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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il commercio sarà ancora Biondo?

Una via del centro storico a mo' di esempio: negli anni Cinquanta, era un centro commerciale a cielo aperto. Atmosfere e personaggi di una Forlì recentemente scomparsa.

La storia è un racconto con più cesure. Il commercio in centro storico pone da qualche tempo grossi interrogativi sulle prospettive future. Qui, a mo' di esempio, si tratteggia la vita di una strada del centro che oggi appare molto diversa. Il passaggio c'è, ma le vetrine sono spente. 

Era il 30 dicembre 1885 quando il Consiglio di amministrazione della Cassa dei Risparmi di Forlì deliberò l'acquisto di Palazzo Schiavini Sassi Serughi, un ampio e vetusto edificio affacciato su corso Vittorio Emanuele con trenta vani e sette botteghe sottoportico. La nobile dimora, però, si rivelò ben presto pericolante e poco sicura, tanto che ci si rese ben presto conto che non corrispondeva minimamente ai requisiti. La sede di una banca avrebbe dovuto comunicare sicurezza, solidità, eleganza, decoro. Così, in velocità, si decise di demolire integralmente il vecchio palazzo per costruirne uno nuovo. Si misero al lavoro, gratuitamente, due consiglieri della banca: Ernesto Manuzzi e Vincenzo Pantoli il cui progetto per un nuovo edificio vide la posa della prima pietra nel 1886. In due anni sarebbe stato completato. Così, il 22 novembre 1888 fu inaugurato quello che oggi chiamiamo Palazzo della Cassa dei Risparmi in corso della Repubblica, una struttura delicata e massiccia, con un trucco neorinascimentale giusto per non scindere il legame con le caratteristiche architettoniche della Romagna quattrocentesca. Insomma, fu fatto un bel lavoro. Nei decenni successivi, la Cassa dei Risparmi fece suo anche il Palazzo Colombani Merenda e la Casa Quartaroli, inglobandoli nella residenza ampia ormai quanto un isolato: via Arsendi, via Flavio Biondo, corso della Repubblica. Rispettando i canoni della tradizione, il nuovo edificio ha un porticato arioso e sotto di esso si svolgeranno le storie a breve raccontate. Nel frattempo, il palazzo così ampliato fu ammodernato fino agli anni Cinquanta del Novecento, epoca in cui si avrà la versione definitiva. 

Ed è proprio a questi anni cui attinge la memoria di Mila Danesi, interpellata per descrivere l'atmosfera che si respirava in via Flavio Biondo, fino a tempi recenti vivace e curioso centro commerciale all'aperto. Stretta tra due importanti istituzioni: la Cassa dei Risparmi a destra, la Banca d'Italia a sinistra, la strada finisce con quel nome a ridosso di piazza Morgagni. Ecco come si presentava sessant'anni fa. Sul lato sinistro, all'angolo con corso della Repubblica, c'era la Pasticceria del Corso, una delle più prestigiose in città, con i suoi cannoli di rito e i vassoietti con sei paste per chi se li poteva permettere. Proseguendo lungo la via Flavio Biondo s'incontrava un meccanico di biciclette (Foschi), molto frequentato perché sistemava i mezzi di locomozione più in uso. Accanto, si vedevano più vetrine di giocattoli in mezzo alla quale si notava un'insegna metallica con la scritta "Pirelli". I giocattolai in Forlì erano pochi, quindi anche questa bottega era piuttosto frequentata, specialmente in vista dell'Epifania. Tra gli oggetti più desiderati spiccavano le prime costruzioni Meccano, servizi da té per le bambole, macchinine di latta e altri balocchi appariscenti. In quest'area avrà sede anche l'importante Tipografia Marzocchi. Più avanti vi era una piccola latteria (genere di negozio pressoché scomparso). Dopo la guerra, si portavano da casa le bottiglie perché fossero riempite del latte contenuto in vasche. In seguito apparvero le caratteristiche bottiglie di vetro grosse e rigate, con tappo di alluminio. Si diceva che per ogni tappo consegnato si sarebbe potuto contribuire all'acquisto di un cane per ciechi. Lo stesso spazio era occupato da una fruttivendola: Gianna Milanesi, che poi si trasferirà nel lato opposto della via. L'ascoltatore curioso avrebbe notato come il dialetto venisse italianizzato e alla fruttivendola fossero chiesti lumoni o cocomberi. In fondo alla strada, negli spazi della casa del dottor Zanelli, unica conferma: Goberti e i suoi che sostavano sovente ridanciani sull'uscio dell'agenzia di pompe funebri. Più avanti nel tempo, in fondo, avrebbe aperto un bar.

Sul lato destro, quello della Cassa dei Risparmi, si estende un lungo porticato fino a tutti gli anni Ottanta impreziosito da una curiosa pavimentazione a scacchi bianchi e di una tonalità di grigio tendente al blu. Per i bambini era motivo di gioia toccare con i piedi le mattonelle di un solo colore, secondo l'umore della giornata. Il contrasto bicolore all'interno del portico conferiva un'atmosfera del tutto particolare, ora completamente perduta. Poi, infatti, fu preferito smantellare la scacchiera per far posto a una pavimentazione anonima, di un colore indefinito. Su questo lato si vedevano (e si vedono) diverse vetrine: un tempo bozza per un pavaglione mai nato, in seguito affaccio di uffici bancari. Nell'angolo con corso della Repubblica, in luogo dell'annosa e notissima permanenza della farmacia Cagli, esisteva la cartoleria Archetti. Quando vi si entrava, scricchiolava il pavimento di lunghe assi di legno scuro. In fondo, la parete, con arredamento d'epoca, si colmava con quaderni neri con bordo rosso. Vezzo delle bambine era mettersi in bocca questi quaderni, in modo da imprimere, nelle labbra, il rosso del bordo che si stampava come rossetto rudimentale e approssimativo. Nei cassetti occhieggiavano oggetti ormai scomparsi: pennini di varie fogge (il campanile, il gobbetto...), carta assorbente (inizialmente bianca, poi venduta in versioni colorate). Fuori, tra due colonne del loggiato, c'era un piccolo chiosco di vetro con una fioraia anziana, sempre triste, aiutata ogni tanto da suo marito. I fiori che vi si vendevano erano gladioli, garofani e, in primavera, le calendule, nonché mazzolini di violette. In tempi in cui era uso regalare mazzi di fiori non solo per le occasioni importanti, qui si confezionavano modeste raccolte di cinque garofani e un po' di verdurina. Più avanti c'era la vetrina dell'elettricista Bazzocchi. E poi la merceria di Anna Tondini, per tutti la signora Ninì, magrolina, con la faccia rosa e i capelli accroccati, dall'aspetto tenero di persona educata. In questo piccolo spazio c'era di tutto: bottoni d'ogni genere, fettucce, passamanerie (l'indotto per sarte e cucitrici), cerniere, matassine di cotoni da ricamo, stoffe, nonché si ascoltavano antichi nomi di tessuti come la basilea e la silesia. Più avanti c'era qualche abitazione e l'esattoria comunale.

Oggi c'è l'Auditorium della Cassa dei Risparmi e, poco oltre, una lapide che ricorda che "Qui sorgeva la casa / in cui il 27/1/1780 nacque / Giuseppe Siboni / tenore applaudito in Europa, / fondò il conservatorio di Copenaghen / città dove morì il 29/3/1839". Della casa di Siboni non c'è traccia, del Teatro (comunale) dedicato a Siboni non c'è traccia dal '44. Rusticali Luce, l'ultimo negozio sotto il loggiato di via Flavio Biondo, ha chiuso con lo scorso Ferragosto. I negozianti di allora erano sempre quelli, gente di famiglia o quasi, e si respirava un'aria nel bene e nel male paesana, accogliente e protettiva. Ora resistono le pompe funebri e una parrucchiera, come per confermare che una volta il commercio era Biondo e chissà se prima o poi lo sarà ancora. 

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Il commercio sarà ancora Biondo?

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