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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì e la calda estate 1915

Tra paure e aspettative: la preparazione del bagaglio che i giovani forlivesi, anche volontari, portarono allo scoppio della tragedia della Grande guerra.

L'estate, in questi giorni, offre la sua faccia più feroce con temperature oltre al limite della sopportabilità. Giustamente ci si lamenta. Ma tornando indietro nel tempo ci si imbatte in periodo ben più caldo di quello attuale, non tanto per la temperatura atmosferica quanto per l'entusiasmo bellico che poi, solo per Forlì, significherà 829 caduti sul campo di battaglia. Con l'inizio dell'estate del 1915, la stampa locale, in particolare "Il Pensiero Romagnolo", diffonde un comunicato del Ministero della Guerra. Probabilmente sarà stato letto con molta apprensione dai diretti interessati: "Si consiglia ogni buon cittadino di presentarsi alle armi con un paio di calzature di marcia (stivaletti allacciati, con gambaletto, usualmente chiamate scarpe alpine) munite di chiodatura; ne ritrarrà il vantaggio di calzare scarpe già bene adatte al piede, ed agevolerà in pari tempo le operazioni di vestizione presso i depositi, rendendole più speditive". Detto questo, si scorge: "Si consiglia inoltre di presentarsi con un farsetto a maglia di lana pesante, con una correggia di pantaloni e con oggetti di biancheria in buone condizioni". Insomma, molti giovani, allora, stavano preparando la valigia per una "vacanza" ben lontana dall'essere divertente e spensierata. I mesi precedenti avevano lasciato nel ricordo dei forlivesi dibattiti e discussioni anche feroci sull'opportunità o meno di entrare in conflitto. Con la settimana rossa sembrava tutto molto facile: rivoluzionari (repubblicani, socialisti, antimilitaristi, antimonarchici...) contro resto del mondo. Successivamente le posizioni si ingarbugliarono: la maggioranza dei repubblicani voleva la guerra perché coltivava il sogno del Risorgimento compiuto, con Trento e Trieste entro i confini nazionali. Altra istanza interventista era distruggere gli Imperi centrali per ridisegnare la cartina dell'Europa secondo i desiderata mazziniani. Per questi obiettivi, i repubblicani ben accettarono di indossare la divisa con le mostrine sabaude. Neutralisti restavano i socialisti e i cattolici. Ma i confini di questo schema erano labili, pertanto una parte influente dei repubblicani forlivesi (tra cui Giuseppe Gaudenzi) si mostrerà ostile al conflitto e i seguaci dell'irrequieto socialista Benito Mussolini passarono al fronte interventista. 

L'entrata in guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915, fu adombrata dai primi provvedimenti restrittivi: i lampioni stradali dovevano essere meno luminosi (furono coperti di vernice), e sorte simile per le luci private. Furono requisite bestie da soma o animali da lavoro per le necessità militari. La città cambiò anche alcuni servizi: in piazza XX settembre sarebbe stato trasferito il mercato della frutta e del pollame mentre il pesce restava al Foro Annonario. All'altezza del Monte di Pietà fu istituito un ufficio per la corrispondenza tra militari e famiglie. Il Palazzo del Merenda, già ospedale, divenne ricovero per i feriti e infermeria. I cittadini erano stati avvertiti che il territorio romagnolo era zona di guerra e che i poteri civili della Provincia di Forlì erano stati conferiti all'autorità militare. Il 22 giugno 1915 sarebbero stati convocati i possidenti terrieri per trattare sui costi del grano, in modo tale che, in caso di emergenza, fosse garantito a tutti il pane. Per la prima volta nella storia, poi, la paura poteva venire anche dall'alto. Dirigibili e aerei erano una minaccia concreta. Così la Prefettura avvertì che: "stante il pericolo di incursioni di aeroplani nemici, al primo apparire di essi la campana della Torre darà il segnale con ripetuti rintocchi, alternati di 5 in 5, con l’intervallo di 10 secondi. Tutte le case spegneranno i lumi e chiuderanno le finestre in modo che non traspaia luce. D’ora in avanti tutti i negozi dovranno chiudersi alle 21; i luoghi di spettacolo avranno luce soltanto all’interno". Con l'inizio di giugno fu proibita la circolazione di auto e moto ad eccezione dei mezzi di soccorso o di chi avesse mostrato un congruo permesso. Gli altri veicoli restavano a disposizione dell'esercito. 

Il 26 giugno 1915, nella notte, arrivò in città una tradotta con più di duecento feriti, accompagnati da soldati muniti di torce al vento. Il primo degli ospedali urbani straordinari a entrare in funzione fu quello annesso alla chiesa di San Filippo, nell'area ove oggi c'è la scuola Diego Fabbri. Non può passare inosservato il fatto che, tra le pagine del "Diario Forlivese" di Filippo Guarini, si nota che il 27 giugno 1915: "è aperto in via Merlini 5 un Ritrovo Militare allo scopo di offrire ai militari ricreazione con sala di lettura, scrittura, scuola e segretariato. L'ingresso al ritrovo è da quella porta nel vicolo Merlini che una volta si apriva agli alunni esterni del Seminario ed era chiusa da molti anni". Per l'occasione "La compagnia filodrammatica Silvio Pellico dava con successo clamoroso Il Piccolo Parigino e con eguale successo l'11 luglio i Filodrammatici dell'Istituto S. Luigi davano L'irreparabile". Così almeno si apprende leggendo il periodico "La Madonna del Fuoco" del 4 agosto 1915. Sempre riguardo al Ritrovo, collocato nel vecchio seminario a pochi passi dal Duomo (nell'immagine), è scritto: "Si vide ben presto che la benefica istituzione rispondeva ad un vero bisogno, mancando spesso la relazione tra famiglie e soldati per la mancanza di comodità di scrivere. Notiamo poi con quanta brama i soldati cercano i gruppi fotografici da mandare alle loro famiglie". Se "le sale di scrittura divenivano troppo ristrette" per la corrispondenza, anche "la sala di lettura" risultava piuttosto "gremita". 

Nella seconda pagina de "Il Pensiero Romagnolo" del 3 luglio 1915, si presentano i nomi dei volontari forlivesi partiti per il fronte. I più sono nelle file dell'11° Fanteria (i Gialli del Calvario), ma anche nel 68°, tra i Granatieri e nella Regia Marina, mentre "altri, come l'avv. Bondi Antonio ed il dott. Nullo Bovelacci attendono la nomina pei rispettivi corpi nei quali hanno fatta richiesta". Numerosi sono anche i volontari del Plotone ciclisti di cui si menzionano: Adolfo Banti, Amilcare Casati, Sergio Casadei, Armando Casalini, Paolo Cortini, Adolfo Cappelli, Giulio Laghi, Marcello Fussi, Mario Fuzzi, Ludovico Malpezzi, Carlo Passardi, Guglielmo Zavatti, Ercole Lombardi, Luigi Vernocchi, Mario Mambelli, Ernesto Boccardi, Fortunato Scheda, Flaminio Ascari, Michele Alboni, Armando Lanzoni, Aurelio Spazzoli, Berto Zoli, Edgardo Matteucci, Cesare Berti, Giuseppe Spazzoli, Paolo Bondi, Alberto Trapani, Decio Fuzzi. Armando Casalini è lo stesso che sarà assassinato a Roma nel '24. Sindacalista e politico di matrice repubblicana poi fascista, si era arruolato nonostante una malformazione fisica. Per un certo periodo, l'attuale piazzale della Vittoria fu a lui dedicato.Il plotone era riservato a volontari adulti pronti che avevano allenato le gambe in vista di chilometri in bicicletta per garantire collegamenti veloci tra luoghi di guerra. In tutto, oltre ai nomi citati (i primi a partire) sarebbero stati, al 19 luglio 1915, 220 uomini. Per festeggiare la loro partenza fu data una manifestazione preparata dai reduci garibaldini allo Sferisterio, con interventi di autorità quali il commendator Tito Pasqui e l'avvocato Cino Macrelli. Tra i volontari automobilisti, si segnala il solo Alvaro Zavatti. Alla fine del mese di luglio la città - per così dire - apparve come un grande ospedale da campo: il conto dei feriti toccava i 600, computo che esclude i dimessi dopo le cure. Numeri che ben presto riempirono di angoscia i forlivesi. 

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