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Martedì, 23 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Matrimonio imperiale a Forlì

Galla Placidia e Ataulfo dei Goti, sposi a Schiavonia. Sulle tracce di una leggenda non impossibile.

Sabato e domenica si celebra la Festa dell'Addolorata, tradizione di Schiavonia, non “come tutti gli anni” perché la processione e le manifestazioni esterne sono sospese a causa della pandemia, ma senza trascurare la radicata devozione a Maria. Guardando la facciata della chiesa di Santa Maria in Laterano, cioè la chiesa del rione che fa perno su corso Garibaldi, si può ricordare una vicenda che non è nemmeno troppo campata per aria. 

Dicitur, ossia “si dice”, è espressione che spicca quando uno storico non sa bene se la fonte che riporta si basi su documenti o su leggende. Galla Placidia, in questo senso, è la campionessa delle storie leggendarie. Si dice, infatti, che abbia dato lei il nome a Berti-in-oro, libando un calice di albana. Improbabile. Si dice che sia sepolta nell'eponimo mausoleo di Ravenna. Non pare. Si mormora che, nella campagna tra Forlì e Ravenna, fosse caduta gambe all'aria e da qui l'origine del toponimo Gambellara. Risibile. Si dice che si sia sposata a Forlì. Questa storia è meno conosciuta ma, incredibilmente, più probabile. Innanzitutto, chi era? Figlia dell'Imperatore Teodosio, fu deportata in Spagna da Ataulfo in seguito al sacco di Roma del 410. Ataulfo, re dei Visigoti, avrebbe sposato Galla Placidia a Forlì nel 411, si presume nella chiesa di Schiavonia (che si affaccia sulla piazza a lei dedicata). Questa, almeno, sarebbe la versione dello storico Giordane. Secondo altri, le nozze si celebrarono a Narbona nel 414. Sembra, comunque, che Forlì, se non il luogo dello sposalizio, sia la città dove l'amore tra i due principi di diverse genti ebbe inizio: un fidanzamento o un matrimonio in forma privata?

La donna, dal 423 resse ciò che rimaneva dell'Impero Romano d'Occidente per il figlio Valentiniano III, e morì nel 450. Aprendo il tomo massiccio di Sigismondo Marchesi, vi si legge, con l'incanto che la lingua imprecisa e antica del Seicento può suscitare, confondendo storia e sentito dire: Questa è, che l’anno istesso, che morì Alarico, prese la Signoria Ataulfo […] Portossi a Roma, e quel poco, ch’eraui auanzato del sacco del suo antecessore Alarico, esso senza remissione depredò. Mà nella preda trà le cose più pretiose fù la persona della tanto famosa Galla Placidia figlia di Teodosio, e sorella d’Honorio, & Arcadio Imperatori, la quale il barbaro Re non hebbe ardire d’offendere; anzi considerata la di lei somma integrità, bellezza, e nobiltà della stirpe, preso dell’amore di essa pensò di farsela Sposa. Venne per tanto di Roma in Romagna, e giunto nella Città di Forlì, quivi con quella pompa, che si conueniua à que’ due gran Personaggi, furono celebrate le nozze, lasciando à perpetua memoria l’honore à questa Patria di potersi vantare d’esser stata degno Teatro d’vn’attione sì segnalata, e base dello stabilimento della quiete d’Italia… Se non fosse chiaro, lo storico evidenzia come la sorella dell'Imperatore Onorio (Galla Placidia, appunto), già rapita dai visigoti, abbia saputo farne innamorare il re, Ataulfo, che volle sposarla nientemeno che a Forlì. Marchesi poggia la ragione su Giordane, storico goto del Sesto secolo e, in quanto tale, barbaro anche nell'approssimazione, secondo il quale le nozze si sarebbero celebrate nel 411 in Foro Iuli Aemiliae civitate. Non esiste nessun “Foro Iuli” in Aemilia: potrebbe essere dunque un pastrocchio per indicare Forlì. Spiace dirlo, ma tra l'altro risulta che la distinzione, almeno ecclesiastica, tra Aemilia e Flaminia (poi Romagna), in quegli anni passasse sul confine comunale tra Forlì e Ravenna e tra Forlì e Forlimpopoli, sicché si possa definire Forlì in Emilia (legata a Milano) mentre Ravenna e da Forlimpopoli in giù in Romagna (legata a Roma). Si soprassieda su questo limite – peraltro temporaneo – per evitar polemiche. 

Altri punti a favore del connubio forlivese tra Goti e Romani si possono inverare nei nomi, un po' favolistici e dall'etimo incerto, dei rioni tradizionali: Schiavonia, per esempio. Alarico, re dei Visigoti, in Romagna amerà darsi al saccheggio e all'incendio, devastando paesi e città, contribuendo a regalare ai barbari l'accezione negativa che la storia popolare ha loro affibbiato. A Forlì distrusse la Livia e deportò in Spagna duemila forlivesi, donne e bambini compresi, resi schiavi. Sarà poi San Mercuriale, chiamato in Spagna per guarire il sovrano malato, a chiedere, in cambio della guarigione, la liberazione dei soi pecorelli, cioè i forlivesi. Gli schiavi liberati s'insediarono nella parte di città distrutta da Alarico, poi chiamata Schiavonia. Si può pensare quindi che, in questo coacervo leggendario, di vero ci sia un legame tra Mercuriale, il Vescovo della città violata, e Galla Placidia, Regina devota e che in qualche modo i due si siano scambiati informazioni sui deportati forlivesi allo scopo di liberarli in tutta sicurezza. Il bello delle leggende è scovarne il fondo di verità: quando furono fatti gli scavi per costruire il palazzone razionalista alla fine di corso Garibaldi, si notarono tracce evidenti di un vasto incendio e si presume che Alarico, giunto davvero a Forlì tra il 408 e il 409, avrebbe fatto bruciare la città tra Porta Schiavonia e la chiesa della Trinità (Ponte dei Morattini). Lo strato arso è spesso un metro, quindi fu davvero una barbarie che ancora se ne sta silente circa cinque metri sotto la città di oggi. Sarà poi lui o il suo successore, Ataulfo, a portare migliaia di italiani in Ostrogozia, cioè in Spagna. Tra i prigionieri, oltre ai duemila forlivesi, si sarebbe distinta una bella principessa scaltra e volitiva: Galla Placidia, appunto.

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