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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Forlì e l’orologio di Praga

Un signore un po’ bavarese un po’ umbro arriva a Forlì e costruisce un meccanismo perfetto. Poi se la dovrà vedere con la “Communità”

Settembre comporta un’attenzione maggiore all’orologio. Chi avesse fatto due passi in piazza nella primavera del 1758 avrebbe notato un avviso. Era apparsa una notificazione dove si leggeva che “Dovendosi dall’Ill.ma Communità di Forlì fare di nuovo l’Orologio Pubblico...”: era l’annuncio di un concorso per progettare un orologio “che batte l’ore e quarti da porsi nella Torre del Pubblico”. No, non è quello che ora si vede sulla torre civica perché si ricordi che nel 1944 fu fatta saltare dai tedeschi in ritirata e ricostruita negli anni Settanta. Si può dire, però, che assomigliava. Si può leggere questa sintesi come un assaggino di burocrazia prenapoleonica, con nomi di istituzioni che non sono più familiari, con una stratificazione di competenze distribuite tra Forlì, Ravenna e Roma da mettere a dura prova i nervi di chicchessia. 

I candidati sarebbero stati votati dal Consiglio Generale di Forlì con il vecchio sistema delle ballotte: delle sfere bianche per dare l’assenso, nere per manifestare contrarietà. Risponderanno al bando: Domenico Corona di Cesena (11 voti) “che dimanda scudi 900, coll’ore, e quarti”. Mauro Santi di Bologna “che richiede scudi 1000” ottenne solo un voto a favore. Antonio Praga di Monaco di Baviera (!) conquistò tutti, a parte tre voti contro: per forza, aveva chiesto appena 300 scudi. Antonio Orselli di Faenza ebbe solo un voto a favore, aveva chiesto 800 scudi. Pietro Giacomo Guidi di Bologna ebbe anch’egli solo un voto, voleva 900 scudi. Giuseppe Bruni di Cesena conquistò due voti per un lavoro che valeva 650 scudi. Domenico Minganti di Imola ebbe un voto solo, e chiedeva 800 scudi. Tomaso Soardi di Faenza voleva 1000 scudi e ottenne 4 voti a favore. Ora, si noti la totale assenza di un orologiaio forlivese! E allora, l’amministrazione di allora, chi andrà a scegliere? Il tedesco. Del resto non sembrava per nulla esoso…

Dopo la stretta di mano con Antonio Praga, gli si chiedono altri impegni: per esempio “si obliga di cominciare il lavoro subito” e “di rendere finita la Macchina nel termine di un anno”. Il Comune riesce a strappare il “vilissimo prezzo di Zecchini Romani 250” che saranno pagati “cinquanta, quando sarà finita, e posta in Forlì la macchina intiera suddetta a proprie spese”, altri cinquanta “quando il tutto sarà collocato a suoi rispettivi luoghi, cioè dopo altri sei mesi”. Il resto, il signor Praga l’avrebbe visto “cinquanta all’anno da incominciare dopo i suddetti sei mesi” sicché “questo Illustrissimo Pubblico possa avere una sicura riprova del di lui operato” (la garanzia). Gli altri cinquanta sono per pagare i muratori e le strutture per il lavoro. Il signor Praga, a questo punto, avrà capito quanto i forlivesi avessero il braccino corto. 

Insomma, era aprile, avrebbe dovuto iniziare a lavorare subito, avrebbe visto i primi soldini a gennaio, successivamente dopo sei mesi, e poi a lavoro finito, se tutto fosse andato bene. Nel frattempo avrebbe dovuto garantire anche la manutenzione per gli anni successivi e il salario delle maestranze. Strano tipo, Antonio Praga, bavarese di Monaco residente a Città di Castello, difficile capire per quale motivo accettò la commissione a queste condizioni. Tuttavia questo è solo l’inizio di un racconto gustoso. Si spera che fin da subito il signor Praga avesse capito che l’orologio con un unico meccanismo (castello) avrebbe però avuto “quattro mostre”, cioè un quadrante per ogni lato della torre, com’è ora. Ma va bene così, e il 21 agosto 1758 viene presentato il “pubblico istrumento” dal notaio: i lavori possono iniziare. Accetta e firma, pertanto “si obbliga a fare e costruire tutto a suo spese un orologio di tutta perfezione ad uso e beneficio di tutta la Città, e quello collocare in detta torre di questo Palazzo Apostolico”, l'orologio deve segnare “tempo, ore, quarti con undici ruote di ferro e la serpentina di ottone” e deve recare “una bella e sicura numerazione di nuova e perfetta invenzione”. Come se non bastasse, spetta al Praga garantire a sue spese la manutenzione per dieci anni. 

Altro che orologio, s’inceppa il meccanismo della politica: il 16 ottobre 1759, la Sacra Congregazione del Buon Governo fa sospendere i lavori perché “non ha creduto di assecondare la licenza di far costruire l’implorato orologio”. Sarebbe stato opportuno pensarci prima, viene in mente. Eppure Praga, che aveva già investito di suo per questo orologio, è costretto a pagare sempre di sua tasca “i giovani di bottega che per lo più vivevano oziosi per mancanza di lavoro”. Da qui, uno stillicidio: l’orologiaio perde altre importanti commissioni per star dietro ai forlivesi, s’indebita per finire l’orologio della torre, è costretto a rivedere (“giustificare”) il suo progetto per convincere la Sacra Congregazione del Buon Governo con inevitabili lungaggini e arrabbiature. Non solo, si era trasferito a Forlì, aveva venduto la sua bottega, sua colpa fu l’aver capito troppo tardi in che pantano era finito.

Il paziente bavarese querela l’amministrazione forlivese. Il suo avvocato precisa che oltre a essere riconosciuto a Città di Castello “uomo valente, onorato e discreto nella sua professione”, aveva dovuto “lasciar casa e bottega per trasferirsi a Forlì” vendendo “molte sue masserizie e mobiglie”. Inoltre, aveva già speso 340 scudi per 8000 libbre di ferro, filo d’ottone e acciaio. La causa andrà avanti fino al 1764 e si spera che nel frattempo il signor Praga abbia potuto mantenersi dignitosamente. L’Illustrissima Communità di Forlì risponderà dicendo che ha fatto il furbo, cioè ha costruito l’orologio in modo diverso da quanto pattuito, in modo da guadagnarci di più. Eppure lui ribatterà che fu “animato dai Patrizi forlivesi a costruire il pubblico orologio di maggior mole” e gli venne promessa “proporzionata mercede”. 

Nel frattempo, l’orologio viene completato rispettando i tempi e nonostante tutto: è esposto per dieci mesi, da gennaio a novembre 1760, in una delle sale del Palazzo Apostolico (ora Municipio) dove riscontra il favore di chi lo va a vedere. Al termine di tale periodo, l’Illustrissima Communità di Forlì gli ingiunge di collocare subito sulla torre l’orologio ma il signor Praga ricorda che deve essere pagato. Il fatto che l’orologio sia più grande significa una spesa maggiore, quindi viene coinvolta la Congregazione della Tabella, una sorta di commissione economica, che si lancia in perizie e stime col risultato di confermare che il lavoro fatto dal baverese è superiore a quanto richiesto e gli deve essere riconosciuta una giusta compensazione salariale. 

Viene richiesta la consulenza al “celebre signor Domenico Fornacini Professore Orologiaro di Bologna” e – ai Consiglieri generali sarà gelato il sangue – costui giudica l’orologio del Praga “del valore di scudi 1900 di puro capitale, e spese vive”. Non solo, per il professore è impossibile pagare meno di 1500 scudi un orologio simile. Al parere autorevole si associano pure gli entusiasti Giovanni Luchini “Orologiaro dilettante di Forlì” e “il celebre Mattematico Padre Mancini”. Sfruttando il vento favorevole, il bavarese di Città di Castello “fa istanza alla Comunità di Forlì perché gli si compensi il maggior capitale, e il più di lavoro posto nel pubblico Orologio da esso fabbricato”. Avendo già il via libera dalla Congregazione della Tabella, ora spetta al Consiglio Generale stabilire il compenso adeguato. La Tabella consiglia di risarcire pure i “danni patiti per la sospensione del lavoro” oltre al valore dell’orologio pari a “scudi 1900 di puro capitale” cui si aggiungono “1500 scudi” di “spese vive”. Ora fa sorridere che per tale lavoro il signor Praga avesse chiesto 300 scudi e che la Communità gliene avesse proposti 250. 

Nel frattempo si fa sentire la voce del “secondo stato”: “La maggior parte dei Secolari, ed Ecclesiastici di Forlì spontaneamente, ed unitamente approva, e si mostra desiderosa che il Sig. Antonio Praga venga non solo reintegrato della spesa ulteriore all’obbligo assunto fatto nella costruzione dell’Orologio, ma altresì che riporti una gratificazione proporzionata al merito dell’opera che confessa eccellente”. Insomma, dopo tanto tribolare, il 19 febbraio 1763 il Consiglio Generale si pronuncia su quanto dare all’orologiaio. L’assemblea risolve di versare 600 scudi (!) e subito Vescovo e clero approvano e dichiarano che avrebbero in parte sostenuto la spesa. Anche il Signor Governatore di Forlì è compiaciuto della scelta ma ben presto arriva la doccia fredda: la Sacra Congregazione del Buon Governo stabilisce che al signor Praga siano dati solo 300 scudi e se lui non fosse d’accordo nemmeno quelli.  Par di vedere cadere le braccia all’orologiaio, tanto che fa istanza “perché gli venga restituito l’orologio”. Il Consigliere Generale, però, questa volta inoltra l’istanza del bavarese alla Sacra Congregazione, come per dirgli “prenditela con lei”. Il parere del cardinale Crivelli, Legato di Romagna, aveva confermato la perfetta esecuzione dell’orologio di Forlì e la giustizia del risarcire l’artefice con “mercede e ristoro”. 

La Sacra Congregazione del Buon Governo non si scompone: il signor Praga “ha in pronto l’occasione per esitare molto vantaggiosamente l’Orologio fabbricato per la Communità” quindi ha già guadagnato a sufficienza. Il bavarese porta fogli scritti con cifre e conti e si difende in tutti i modi, anche ricordando i numerosi pareri favorevoli del suo lavoro, compreso quello del professore di Bologna. Alla fine, nel 1764 riceverà quanto sperato. Con una storia così, il fatto di aver perso l’orologio del signor Praga fa venire ancor più rabbia. Anzi, ne abbiamo persi due: l’altro era nell’arco di Rialto che fu demolito nell’estate del 1824. 

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