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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì, cuore e cervello di Romagna

Il Cittadone in un vivace ritratto di ottant'anni fa, quando viveva una sua superiorità senza complessi

Non so chi abbia ricordato, in tutta questa recente ondata dantesca, che il Sommo Poeta aveva trovato in Forlì il meditullium della Romagna, il suo baricentro non solo geografico. Nell'Ottocento il già Foro di Livio diventerà il turbolento e industrioso Cittadone, rimanendo un perno fondamentale per la regione. Nella drammatica estate del 1943, ancora Forlì viene celebrata come “cuore e cervello della Romagna”. Ne scrive Vittore Querèl su “Illustrazione del Popolo” rivista uscita come supplemento del quotidiano torinese “Gazzetta del Popolo” del 19 luglio 1943. Alla Città (o Cittadone) è dedicato il paginone centrale del periodico con nove fotografie che ne catturano gli angoli più caratteristici. 

La lunga recensione così comincia: “I romagnoli, specialmente quelli della provincia forlivese, chiamano la città capoluogo con lo scherzoso ed insieme affettuoso appellativo di Cittadone, come farebbero con un loro ragazzo cresciuto in fretta, bello e robusto, pieno di forze e di promesse. I forlivesi, pare, non hanno molto piacere di questo epiteto che la gente ha affibbiato alla loro città. E, secondo me, hanno torto, perché niente è più amichevole e fiducioso di questo scherzoso nome”. Sarebbe adeguato, per rimarcare questa curiosa peculiarità, riscoprire questa “cittadonanza”, cioè questo termine – Cittadone - che ha accompagnato la Forlì di un tempo dalle istanze dell'antica e radicata agricoltura a esperimenti spericolati di nuove industrie dai camini fumanti. Per esempio: perché non scriverlo anche (certamente, con caratteri senza pretese) sui segnali stradali che indicano l'ingresso nel centro urbano? “Che questo soprannome sia una prova d'affetto e nulla abbia di irriverente si può constatare nell'affluire continuo, non solo materiale ma anche morale, dei romagnoli verso Forlì – prosegue l'articolo – e Forlì oggi è realmente, da tutti i punti di vista, il centro che dà il tono all'intera Romagna: basta sostare un certo tempo nella vecchia e nuova città della Via Aemilia per ricavare dalla prodigiosa operosità dei suoi abitanti la netta sensazione del come Forlì sia oggi il cuore e il cervello della regione”. 

Evidenziandone il carattere di “compito di guida” per la Romagna, Querèl ne descrive il giorno più propriamente adatto per “giudicare dell'importanza di Forlì”: “Ogni lunedì da tutta la regione piovono al centro i venditori e compratori: vengono i mercanti di buoi, avvolti nelle tradizionali cappe, i sensali annodano al collo i fazzolettoni di seta policroma, i contadini camminano tenendo nella mano la frusta che servirà nel viaggio di ritorno, per spingere avanti il comprato vitellino. Sagra della ruralità che si ripete a ogni nuova settimana, questo mercato forlivese è una chiara dimostrazione delle oneste virtù tuttora vive tra la gente romagnola: in questo mercato non servono carte bollate né firme di testimoni per i contratti: basta, per avallare ogni compera, una vigorosa stretta di mano”. Ora come ora, sono particolari di una città sconosciuta: sempre meno ricordano o testimoniano un clima simile. 

Dopo qualche breve cenno storico su Forlì dal “centro della tribù Stellatina” già “Forum Livii” che “ebbe alterne vicende nella luminosa luce di Roma” fino ad arrivare a “Caterina Sforza, non mai sufficientemente celebrata per le virtù guerriere e per l'alto spirito di cui diede prova nell'assedio posto alla città dai soldati di Cesare Borgia”, si notano riflessioni ancor oggi condivisibili. “Chi va oggi a Forlì – è scritto - non può mancare di seguire sulle mura e per le strade i segni lasciati dal susseguirsi di eventi e di uomini così decisamente singolari; è vero che in questo centro di Romagna è un po' difficile avere sott'occhio, in un solo assieme, ricordi e bellezze archeologiche di un effetto e un'importanza da colpirvi immediatamente”. In effetti: “Forlì, nell'irrompere solenne delle opere moderne, delle costruzioni che hanno dato grandezza e nuovo aspetto al vecchio centro, ha quasi nascosto le venerande rughe del passato: ma, guardando bene, tra le vie, nelle piazze, nei cortili, nei monumenti, si può anche capire come questo mettere in disparte le memorie della più antica storia sia una specie di riguardoso pudore, quasi un senso religioso che spinge i moderni a porre sul basamento di una silenziosa ammirazione le tracce che hanno lasciato i secoli”. E prosegue: “Forlì, densa di lavori nuovi, di documenti di un progresso che non è soltanto materiale, non vuole soffocare sotto la mole degli edifizi recenti, i monumenti della sua storia: ecco perché non li butta davanti agli occhi del visitatore, ma obbliga costui a un vero pellegrinaggio d'amore che lo induca a cercare, tra le membra bellissime che formano il moderno corpo della città, il vecchio e solido suo cuore”. 

Dunque, per capire Forlì bisogna allenare l'occhio e per questo ci vuole tempo. Chi non l'avesse “può trovare un concentrato di documenti e di bellezze in quella costruzione settecentesca del Merenda che è stata oggi destinata a Pinacoteca e a Biblioteca: dagli avanzi romani alle molte armi medioevali che formavano il vanto delle decine di rocche per cui si rese celebre il territorio attorno a Forlì, dai ricchissimi medaglieri del Pisanello e di Giovanni dalle Corniole, i quali sono al centro di una collezione di circa seimila pezzi, alle documentazioni di un fulgido Risorgimento che a Forlì s'ingemmò nei nomi di Maroncelli e di Saffi, tutte le epoche, dalla preistoria della popolazione di Forlì alle guerre della Rivoluzione, sono presenti nelle sale di quest'ultimo edifizio forlivese”. Insomma, parla di Musei Civici: argomento che pare spinoso e su cui è scesa una patina pluridecennale di polvere assurda e misteriosa. 

Passando in rassegna una serie di monumenti che qui si omettono per non annoiare ulteriormente, si contempla anche la città perduta: “Andate perciò a sognare davanti alle bionde chiome dei cherubini affrescati da Melozzo nella Cappella Feo in San Biagio: davanti ai paffuti volti degli angioli, all'armonia dei colori, alla leggiadria delle composizioni resterete facili prede delle fantasie”. Viene in seguito sottolineata la “virile bellezza”, nonché “il saldo fascino delle opere vecchie e nuove”. E, per finire la descrizione della “città dai corsi popolosi” e “delle grandi piazze”, il saggista cita piazza Saffi quale “centro motore, cuore della romagnolità”. Infatti: “Basta darsi appuntamento su questa piazza, immersa nella magnificenza della luce primaverile, in una giornata di mercato, passare tra i gruppi dei venditori, ascoltare le voci di coloro che contrattano e discutono: qui la Romagna esplode in tutta la sonorità del suo dialetto, nella piena espansività del carattere della sua gente”. Il tanto bistrattato Cittadone (“Io non sono capace di trovare per questo capoluogo di provincia una definizione migliore”, dirà Querèl), all'occhio di ottant'anni fa, spiccava “nel panorama delle più rappresentative città italiane”. 
 

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