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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

IL FORO DI LIVIO - I forlivesi colorati e la salamandra gigante

Nell'ottobre del 1636 i forlivesi videro sfilare, in centro, una grossa salamandra sormontata da una statua della Madonna. Che cosa stava succedendo?

Come si diceva welfare prima che la parola anglosassone inquinasse il nostro vocabolario comune? “Benessere” o “politiche sociali”, o “previdenza sociale”, termini che sono stati purtroppo cancellati una decina d'anni fa da chi siede sugli scranni di chi può. E prima ancora? Beh, più che pensare alle parole si guardava ai fatti. Ecco, il welfare forlivese per mezzo millennio fu retto dalle confraternite dei Battuti.

Ispirati alla devozione mariana, a poco a poco, fin dal Duecento, alcuni laici si associarono individuando quali fossero i bisogni dei cittadini: sostenere i poveri, curare gli infermi, accudire gli orfani, provvedere per i meno abbienti. Ecco, in linea con le sette opere di misericordia corporale, per oltre cinque secoli agivano dei forlivesi laboriosi, volonterosi e devoti. 

Presero il nome di Battuti per l'usanza, poi abbandonata, di percuotersi durante le processioni. Furono chiamati così fino a tutto il Settecento, perpetuando l'afflizione sublimata con la vocazione caritativa. Come accadeva anche altrove, in Italia, le confraternite erano dotate di un proprio statuto e amministrate da un priore eletto a scrutinio segreto, i laici erano affiancati da un sacerdote per l'assistenza spirituale. Il priore dirigeva l'ospedale ed era il responsabile dei beni sociali, il massaro (spesso erano in coppia) relazionava sul bilancio ogni due mesi ai confratelli. Le elezioni si svolgevano il 21 dicembre (giorno di San Tommaso) e la dirigenza così poteva insediarsi per l'anno sociale che iniziava il 1° gennaio. Ad acclamazione si sceglievano i guardiani (solitamente dodici) che svolgevano il ruolo di amministratori. Il voto veniva preceduto dal suono della campana della chiesa di pertinenza e si svolgeva presso l'altare con spirito religioso. 

In altre città, dal basso medioevo fino all'aurora dell'età contemporanea erano attive confraternite simili; caratteristica di quelle forlivesi, almeno di quelle chiamate “Battuti”, è che sono già presenti nel 1252, quindi precedono il movimento dei flagellanti fondato dall'eremita francescano Raniero Fasani. E poi ce n'erano ben sei, con colori diversi (Bianchi, Bigi, Celestini o Turchini, Neri, Rossi, Verdi): ognuna di queste sei aveva un proprio ospedale e una propria chiesa. Per "ospedale" s'intende un luogo coperto, con refettorio e una decina di posti letto, e l'assistenza di uno o più medici. A metà del Cinquecento, i diversi ospedali confluirono nella Casa di Dio (quello che poi sarà il “Palazzo del Merenda”, ospedale fino ai primi anni del Novecento e destinato ora a sede della biblioteca). Presenti con costumi pittoreschi alle grandi processioni (come per il Corpus Domini, nel 1485), furono il motore di iniziative solidali: vi facevano parte le famiglie dei maggiorenti ma anche gente comune, in genere, ogni confraternita aveva un centinaio di iscritti attivi. 


La celebrazione più grandiosa cui presero parte i Battuti fu nel 1636, anno in cui la città fu decorata con architetture lignee, archi e solcata da carri allegorici suggestivi. Il 20 ottobre di quell'anno, infatti, l'Immagine della Madonna del Fuoco fu traslata nella cappella ov'è ora. L'evento fu celebrato con solenni apparati tra cui le “macchine” dei Battuti. Una di esse era la “salamandra” (anfibio che, per gli antichi, era ignifugo) sotto le sembianze di un enorme varano. Stavano arrivando i Battuti Rossi con quel bizzarro carro allegorico che, muovendosi lentamente e in modo assai naturale, destò un forte stupore tra la gente. 

I Battuti Rossi recavano nello stendardo l’immagine della Madonna del Fuoco tra le fiamme a cui San Michele, prostrato a terra, porge la città di Forlì. Erano, forse, i più numerosi e venivano considerati i fedelissimi della Madonna del Fuoco. Si occupavano di cura e accoglienza e avevano sede nella chiesa di San Michele in via dei Mille, oggi detta anche del Buon Pastore. Lì era anche il loro ospedale. 

I Battuti Verdi avevano, nello stendardo, l’effigie di Maria col Bambino che calpesta un grande drago da lei colpito da un fulmine di fuoco. La loro missione era accogliere pellegrini e viandanti, curare gli infermi nell'ospedale ubicato presso la chiesa di Santa Maria della Neve (ora scomparsa) un tempo in via Battuti Verdi. Nel 1636 portarono la grandiosa “macchina di Sant'Elmo”, nave allegorica guidata da San Mercuriale e San Valeriano. 

I Battuti Celestini (o Turchini), nello stendardo, recavano l’immagine di Sant’Antonio Abate in ginocchio davanti alla Beata Vergine assisa in un seggio di nuvole. Loro compito era quello di insegnare un’arte alle zitelle e recuperare per loro una rilevante dote in denaro. Inoltre, si adopravano per istruire gratuitamente i fanciulli. Avevano sede nella chiesa di Sant’Antonio Abate, ora intitolata a San Francesco e situata in corso Garibaldi. Poi si trasferirono nella scomparsa chiesa di San Bernardo, presso il ponte dei Morattini (davanti alla chiesa della Trinità) e alcuni Ordelaffi ne fecero parte. 

I Battuti Neri, detta anche Compagnia della Morte o del Corpo di Cristo, avevano uno stendardo nero con il Salvatore resuscitato che calpesta la morte. La loro opera fu importantissima per la città: prelevavano e seppellivano i cadaveri dei giustiziati, degli assassinati per le vie, dei forestieri.  A loro appartenne l’attuale chiesa del Corpus Domini in piazza Ordelaffi. Furono loro a seppellire la gran copia di morti del “sanguinoso mucchio” nel 1282.

I Battuti Bigi portavano uno stendardo con San Pietro in atto di leggere un libro. Loro compito era l’ospitalità e la cura gratuita dei pellegrini, delle donne prive di mezzi e dei mendicanti. Avevano sede nella chiesa di San Pietro dei Bigi nella “vigna dell'abate” (di San Mercuriale) tra le vie Nullo e Maceri. Non ne rimane più nulla, se non un isolato del centro da rivedere completamente. Nel 1636 conducevano un carro spettacolare che raffigurava una selva con l'arca di Noè e il monte Oreb con Mosè.

I Battuti Bianchi erano i più aristocratici, sul loro stendardo campeggiava San Sebastiano trafitto dalle frecce. La confraternita aiutava orfani e orfanelle ed erano sostenuti nientemeno che da Caterina Sforza. Avevano sede nell’oratorio di San Sebastiano, a due passi dalla grande chiesa dedicata a San Domenico. Dalla fine del Quattrocento si occupavano anche dei “poveri vergognosi”, cioè dei ricchi caduti in disgrazia e che, ormai in miseria, si vergognavano di chiedere sovvenzioni. 
Nella loro lunga storia, queste congregazioni cambiarono destinazione, usanze, sedi fino a scomparire per sempre alla fine del Settecento, anch'esse subirono il colpo dell'occupazione francese. 

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