le poste come le intendiamo noi, nel senso “moderno”? Ebbene, a Forlì si può definire una data dopo la quale nulla sarebbe stato più come prima anche se poi, si vedrà, vi saranno evoluzioni e involuzioni. Il sesto “Papa Re” della Romagna, Giulio III, dopo numerosi tentativi dei suoi predecessori, mise mano una volta per tutte al servizio postale per il suo vasto Stato che univa l'Emilia al Lazio. 

Il 25 febbraio 1551, infatti, Giulio III nominò Matteo Palmerino quale Maestro Generale delle Poste Pontificie. Il suo compito era consolidare il monopolio delle spedizioni all'interno del vasto Stato che da Bologna giungeva fino a Roma. Il motivo di tanto zelo era l'imminente avvio del Concilio di Trento e, soprattutto, fu ritenuto opportuno rendere uniforme il servizio delle comunicazioni fino a quel momento gestito da diversi vettori anche stranieri. Nel Quattrocento ancora medievale, da queste parti i postini portavano lettere e dispacci quasi esclusivamente a piedi da città a città.

Solo nel secolo successivo si sarebbero affermate le “stazioni di posta” e l'impiego di staffette a cavallo o vetture di corrieri che passavano ogni settimana o due. Con le novità pensate da Palmerino venivano recapitate settimanalmente le lettere da Roma a Bologna transitando per l'antica Via Flaminia (passo del Furlo) e depositandole nelle varie stazioni di posta della Romagna: Cattolica, Rimini, Cesena, Forlì, Faenza, Imola. Ogni lettera impiegava appena quattro giorni d'estate e cinque in inverno per il prezzo di un carlino per ogni oncia di peso. In pochi decenni il servizio fu potenziato anche grazie all'estensione dei domini pontifici fino a Ferrara, includendo così Ravenna che era rimasta tagliata fuori dalla traiettoria principale fino ad allora in uso. 

Così, sotto il diretto controllo di Roma, da queste parti il territorio venne affidato alle concessioni dei Generali delle Poste che corrispondevano un canone fisso alla Curia Romana, in questo modo essi stessi provvidero a migliorare il più possibile il servizio, a maggior profitto delle loro rendite. Spesso subappaltavano i territori più distanti dal capoluogo a Tenenti delle Poste che a loro volta esercitavano i loro diritti come valvassori. S'affermò quindi una sorta di casta ereditaria di professionisti dediti all'organizzazione postale della Flaminia, o Romagna che dir si voglia. In questo modo pare aver avuto rilevante importanza Forlì, città determinante per lo Stato Pontificio in quanto collocata in una strozzatura tra Firenze fino a Terra del Sole e l'Adriatico. Le lettere venivano sigillate con sigilli di ceralacca o bolli a secco, anche se saltuariamente.

Solo alla fine del Settecento divenne prassi apporre timbrature a inchiostro recanti le sigle dei Generali delle Poste. Inoltre, in seguito a un editto del 1728, per la prima volta vengono differenziate le tariffe in base alle distanze con un sistema di bolli progressivi da pagare a ricevimento avvenuto. Qualche decennio dopo, con Clemente XIV s'iniziò stabilmente a marcare le lettere con il nome della città con timbri in arrivo. I timbri, peraltro, avevano più che altro un ruolo fiscale, costituivano la prova che la missiva era stata consegnata dalla posta di Stato, quindi era lecito riscuoterne la tassa di trasporto. Nel 1795 venne approvato il servizio di una diligenza postale che rafforzava ancor più il monopolio di Roma, mandando di fatto in soffitta Generali e Tenenti delle Poste. La diligenza collegava settimanalmente Roma con Bologna sostando a Foligno, Macerata, Pesaro, Rimini, Forlì, Imola e da Bologna ripartiva ogni lunedì prima dell'alba per fare rientro a Roma di sabato. 

Poi venne Napoleone e, con calma, mise mani agli affari postali creando, da bravo burocrate francese, i primi “uffici”: in Romagna ce n'erano appena nove, uno di essi a Forlì come capoluogo del Dipartimento del Rubicone. Nel 1802 questi uffici avevano un proprio timbro postale, usando un sistema che più o meno è proseguito fino ai giorni nostri. Aumentando la burocrazia, aumentarono i costi delle spedizioni, nacquero così le tariffe “per l'interno”, “per l'estero” e poi “per  il peso”, sempre secondo diverse distanze. Rispetto all'antico regime, i prezzi erano più alti del 50% ma vennero raggiunte anche le località appenniniche fino ad allora totalmente escluse. Il 15 giugno 1813 il Prefetto di Forlì, non a caso, comunicava che ormai la posta raggiungeva ogni minima località romagnola da tutto il Regno Italico ben tre volte alla settimana. In questi anni furono poi (con altri aumenti di prezzo) calcolate le distanze con una nuova unità di misura: il chilometro.

La storia cambia ancora, e il 6 luglio 1816 è la data ufficiale della restaurazione pontificia a Forlì. Ciò comportò un ritorno alle modalità postali settecentesche, con conseguente dimezzamento delle tariffe ma esclusione o riduzione di tratte come quella per Ravenna o l'Appennino. Per i più si trattò di un'involuzione e di un rallentamento “tecnologico”. Qualche anno dopo, con il cosiddetto Sistema Massimo, vennero diffusi nuovi “Offici Postali”, seguendo un complesso sistema gerarchico che distingueva le Direzioni in più Classi. Forlì, in quanto capoluogo di legazione sulla Via Emilia, ebbe un bollo proprio, con scritto il nome della città in ovale, o in cartiglio, sottolineato dalla scritta “Affrancata” o, quando era il caso, “Assicurata”.

Negli ultimi anni dello Stato Pontificio in Romagna avvenne la grande rivoluzione: l'età dei francobolli. A Forlì prese piede nel 1852 quando, in seguito a un editto del cardinale Antonelli, fu sancito che “chiunque invia lettere e pieghi per l'interno dello Stato può pagare anticipatamente la tassa postale, apponendovi uno o più segnali, detti bolli franchi”. Così, per la prima volta, gli antenati ebbero a che fare con etichette contrassegnate da triregno e chiavi con la scritta “franco bollo postale” e l'indicazione della valuta: mezzo bajocco, bajocco, fino a sette bajocchi in otto colori e sagome diverse. Tutto quello che segue, per la storia postale, è “storia recente” anche se modi e riti sono cambiati e cambiano continuamente, si spera sempre in meglio. 

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