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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

I Romiti: la città oltre il fiume

Antichi romani, santi, eremiti, templari: quant'è lunga la storia dei Romiti. Vediamo di farne un rapido riassunto, anche se ci sarebbe molto più da scrivere.

Forlì è una città strana: i corsi d'acqua principali la accerchiano, l'accarezzano ma sembra quasi che la evitino. Il Bidente-Ronco scende da Meldola con sinuosità lacuali e poi prosegue dritto fino a confluire con l'altro, il Montone che a sua volta è prodotto dalla somma del Montone propriamente detto e del Rabbi. Si è già scritto sulla confusione delle acque della città e, il giorno prima del fortunale di San Lorenzo 2017 (per rimediare ai danni del quale, gli abitanti del luogo si sono fatti in quattro), il fiume di Dante (il Montone), all'altezza del Ponte di Schiavonia, era pressoché in secca. Questa situazione singolare, mesopotamica, di Forlì, è storica ma non è del tutto naturale. Senza dilungarsi troppo, pare che il Forum Livii fosse entro una sorta di isola tra anse di fiumi. Difficile comprovarlo con documenti, ma è tramandato che nel 1044 Scarpetta Ordelaffi abbia messo mano al sistema fluviale urbano, rendendolo pressoché quello attuale: il Rabbi, confluito nel Montone, accarezza viale Salinatore senza tagliare in due il centro, evitandolo, appunto. Così, determinare una "città oltre il fiume", una "trastevere" forlivese, è difficile. Di sicuro si estende, di là, il quartiere Romiti. Anche qui, fosse facile raccontarne la storia in poche righe! La zona è nota per diversi motivi, per la pallacanestro, per le iniziative parrocchiali, per le scuole, per personaggi e attività. Pur essendo sempre stato fuori dalle mura, il sobborgo pare avere origini più risalenti dello stesso centro storico. Gli antichi non avevano dubbi: tra i Romiti e San Varano vi era la Livia: l'insediamento, o castrum, romano che aveva come "scalo" sulla via Emilia il Forum Livii

Se Forlì è una città strana, si è già tentato di spiegare in questa rubrica i nomi bizzarri di alcune frazioni. Una di esse ne ha uno plurale: Romiti. Numero che vive nel linguaggio comune (Sono andato a scuola ai Romiti; Vengo dai Romiti) rendendolo un vezzo tutto speciale per un quartiere, appunto, plurale. L'origine è molto antica ed è una storia che parla di eremiti, da cui deriva il termine tutt'ora usato. Già nel IX secolo, sui ruderi di quella che era la Livia, sorse un romitorio. Un uomo chiamato Valeriano vi si stabilì con alcuni discepoli. Fu un grande esorcista, operò miracoli e successivamente il suo culto si trasformerà in quello di San Valeriano, patrono caduto in obsolescenza. La fama di quest'uomo fu eccezionale, tanto che poi divenne Santo, gli fu attribuita una leggenda ma dai più fu confuso con un omonimo di Roma. Vero è che la località non distante San Varano sembra una contrazione di San Valeriano. Morì martire, e questo accrebbe la sua testimonianza. La di lui tomba, per secoli, fu curata e meta di pellegrinaggi. Nel XI secolo fu costruita una prima chiesa vicina al sepolcro: l'urna con le ossa sue e dei suoi compagni è oggi custodita in Duomo. Sembra che l'antica rivalità non sia mai stata del tutto superata: quasi che il castrum volesse il suo patrono (Valeriano), e il forum il suo (Mercuriale). 

La popolazione dei dintorni si recava alla chiesa dell'eremita defunto per chiedere protezione su case e bestiame. Difficile, per questi secoli, fugare dubbi, ma senz'altro i romiti di Valeriano c'erano e operavano più o meno nell'area dell'attuale chiesa parrocchiale. Il quartiere, come già detto, è pieno di storia: basta dire che la città "oltre", detta anticamente Livia, è sempre stata abitata, del resto già 800 mila anni fa i nostri progenitori erano lì a lavorare pietre e forgiare armi. Ma dopo gli anni gloriosi di Valeriano e i suoi, fu tagliato fuori per diversi motivi. In primo luogo era un susseguirsi di paludi e un'ansa del Montone, detta Brilleta o Fiume Morto, rendeva questa zona decisamente inospitale. La Brilleta fu definitivamente bonificata nell'Ottocento (!) quando venne tracciato il rettilineo di viale Bologna. Ciò che rimane di quest'ansa molto ampia è via Consolare: quella "curva", già argine, era il tracciato originale della via Emilia. La "Strada Nuova" per Faenza, allora costeggiata da tigli, fu realizzata tra il 1811 e il 1812. Il secondo motivo era dovuto al fatto che Porta Schiavonia guardava Bologna ma, appunto, quel tratto di via Emilia era malsano. Pertanto era ben vivo un borgo detto Rupte che iniziava dalla porta Valeriana o Liviense (alla fine di via Battuti Verdi) e, con un ponte scomparso sul Montone, raggiungeva San Varano in modo più agevole. Il borgo Rupte sarebbe individuabile nella zona dei Romiti tra il cimitero e la via dei Tribuni (in senso estensivo tra il fiume e il canale che costeggia via Firenze) e, a sua volta, vi si accedeva attraverso una misteriosa Porta Fresca oggi di difficile individuazione. 

Ricca un tempo di luoghi di culto, nella frazione oggi rimangono ben visibili Santa Maria delle Vigne (la "celletta dei Passeri") e Santa Maria del Voto (comunemente "chiesa dei Romiti"), parrocchiale dalla storia tormentata. Inizialmente era una cappella amministrata da nobili forlivesi, poi, nel 1510, fu data con un terreno lungo la riva del Montone opposta a Schiavonia, ai frati eremiti Gerolimini che edificarono il convento di Santa Maria degli Eremiti. Nel 1556, Bino Orbetelli, comandante dell'esercito pontificio di Paolo IV, per motivi di strategia bellica, ne dispose l'atterramento. La chiesa rinacque un'altra volta, nel 1570, grazie al vescovo Antonio Gianotti. Si era sparsa la voce, infatti, che tra i ruderi dell'antico convento si era manifestato un fatto prodigioso. Nel 1644, però, una piena del Montone pose fine a questa nuova struttura. Che rinacque ancora una volta, ben presto, sul cimitero della precedente, nel borgo Rupte che fu assimilato dal borgo Sant'Agostino Extra che in seguito popolarmente sarà noto col nome di Romiti. Infatti, la chiesa divenne parrocchiale di Sant'Agostino di Fuori (le mura). Risparmiata dalle spoliazioni napoleoniche, assestò il suo nome in Santa Maria del Voto e, nel 1913, un restauro per opera di Emilio Rosetti, conferì al luogo di culto il grazioso aspetto neoromanico. Nel 1944, per cinque mesi, divenne presidio militare tedesco.

Per corroborare la salda tradizione religiosa, vi era anche un convento di frati agostiniani documentato nel tardo Medioevo che probabilmente fu il risultato dell'accorpamento di vari insediamenti di eremiti dell'ordine suddetto sparsi qua e là nel quartiere, tanto che la stessa chiesa di Santa Maria del Voto, come scritto, era conosciuta anche come "Sant'Agostino dei Romiti". Forte fu, poi, la presenza dei cavalieri templari. Per chissà quale accordo: la zona orientale della periferia (Ronco) era controllata dagli Ospitalieri (i Cavalieri di Malta), mentre la zona occidentale (Romiti), dai templari, appunto. Su viale Bologna c'era la chiesa di Santa Maria in Tempio, talora indicata anche Santa Maria in Scofano (contrazione di "sacro fano", cioè "tempio sacro"). Si trattava di una chiesa di media grandezza con facciata a settentrione con annessa casa piuttosto ampia. Questa chiesa già in rovina sarà demolita nel 1768. Esisteva, nello stesso fondo, la celletta degli Arbazzi, riedificata nel 1814 come celletta del Divino Amore nel luogo in cui Papa Pio VII incontrò, per la prima volta dopo la prigionia napoleonica, i forlivesi. La celletta fu abbattuta negli anni Sessanta per far spazio alla pista ciclabile e a una pompa di benzina (!). Sempre lì, ma più verso l'interno, sarà poi edificata - ma in stile moderno - un'altra celletta. Non distante era la Commenda di San Giovanni e, ancora di proprietà templare, la chiesa di San Bartolo, verso Villanova. I templari forlivesi avranno anche una magione in centro, nei pressi della chiesa della Trinità. 

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