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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il caso della Lega di Forlì

I rapporti tra lo “Stupor mundi” Federico II e il capoluogo romagnolo, presidio tenace di ghibellini. Cosa rimane di questa alleanza?

Anche per ricordi di storia recente, è tenuta viva la memoria della Lega Lombarda, costituita con tutto l'apparato iconografico che si conosce: il giuramento di Pontida, la battaglia di Legnano, la figura leggendaria di Alberto da Giussano... Si trattò di un'alleanza tra le trenta istituzioni comunali che si estendevano sulla quasi totalità dell'Italia Settentrionale per contrastare le pretese territoriali degli Imperatori svevi. Il primo a esser osteggiato fu Federico Barbarossa già nel 1167, cinquant'anni dopo al successore Federico II toccò la medesima sorte. L'alleanza tra gli orgogliosi Comuni italiani aveva creato una specie di “Svizzera” padana, una confederazione atta a lasciar fuori dalle terre cisalpine il Sacro Romano Impero. 

Fatta questa premessa un po' generica e riduttiva, ci si dimentica che un fenomeno simile, una vera e propria reazione uguale e contraria, si ebbe a Forlì: qui nacque l'anti-Lega. Era il 12 maggio 1227, infatti, quando nella città di Livio si giurarono i patti di un'alleanza tra ghibellini, quindi fedeli a Federico II di Svevia. Nacque così la Lega ghibellina, e vi intervennero: Guglielmo Amati (podestà di Ravenna), Ugo Guezzo, Deusdeo Signorelli (ambasciatori di Ravenna), Pietro Saraceni (podestà di Forlì), Raniero Giardini, Guido Gualtieri, Lombardo e Giacomo Calbi (giudici e ambasciatori di Forlì), Marco Pecci, Ugone Zambelli, Martino Marinelli, Enrighetto, Andrea Taviani, Tolomeo Vargaliastri e Domenico della Nonna (ambasciatori di Rimini). Si noti che solo queste città romagnole aderirono, e in seguito rimarrà soltanto Forlì l'ultima roccaforte degna dell'aquila sveva (che permarrà nello stemma civico). Faenza, guelfa e inserita nella Lega Lombarda, fu assediata dai forlivesi che incendiarono il borgo Durbecco occupando quindi tutto il territorio faentino al di qua del Lamone, dieci anni dopo si sarebbero ritirati nei confini usati, al castello della Cosina che avevano poc'anzi atterrato. Poi assalirono i cesenati nel luogo detto Calzinaria, ma costoro seppero difendersi e fu una carneficina: Sclatta degli Uberti, podestà di Forlì, vi morì, caddero pure gli analoghi di Bertinoro e di Forlimpopoli nonché i migliori soldati ravennati. 

Nel frattempo Federico II aveva spezzato le reni alla Lega Lombarda, pertanto i ghibellini forlivesi non si persero d'animo. Tuttavia, nel 1240 Paolo Traversari si rese padrone di Ravenna e cacciò i ghibellini di quella città, cambiarono poi casacca altri castelli prima legati all'Imperatore. A parte Forlì, sede del Conte Imperiale, che non volle sottomettersi al legato pontificio Gregorio Montelonghi, e questo non avvenne per motivi caduti dall'alto, pare invece che proprio il popolo forlivese fosse tenacemente filoimperiale. Forse per tanta fedeltà l'Imperatore mandò da queste parti suo figlio Enzo che, accampatosi tra Villanova e Cosina, prese Ravenna e quindi Faenza. E per far finire questo frettoloso riepilogo, Federico II volle concedere a Forlì il privilegio di poter battere moneta e di ornare il gonfalone con l'aquila imperiale in campo d'oro. La città potè inoltre nominare magistrati propri senza il consenso dell'Imperatore, ridusse le tasse e furono fatte altre concessioni che resero Forlì, almeno per un po', una città protetta e ad essa fu assicurato il controllo di Cervia e Meldola. Non sarà un successo duraturo ma sospendiamo qui, col lieto fine. Intanto viene da ripensare al privilegio dell'aquila imperiale “in campo d'oro” dello stemma. Si spera che siano estinte le “aquilotte rosse” che ogni tanto compaiono su documenti ufficiali o sulla cartellonistica in quanto qualche anno fa si è ritenuto indispensabile “svecchiare” il “logo” della città, come se fosse un prodotto commerciale, con buona pace dello “stupor mundi” Federico II. Par vero, però, che lo stemma della città così come noi lo conosciamo risalga più che altro al Cinquecento. Tuttavia, nella sua complessità, ha conservato un piccolo particolare della storia, ed è stato già raccontato da questa rubrica. Un ovulo tra gli artigli dell'aquila ha una croce bianca su campo rosso: è la croce dei ghibellini, detta di San Giovanni. Ed è l'opposto di quella usata dalla Lega Lombarda, rossa su campo bianco, detta di San Giorgio, cara ai guelfi. 

Oltre a ciò, i forlivesi del presente e del passato prossimo hanno lasciato ad altri la figura di Federico II, preferendo dedicargli una piccola via a San Martino in Strada, giusto il capolinea di una tratta dell'autobus. Si può rinsaldare, in qualche modo, l'amicizia con quell'Imperatore cui i nostri antenati erano tanto legati?

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