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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Garibaldi al balcone

Nei giorni successivi al 28 novembre 1848, l'eroe dei due mondi è per la prima volta a Forlì. A fare che?

Che anno, il Quarantotto. E in quell’anno, nella Forlì già effervescente per le istanze risorgimentali, arriva Garibaldi. Per la prima volta. Raggiungerà il capoluogo romagnolo il 28 novembre 1848. Il Generale verrà qui con una missione ben precisa, allora forse non chiarissima ai forlivesi in attesa fervida di poterlo vedere dal vivo. L’incontro con i cittadini avvenne da un balcone, quello di Palazzo Paulucci di Calboli, quel balcone settecentesco che guarda il fianco di San Mercuriale. La mattina del primo dicembre si affacciò sulla folla. L’obiettivo era ben determinato: impedire ai forlivesi, pienamente coinvolti nei moti risorgimentali che andavano scuotendo l’Italia, di proclamare autonomamente la repubblica e di piantare un Albero della Libertà di fronte al Palazzo del Comune. Non a caso, fino a quella giornata memorabile, il ritrovo più frequentato di chi manifestava contro il potere pontificio era, appunto, il colonnato in corrispondenza del balcone del cardinale Legato, l'attuale Municipio, difeso da una truppa di quattrocento uomini immobili e armati. Bastava poco, anche sfoggiare una coccarda tricolore, per scatenare una rissa. Insomma, solo un intervento di Garibaldi avrebbe potuto ammansire quei forlivesi che volevano tutto e subito. L’accoglienza, del resto, era stata clamorosa fin dall’ingresso in città da Porta San Pietro. La folla lo scortò fino alla piazza Maggiore preceduto dalla sua fama di “eroe di Montevideo”. Così Forlì si scopre crocevia di quei moti che tanto agitavano la Penisola. Nei giorni forlivesi, Garibaldi inviò lettere e intesse rapporti in un momento in cui i suoi desiderata sembravano improvvisamente a portata di mano. 

Secondo gli accordi, si sarebbe dovuto intrattenere a Forlì non più di tre giorni in quanto impegnato nell'arruolamento e nell'equipaggiamento di volontari per la Prima Legione Italiana, al servizio dello Stato Romano, governato da un Consiglio di Ministri. Sarebbe rimasto all'ombra di San Mercuriale, in realtà, per circa una settimana. In quei giorni si allestirà la fucina che darà luogo all'episodio più eclatante del Quarantotto italiano, cioè l'esperienza della Repubblica Romana. Il 24 novembre 1848, infatti, il Papa era stato costretto ad abbandonare Roma per rifugiarsi a Gaeta, sotto la protezione borbonica. Il 9 febbraio dell’anno successivo un governo provvisorio, eletto a suffragio universale, proclamò la Repubblica Romana di cui una delle teste era il forlivese Aurelio Saffi. Proprio Saffi era convinto della necessità di convocare a Roma una grande assemblea per fondare una nuova nazione e, attraverso la rete dei "Circoli popolari", il 13 dicembre 1848 Forlì sarà la sede di una riunione per passare dall'idea all'azione. I trentuno delegati della Romagna e delle Marche affermarono la volontà di lottare per unire l'Italia e, per tale scopo, era necessaria una Costituente che avrebbe scelto quale forma politica avrebbe avuto il nuovo Stato. Garibaldi inizierà quindi, nei primi di dicembre del Quarantotto, un saldo rapporto con la città romagnola che proseguirà pure a Unità avvenuta. E vi sarebbe tornato, meno di un anno dopo, nel contesto della trafila, peripezia che tanto avrebbe alimentato il mito dell'eroe risorgimentale. Poco meno di dieci anni più tardi, il 17 giugno 1859, il delegato pontificio abbandonò Forlì lasciando la città in mano a una giunta provvisoria composta dal conte Cesare Albicini, Pietro Fiondi ed Eugenio Romagnoli. Questo significò che quanto auspicato dai liberali si era avverato: sventolò nella grande piazza forlivese per la prima volta il Tricolore in un'Italia che ancora era da farsi. 

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