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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì vota per la prima volta

Mussolini non vince ma convince: questo l'esito delle prime elezioni a suffragio universale maschile tenutesi nella "Repubblica pannocchiesca" il 26 ottobre 1913.

Fanfara in piazza Vittorio Emanuele, città animatissima fin dal mattino. L'atmosfera euforica accompagna Forlì in quel 26 ottobre 1913, giorno in cui si sarebbero svolte le prime elezioni a suffragio universale maschile. L'Italia, infatti, era stata chiamata a votare per rinnovare la Camera e fino ad allora solo chi aveva un censo adeguato poteva vantare il diritto di partecipare alla vita politica. Facendo seguito alla legge del 1912, dunque, il diritto di voto fu esteso a tutti i cittadini maschi di età maggiore di 30 anni, rimanendo elettori i cittadini maschi di età inferiore (e comunque maggiorenni) secondo le restrizioni precedentemente in vigore (19,20 lire di reddito minimo, o licenza elementare, o servizio militare prestato). In questo modo, il corpo elettorale passò dal 7% al 23% della popolazione. Già nel 1888 gli elettori forlivesi erano passati da 1.625 a 4.523 (su circa 40.000 abitanti); la precedente normativa escludeva l'accesso alle urne agli analfabeti, agli inabili, agli oziosi, ai vagabondi, ai mendicanti, a chi oggi farebbe parte delle categorie protette. Nonché alle donne (e così sarà fino al 1946), ai braccianti e, in linea di massima, ai poveri. Per la legge del 1912 era previsto il collegio uninominale a doppio turno con ballottaggio - in questo caso - al 2 novembre. 

Grazie al suffragio (quasi) universale, si può dire che queste furono le prime elezioni moderne in Italia. Il gran numero di analfabeti poté accostarsi alla vita politica e ciò rese necessario per la prima volta l'uso delle fotografie dei candidati, dei simboli partitici e della propaganda. Era stata introdotta pure la scheda prestampata: dopo averla ottenuta dal comitato elettorale del proprio candidato, l'elettore la portava direttamente da casa al seggio. Qui sarebbe stata depositata dentro la busta ufficiale, con caratteristiche tali per cui la lettura del nome sulla scheda poteva essere fatta senza aprire la busta stessa. E a Forlì che successe? L'esito regalò circa la metà dei voti ai repubblicani. Così Gaudenzi, loro campione, ottenne 4.536 preferenze, mentre secondo arrivò un tale Benito Mussolini con 1.425 sostenitori in città. Fuori gara, i clerico-liberal-monarchici che invece altrove, in Romagna, avrebbero avuto una certa affermazione. Di Mussolini, il "Pensiero Romagnolo" scrive: “il candidato socialista ha ottenuto quasi l'unanimità dei voti (529) a Predappio e per lui si sono schierati anche i moderati e i clericali, come a Civitella e a Cusercoli”. Il singolare appoggio ha un motivo: “Mussolini è contrario alla guerra e quindi favorito”. Pochi mesi dopo avrebbe cambiato idea. A livello nazionale, si registrò il successo del Patto Gentiloni, quell'accordo tra liberali e cattolici che rappresentava l'ingresso di questi ultimi nella politica attiva italiana. Forlì e i forlivesi non parlavano d'altro e le eco della campagna elettorale sono ben presenti sulla stampa locale del tempo. Aprendo un settimanale di parte repubblicana, il "Pensiero Romagnolo" del 5 ottobre 1913, traspaiono i toni del caso. “Collettivismo”, “libertà individuale” ed eventuale loro connubio sono tra le parole più spese. Gli strali sono rivolti contro i moderati: “Il comm. Tito Pasqui attende il laticlavio per avvolgervi le memorie giacobine della sua gioventù e per ascendere solennemente nell'Olimpo”. Poi ce n'è per il marchese Albicini che “ha trasferito i penati nella città dei tre Papi” mentre il prof. Livio Minguzzi “ha posto la sua candidatura a Martinengo, in provincia di Pavia, e ha contro un candidato clericale mentre gli uomini della sua parte si alleano coi preti”. Si cita anche il giovane socialista Benito Mussolini che “disse di non sentirsi adatto ad essere parlamentare” anche se “quella di Forlì sarà una nobile e semplice affermazione di idee, fosse così dovunque!”.

Infatti, la storiografia è concorde nel ritenere questo un successo per il socialista intransigente Mussolini, in un territorio dove i repubblicani avevano comunque un vasto consenso messo però in discussione dall'ampliamento del corpo elettorale. A livello nazionale, la versatilità retorica del predappiese mieterà i primi risultati positivi. In questi giorni Mussolini definiva Forlì come Repubblica pannocchiesca, espressione mutuata da Panòcia (soprannome della famiglia del repubblicano Gaudenzi) e seppe uscire dall'ombra del campanile di San Mercuriale regalando ai socialisti un aumento di seggi in Parlamento. Egli, comunque, candidatosi nel Collegio di Forlì, in questa tornata elettorale non conquisterà uno scranno per sé. Un dato curioso non può che far pensare: malgrado la conquista del diritto di voto di una sempre più ampia fetta di popolazione, si registrerà un calo di quanti effettivamente eserciteranno tale diritto. Si osserva che nel 1914, se gli elettori di Forlì erano 12.840, solo 2.045 si sarebbero presentati alle urne. Di norma, il 40% di chi avrebbe potuto, non andava a votare. Una probabile causa di questo disinteresse (singolare, in una piazza mordace e sapida come la Forlì d'inizio Novecento) è data - forse - dalla fragilità dei governi e delle amministrazioni locali che chiedevano frequenti chiamate al voto. Alessandro Schiavi, intellettuale e militante socialista romagnolo di cui la biblioteca forlivese possiede un importante Fondo, così commenta in diretta: "dobbiamo concludere che lo scetticismo e la indifferenza guadagnano la parte più colta, più abituata ed addestrata alle competizioni politiche della popolazione italiana proprio in quei centri urbani dove maggiore è la sensibilità politica, dove più vive sono le lotte fra i partiti". La scarsa affluenza costringerà le forze politiche a creare schieramenti. A Forlì, così, si trovano da una parte i monarchico-liberal-clericali e dall'altra i repubblicano-socialisti. Alleanze non certo granitiche ma dettate dalla virtù della necessità.

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