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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì, culla di pataccate

Un pirata dell’informazione nel Settecento pubblicava notizie false. Chi era Giovanni Pellegrino Dandi?

Un medico testimoniò di aver avuto, tra i pazienti, un uomo nelle cui vene scorreva latte. Un cruccio tremendo, che portò al malcapitato di tagliarsi la mano e… il liquido si condensò in ricotta. Questa storia era destinata a colpire l’immaginario curioso dell’erudito lettore del primo Settecento. Non si sa quanti abboccarono ma si conosce l’autore di tale “notizia”: Giovanni Pellegrino Dandi da Forlì. Si tratta di una figura tenace e curiosa, animata da proverbiale “arte dell’arrangiarsi”, tragicamente contemporanea, di quel contemporaneo che oggi si vezzeggia con termini inglesi per non parlare di “bufale” o, meglio, di “pataccate”. Amante di titoli e arzigogoli, Dandi venne accolto da varie accademie prestigiose, tra cui quella (nomen omen?) degli Insensati di Siena. Fu un pioniere del giornalismo, in tempi in cui i colti leggevano fogli di informazioni verosimili provenienti da varie parti del mondo, volentieri speziate e accentuate come facevano gli imprecisi e favolistici cronisti coevi. Inutile dire che Dandi, figlio di un avviato tipografo, amava attirare l’attenzione e i danari dei lettori, esibendosi in peripezie che oggi risultano simpatiche per quanto appaiano assurde e in buona parte goffe. 

Il forlivese non era solo editore e pubblicista ma aveva intrapreso pure la carriera ecclesiastica con titoli puramente onorifici. Era teologo, protonotario apostolico, ma si pensa che non abbia investito molto in questa strada. Almeno non quanto quella della carta, volendo a tutti i costi imitare nelle forme la moda del tempo dei giornali letterari. Pur essendo, tutto sommato, benestante, doveva pur tirare a campare: quindi solleticò il palato di viziosi rampolli amanti dell’esotico e dello stravagante regalando storie improbabili, testimoniate da inviati inesistenti e collocate in uno spazio impalpabile. Tutta la sua vita sarà dedicata, dunque, al giornalismo letterario della fine del Sei e dell’inizio del Settecento. Nonostante indubbie competenze, oggi rimane di lui più che altro il pallido ricordo di “maestro di tutte le bufale”. Nel 1689, a Forlì metterà in piedi la “Stamperia dei Fasti Eruditi”, calcando la mano sui nomi cari alle sensibilità arcadiche, all’estetica barocca dei titoli accademici, alla ricerca di bizzarrie e curiosità dal mondo ancorché campate per aria. Dalla Stamperia uscirà il “Gran giornale de’ letterati”: un capolavoro di copia- incolla. In esso, abbondavano articoli e storie rubati da altri periodici del tempo, ovviamente nessuna citazione per la fonte, anzi, Pellegrino piuttosto riportava note da libri mai esistiti e riscriveva tutto, inventandosi nomi di articolisti fittizi. Con lui, il fratello Felice fu complice di quest’iniziativa curiosa, suggerendo a sua volta autori dal nome straniero, inesistenti. 
Nonostante l’assurdità di tutto ciò, in molti rimanevano a bocca aperta, forse più desiderosi di voler credere che persuasi della veracità degli eventi. 

Nel 1705 fu scoperta la beffa ma la competenza da giornalista pirata aggirò l’infamia: ed ecco sorgere i “Fausti eruditi della biblioteca volante”, altra rivista simile alla precedente, cui aggiunse “Effemeridi del mondo novellistico”, una vera e propria gazzetta. Poi venne la “Sceltissima raccolta delle poesie più celebri de’ primi letterati d’Italia”, un florilegio letterario. Nel 1710 fondò l’Accademia dell’Onor Letterario, anch’essa – di fatto – inesistente. Fu sbugiardato una seconda volta ma cadde ancora in piedi: nel 1712 puntò tutto su… gli oroscopi! Così compilava e pubblicava le “Effemeridi astrologiche” ben sapendo che le previsioni delle stelle, ieri come oggi, in parecchi riscuotono un certo fascino. 
Il resto della sua vita, trascorsa per lo più a Forlì ma anche a Parma, sarà in ombra; si sa che dopo il 1726 era ancora alle prese con le sue stampe bizzarre. 

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