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Martedì, 16 Aprile 2024
Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Forlì va a fuoco: ci pensa il Papa

Un incendio devasta la città nell'anno Mille. Una storia scomparsa tra la cenere

Le cronache estive, specialmente di questi giorni, raccontano di incendi devastanti il cui propagarsi è favorito dal clima arido, ventoso e siccitoso. Un episodio poco battuto dalla storiografia più consueta vede Forlì al centro di una sciagura simile. È poco battuto, per così dire, perché si riferisce a più di mille anni fa, pertanto occorrono le pinze per prenderne elementi di verità. Certo, non è improbabile: si tratta ancora di una città dove il legno costruisce più del mattone. Per dire quanto poco si sia conservato di quel periodo lontano, scarseggiano pure le informazioni sul Vescovo. Chi era? Spunta un nome particolare: Erchenfredo degli Erchenfredi, detto Erchizo. Nel Settecento era stato citato nella lista dei Vescovi successori di San Mercuriale grazie alle testimonianze scritte di tal Petruccio Spinetta, fonte storica invero oscura. Il personaggio è comunque esistito, appartenente a una famiglia nobile e abbiente i cui traffici miravano più che altro alla zona compresa tra Vecchiazzano e Fiumana, almeno così si sa di suo padre Taddeo. È, dunque, un Erchenfredo a ottenere a favore di Forlì il castello di Casafigaria, un tempo situato tra Vecchiazzano e San Lorenzo in Noceto e già parte del patrimonio dell'Arcivescovo di Ravenna. Che poi quell'Erchenfredo fosse anche Vescovo è difficile, se non improbabile, confermarlo.

Il 5 novembre 1000, divampano fiamme in città. L'evento è sottovalutato ma a poco a poco il fuoco si fa sempre più insistente e violento. La maggior parte delle case di Forlì, costruite per lo più in legno, si trasformano in pire che illuminano la notte, tra fragori, bagliori e grida. Le vittime sono tante, la città potrebbe sparire per sempre tra la cenere. Sono scossi anche gli abitanti di Faenza e di Cesena, mandano aiuti però i danni sono incalcolabili tanto che per mesi ci sarà da leccarsi le ferite. Così, il 19 maggio 1001, papa Silvestro II si recherà a vedere le rovine di Forlì con Leone, arcivescovo di Ravenna, ed Eriberto, arcivescovo di Colonia. Il Pontefice di origini aquitane, noto per la sua profonda erudizione, aveva avuto modo di conoscere la Romagna essendo stato l'antecessore di Leone sulla cattedra ravennate. Studioso di quanto allora era la punta di diamante della scienza, aveva introdotto in Europa le conoscenze arabe di aritmetica e astronomia. Senza entrare nello specifico (che proprio non si sa), il Papa concesse “molti utili, et honori, et priuilegij” per Forlì. Si pensa dunque che profuse una buona somma di denaro per la ricostruzione e per il ristoro della popolazione, nonché probabili esenzioni fiscali. Essendo, inoltre, una mente geniale, non si esclude che abbia suggerito qualche rimedio pratico per la ripresa dell'entusiasmo urbano. Il cronista si dimentica di precisare i particolari e quasi certamente fa confusione scambiando Erchenfredo per il Vescovo di quel tempo lontano. 

Ora non conosciamo cosa fece Silvestro II per Forlì: se si limitò a frasi di circostanza o contribuì davvero alla sua rinascita. Non ci è dato saperlo, la storia non tutto conserva (e sta anche in questo limite il suo fascino). Tale pagina, a quanto pare, è andata bruciata nell'incendio. Dal canto suo, Erchenfredo, lasciando non si sa quali “segni di santità”, morrà poco dopo: il 31 maggio 1001. Sarà sepolto nella chiesa di Santa Maria in Schiavonia, da lui completamente rinnovata. 

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