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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

I dieci anni che sconvolsero la piazza

Negli anni Trenta piazza Saffi cambiò faccia: un lato divenne razionalista. Sorsero il palazzo delle Poste e quello degli Uffici Statali. Cosa c'era prima? E che ruolo ebbe Mussolini in questo stravolgimento architettonico?

Piaccia o no, Forlì non può prescindere dalla sua piazza. E per “piazza” (così i forlivesi indicano genericamente il centro storico per sineddoche), qui s'intende quella che è dedicata al triunviro della repubblica romana: Aurelio Saffi. Con i suoi quasi 130 metri di lunghezza e poco meno di 90 di larghezza, è sul podio tra le piazze centrali più vaste d'Italia. Nel corso della storia è stata di tutto: necropoli, campo, teatro di sanguinose battaglie, luogo di mercato e di trattative di vario genere, cuore di iniziative religiose ma anche di esecuzioni dei vari signori di turno, salotto della città a via a via rimaneggiato, un tempo più vissuto, oggi spesso negletto. 
Più di otto secoli sono passati da quando il terreno, allora ai margini della città, fu concesso per uso pubblico pur mantenendo per secoli il nome di Campo dell'Abate (nome che magari un giorno, in un impeto di creatività controcorrente, potrebbe essere ripristinato). Poi divenne, in modo più anonimo, piazza Maggiore, in seguito dedicata a Vittorio Emanuele II, quindi, negli anni Venti, perse il titolo “regale” per chiamarsi "Aurelio Saffi", grande forlivese con quel cognome che fa rima con gli antichi Ordelaffi. Salvo una parentesi anglofona: St. Andrew square nei giorni della liberazione, la piazza tornerà poi “Saffi”. La sua statua pensosa è al centro del grande trapezio, ma prima vi era la colonna della Madonna del Fuoco, e prima ancora, più decentrata, la “Crocetta”. 

Nelle cartoline di un tempo la si vedeva parcheggio, nei giorni giacobini vi si innalzò l'albero della libertà, oggi fa discutere l'albero di Natale.
La piazza è monumentale ed eterogenea, un campionario di secoli e stili. Nel corso del tempo ha subito numerosi cambiamenti pur rimanendo sempre riconoscibile anche grazie al campanile di San Mercuriale, più antico della piazza stessa.

Il lato che ha subito più modifiche, però, è quello che, negli anni Trenta, ha visto sorgere il palazzo degli Uffici Statali e il palazzo delle Poste. In questi pochi anni, furono sacrificati edifici d'importante valore storico. Al loro posto, a differenza di quanto avvenuto con la fretta e la furia del dopoguerra, ci sono costruzioni altrettanto importanti dal punto di vista architettonico. Tuttavia si è perso molto. Da dove nacque questa smania di stravolgere la piazza?

Fu Mussolini in persona che sollecitò più volte l'avvio del “piccone” e seguì sempre lo svolgimento dei lavori, anche quando i vincoli architettonici avevano espresso parere contrario. Più bianco travertino meno rosso mattone, insomma: sorsero il palazzo delle Poste con le due torrette laterali in simmetria al paio di aquile sulle colonne, quello degli Uffici Statali (anch'esso con torretta, danneggiata dalla guerra e mai più ricostruita). Per finire, il chiostro di San Mercuriale venne “aperto” come per ricordare che la giustizia ti osserva (il Tribunale).

La “piccola Roma” prese forma dal 1931 e sarebbe stata completata a firma dell'architetto Cesare Bazzani. Dieci anni che avrebbero stravolto l'aspetto della piazza, conferendo la monumentalità da “città del duce”. I primi palazzi ad essere sacrificati furono quelli della cosiddetta “Isola Castellini” (i palazzi Pantoli, Rolli, e abitazioni contigue). Il palazzo Pantoli risaliva alla fine del Settecento e aveva alcune stanze affrescate da Felice Giani, il palazzo Rolli sorgeva sulla residenza del medico Girolamo Mercuriali, al piano terra aveva sede l'Ufficio telegrafico. Nell'immagine, i palazzi citati. La cosiddetta "Isola Castellini", rendeva la piazza più piccola di com'è ora, avendo il fronte più avanzato rispetto all'attuale palazzo delle Poste. 
Trovato il finanziamento (2.500.000 Lire) al ministero delle Comunicazioni, Mussolini così scriveva al Prefetto di Forlì: “Mi dica esattamente quanti sono i negozi e quanti gli inquilini che dovrebbero sloggiare per il nuovo palazzo delle Poste”. La risposta, giunta il giorno successivo, era la seguente: 51 famiglie e 18 negozi. La fretta di Mussolini era dovuta al fatto che voleva inaugurare il palazzo in occasione del decennale della marcia su Roma (28 ottobre 1932). Dopo gli espropri, iniziarono le demolizioni e la costruzione del nuovo edificio fu affidato alla ditta Benini con 130 operai. I lavori furono eseguiti in tempo: come desiderato dal duce, all'anniversario della marcia su Roma fu inaugurato l'edificio.

Più complessa la genesi del palazzo degli Uffici Statali. Infatti, l'area da sacrificare sarebbe stata quella all'imbocco di corso Mazzini e via delle Torri, detta “Cantone del Gallo”. Era un isolato abitato da ricche e influenti famiglie cittadine, inizialmente vi avevano dimora i Numai, quindi i Montanari, i Valdesi e i Pantoli. In particolare i primi volevano realizzare il massimo possibile sugli espropri ma, nonostante le amicizie con parenti stretti del duce, le trattative non andarono come avrebbero sperato. Inoltre, c'erano commercianti poco disposti a traslocare e, problema dei problemi, l'austero palazzo Baratti per il quale vi erano vincoli artistici posti dal ministero dell'Educazione nazionale. 
Questo palazzo rappresentò un vero cruccio per Mussolini che, di tanto in tanto, passava da Forlì e lo vedeva sempre in piedi. Il duce si era interessato di persona, tramite il ministro dei Lavori Pubblici (Di Crollalanza) suggerendo “l'assoluta necessità” dell'abbattimento del vecchio edificio per far spazio a uno nuovo con uffici, portico e negozi. Era il luglio del 1934. Il ministro tentò invano di far capire al Capo del Governo che, per motivi artistici, era impossibile la demolizione. Mussolini però a settembre, ripassando da Forlì, scrisse: “ho visto il cosiddetto palazzo Baratti ancora in piedi. Se necessario come sembra rinnovate gli ordini per demolirlo senza indugi”. Svanirono i vincoli e iniziarono gli espropri. Fu, anche in questo caso, coinvolta una ditta forlivese (Benini) e l'inaugurazione del palazzo degli Uffici Statali avvenne nel Natale di Roma (21 aprile) del 1937. 

Altri progetti sul lato opposto al Municipio rimasero sulla carta. Vero è che più o meno negli stessi anni si restaurò il “lato antico”, il palazzo del Podestà (all'imbocco con corso Diaz) pure ripristinando le antiche graziosità del palazzo Albertini, ad esso contiguo. Fu poi realizzata la “rotonda” di palazzo Talenti Framonti e completata la facciata del Suffragio. 

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